A giorni il nuovo ponte sul torrente Lesina, a Delebio, sarà finalmente ultimato, e sarà la seconda “grande opera” in quel di Torrazza, dopo quella mirabile dei muraglioni e delle briglie sul medesimo torrente, che appare ora letteralmente incarcerato con tanto di cancellate e lucchetti.
Abito in Torrazza in prossimità di queste opere; non ho mai sentito alcuno che non le biasimasse con parole severe: chi ne deplora la bruttezza e la sconcezza, chi l’offesa e la villania fatta al paesaggio e all’ambiente, chi la dissennatezza nella progettazione e nella esecuzione, chi la mancanza di dibattito pubblico sul come e perché della loro realizzazione, chi lo sciupio del denaro pubblico. Credo di affermare una verità di fatto: la stragrande maggioranza dei delebiesi queste opere o non le avrebbe volute o le avrebbe volute diversamente concepite e realizzate. Sorge dunque un problema di grande rilievo: che tipo di democrazia è la nostra in cui le cose si fanno non per volere del popolo ma contro o ignorando il volere del popolo? E sollevando lo sguardo oltre la valle, a me pare di vedere che la maggioranza degli italiani non vuole la guerra, e la guerra si fa; vorrebbe poter scegliere i candidati alle elezioni e non gli viene permesso da questa legge elettorale; vorrebbe una informazione onesta e libera e gliene viene offerta una manipolata e asservita; vorrebbe dei governanti onesti e leali e la corruzione dilaga; vorrebbe il testamento biologico e questo non viene concesso; vorrebbe che premiati fossero i meritevoli e invece avanzano i raccomandati; vorrebbe le leggi uguali per tutti e non leggi ad personam e ad 'aziendam' e queste invece si fanno, ecc. ecc. Dunque, per dire brevemente, la democrazia è il potere del popolo, come vuole la sua etimologia greca (kratos, forza, potere, comando), o il potere sul popolo (come ragiona Luciano Canfora nel suo libro La democrazia edito da Laterza)? E lo stesso voto è un dato del popolo o un prodotto sul popolo, come ci invita a riflettere Habermas? Voto e consenso sono la stessa cosa? Può la sovranità popolare ridursi a una cerimonia quinquennale e autorizzare gli eletti a fare nel frattempo tutto quello che si vuole? Nel qual caso – e di questo si tratta – in che senso siamo un paese democratico?
Su questi interrogativi dovremmo, e con urgenza, riflettere collettivamente, a cominciare dai nostri paesi, in pubbliche assemblee. A meno che non abbiamo rinunciato a dare alle cose il loro vero nome: nomina vera rerum amisimus, come scriveva Sallustio. A meno che non abbia ragione (ancora) il nostro Leopardi: «Qualunque società, e massime le più civili, tendono continuamente a cadere nella monarchia… (e questa) tende sempre e cade quasi subito irreparabilmente nel despotismo» (Zibaldone, 2 luglio 1823).
Luigi Fioravanti