«Con te non posso vivere:
sarebbe vita-
e la vita è lassù
dietro lo scaffale».
(Emily Dickinson)
L’indeterminativo del titolo rafforza l’ipotesi che un’altra vita possa accadere pur senza determinarne l’ineluttabilità.
Il reale è immaginato dal soggetto e vissuto come personale agito in tutti i racconti del testo che si raccolgono a loro volta in piccoli scrigni di pensiero e immagine e parola e suono alternando un lui-lei, lei-lui insieme, intrecciati da una pur momentanea indissolubilità. Colpisce come anche in questa raccolta, ogni racconto in sé diventi metafora ancora di una “piccola colazione”, viatico contro il naufragio del tempo e della memoria, orchestrazione di spartiti che sembrano volare sparpagliati dal vento per ritrovarsi… in un ricomposto rosario di occasioni. In America Latina si usa mettere in un grande cesto brevi scritti, favole, storie di mostri e fantasmi, storie d’amore, favole per bambini, disegni per chi ancora non sa leggere, ognuna è offerta a basso prezzo ed è appesa alle canne intrecciate perché ognuno possa scegliere quella che gradisce di più.
Ho tra le mani “Assente il corpo”… breve racconto dell’ultimo lavoro di Paolo Ruffilli.
«Penso e scrivo perché diventino realtà le parole che danno nome all’alto:le nuvole, le ali, il volo, gli angeli, le vette, il vento».
Da subito si avverte quanto la parabola del poeta già presagita ne La gioia e il lutto e ne Le stanze del cielo sia sempre più continua ascesi senza Dio e forte consapevolezza dell’intelletto, della capacità dell’uomo di conoscenza e meditazione. «Soltanto le parole aeree saranno la salvezza, perché quaggiù mai niente di elevato accade». Nella contiguità fra infinito e percezione dell’affanno, la gnosi come processo catartico, invera una storia d’amore nella scenografia mobile dell’animo.
«Il più alto grado di presenza è l’assenza»; le pagine che sto analizzando di “Assente il corpo” sottolineano proprio nella negazione di esso, una fisicità penetrante e ancor più consistente in quanto sognata e desiderata.
All’interno della stanza, non annunciati entrano i passi, le ombre, trasformano la rosa in girasole e la vita nella capacità dell’assenza vissuta, amata tanto da desiderare il proprio corpo persino ad una sola dimensione, da poter portare appresso come un segnalibro e sfogliare come “una figura”.
Un processo d’amore, di ridimensionamento di sé per esistere nelle pieghe scomposte della storia che silenziosa vive di ombre spesso anche “insidiose”, «come l’ombra di un volo, come il lembo appena intravisto di uno scialle».
«La rosa comune avvizzisce/ ma questa nel cassetto della dama/ crea l’estate quando la dama giace/ nel rosmarino eterno/ ...» Così scrive la Dickinson a cui Ruffilli dedica il racconto in un corsivo che ne svela la centralità all’interno dell’opera. Sempre meno a fuoco appare ne “la camera oscura” il volto dell’amato e anche la voce arriva “disincarnata”. Nei momenti di coscienza dell’impossibile contatto, forte giunge il suo farsi bambina «è come quando, da piccola, facevo la maestra delle bambole». «Io abito la possibilità/ una casa più bella della prosa/ con tante finestre in più/ e porte migliori/ Ha stanze come cedri/ dove lo sguardo non può penetrare/ e per tetto sterminato/ la volta del cielo. La frequenta la gente più amabile:/ Così vi passo il tempo:/ spalanco le mie piccole mani/ per colmarle di paradiso/». Ancora i versi della poetessa rispondono a Ruffilli e il duetto lui–lei/lei–lui coniugano, in queste pagine, l’amore dell’uno verso l’altro in una atemporalità che spinge a conoscere la strada dove si fisseranno parole e slanci e solitudini e dissolvenze, ombre di passato e presente intrecciate senza bandolo. «“È proprio così piana la parola amore?” potessi scegliere tra la perduta giovinezza e la saggezza, sceglierei il tango da ballare insieme a te. Passando accanto al mio telefono, lo sfioro. Un tocco incoraggiante... “Segreti, sogni, furie e amori del tipo più prezioso, quelli che non sono corrisposti”; avevi già quegli occhi? E quel sorriso già così riempito dalla luce dei miei giorni?» la lettera che giunge, che la nomina amica e non amore rinforza la passione, il batticuore e la stanza si amplia in una scenografia che accoglie un mondo capovolto “il soffitto è il mare e il pavimento il cielo” e si perpetua il sentimento , immagina se stesso l’amore, che non è cosa piana, semplice e forse conoscibile ma imprescindibile al cuore degli uomini.
Emily Dickinson non è perduta donna solitaria, Ruffilli le ha offerto l’afflato del creatore, l’affabulazione di un innamorato, la parola condivisa della poesia: «saprei trovarli ancora la voce e i gesti per l’amore».
Patrizia Garofalo