Trentatré
non più rose nel deserto di Atacama
ma uomini dispersi in viscere di sabbia e terra
ed echi di grida trattenute dagli abissi
fra lucine tremolanti e bui inauditi
a farsi reciproco coraggio
dolenti, ultraumani nell'abbandono
perché la realtà non è come Lost
mille e mille fughe di possibilità
fra le tante da scegliere e a piacimento modificare
intrappolati come topi, con i topi
e in fondo tutti viviamo come roditori paurosi
in ottuse pavidità o, peggio, nell'indifferenza
il cielo è mutevole, come le nubi che
i minatori di Atacama non vedono più correre
negli occhi dei figli ignari
ma solo nella memoria del cuore
mentre lontano sbraitano insulti e giudizi
insulsi politici sui destini del mondo che non sanno
e le multinazionali donano profitti in paradisi fiscali e yacht
ai consigli di amministrazione in lucida cravatta
non più la brezza, seppur torrida, a San José
ma uomini coi lineamenti segnati dalla fatica
polvere nei polmoni, detriti nella mente
le mani callose rotte assenti
sulle labbra una preghiera: l'ultima forse
Alberto Figliolia