Intima mente… quando scrivo
spero.
«Per quanto ne so io la poesia è sempre un atto anarchico, c’è sempre un margine di ribellione in chi compone versi. Perché il verso è qualcosa che sconquassa il linguaggio e lo costringe ad arrivare al limite della sua funzione. Bisogna sfasciarlo quindi questo linguaggio per farlo poi brillare di nuova vita».( intervista rilasciata dal poeta a Caterina Spurio nell’Aprile del 2010).
Il titolo e un’adeguatissima copertina vengono così ad indicare una scomposizione di un continuum letterario obsoleto alla ricerca di nuovi assemblaggi. È centrale nell’immagine una grande e un tempo ruggente macchina, circondata da rottami, ruote abbandonate e pezzi di lamiere, brandelli di cose da riassemblare in un contesto nuovo dove le carrozze e gli splendori dei “poeti laureati” hanno perso allori e abbandonate corone in un piazzale, specchio dell’intenzione poetica che attira il nostro giovane poeta. «Cerco la mia forma e forse in fondo non voglio neanche trovarla. Non la troverò mai. Ciò che mi sento di dire però è che non amo il feticismo di certi poeti che leggono solo libri di poesia. Sembrano drogati. Un poeta dovrebbe leggere di tutto, il mondo intorno a noi è spaziosissimo e contiene estremissime estremità». E così «sospirando frasi eterne andate a male», Riccardo Raimondo ci apre ad una silloge di liriche che spaziano da sentimenti riassorbiti dalla nostalgia, ad altre che rivelano la forza della ricerca del nuovo, persino nella grafica dell’impostazione che scorre su livelli molteplici e connota un registro assolutamente personale.
L’amore infila ricordi e sensualità, fisicità e paura «faccio piangere la notte/ la punzecchio coi ricordi» nel gioco ironico del prestigiatore. «E il cilindro è scuro e matto/ il coniglio non si stanca» e ancora «E le molle sono scomode:/ rimbalza anche il sudore». In una stessa lirica si fissano versi a rima semplice «donato all’incanto/ donato al rimpianto», insieme a neologismi ed improvvisi cambi di immagine, parole unghiate afferrano i sogni perché non volino via e un purosangue è anche sangue puro e sofferta visione di un caos dal quale far riemergere la sostanzialità sottesa della metropoli. «Il semaforo ch’è verde apre la diga,/ nel cemento si riversano flussi di ferraglie/ …c’è un trambusto tutto intorno,/ eppure dentro tutto tace». «sulla strada il cielo piange/ anche quando non lo ascolti». L’immagine dell’albatro che si interroga sul perché del volo in un oceano che ha il colore del fango, diventa metafora di un mondo in cui si necessita il coraggio di accettarne lo sfascio per “ rimetterci” le mani e dare armonie d’anime a lenzuola sgualcite d’amori non fittizi.
Il piacere si rivolge al potere
«perché non punti un fucile alle mie tempie
e mi fai sentire il rispetto per i Sogni
invece di prenderti gioco di me?»
Lo sfasciacarrozze non rappresenta solo il valente esordio letterario di Riccardo Raimondo ma nella poesia che titola il testo mi sembra sveli anche la connotazione singolare dei suoi versi.
«Metalliche dispense di pezzi di ricambio»
Patrizia Garofalo
Riccardo Raimondo
Lo sfasciacarrozze
A & B, 2009, pagg. 72, € 10,00