Diario di bordo
Gila Svirsky. Licenza di uccidere
18 Luglio 2010
 

Yelena è stata pugnalata a morte proprio sopra le nostre teste. Non ho udito le sue grida, come è accaduto ad altri vicini di casa, ma sono stata svegliata alle 4:30 del mattino dalla polizia che tentava di buttar giù la mia porta, credendo fosse quella del suo appartamento.

Quando l'hanno trovata, al piano di sopra, era già morta; giaceva in una pozza di sangue, ferita al collo ed al petto, con due figliolette di 7 ed 8 anni terrorizzate al suo fianco, ed un compagno che sosteneva di averla uccisa per legittima difesa, perché lei “lo aveva assalito”.

Non importa che ormai Yelena fosse di casa al rifugio per donne maltrattate, e che lo avesse denunciato per aggressione già tre volte. Non importa che lei fosse trentunenne, bassa e minuta, e lui un alto e solido cinquantenne. Ha dovuto pugnalarla innumerevoli volte per “proteggere se stesso”.

Vorrei dire una parola sulla cultura della violenza che sta crescendo attorno a noi, in Israele, negli Usa, e ovunque persone e nazioni pensano di poter risolvere problemi alzando un coltello o un fucile.

L'assassinio, in tutte le sue molte forme (crimine, omicidio politico, attentato suicida, guerra contro il terrorismo), non funziona. Perché no? Perché uccidere distrugge sempre più di quanto salva. Distrugge la vittima, distrugge le famiglie della vittima e del perpetratore, distrugge masse di passanti innocenti, e manda il messaggio che la violenza è legittima, invitando nel contempo al prossimo round della stessa.

Chiedetelo ai sopravvissuti palestinesi dell'appartamento su cui un terrorista ha lanciato una bomba da una tonnellata, e li ha lasciati a contare i cadaveri di coloro che amavano uccisi da quella bomba. Chiedetelo ai genitori israeliani che tentano di rimettere insieme i pezzi delle loro vite dopo che un attentato suicida ha sventrato un autobus. Chiedetelo a coloro i cui cari sono stati spazzati via nelle Due Torri. O ai bimbi iracheni che vivono a Falluja, dove i soldati statunitensi hanno dato loro una dimostrazione di come si porta la democrazia nel mondo.

Ogni uccisione è un crimine. E le uccisioni perpetrate dai governi diventano modelli da imitare per altri, ovunque i leader politici pratichino o condonino la violenza. Negli ultimi anni, mentre i palestinesi giustamente cercano l'indipendenza dall'occupazione ed il governo israeliano tenta di impedirla, la violenza è cresciuta esponenzialmente da ambo le parti. I risultati non sono solo più morti durante le azioni politiche, e più amarezza e più odio, ma anche maggior violenza nella società civile. In Israele abbiamo avuto più stupri, più omicidi di donne da parte dei loro partner, più bambini violenti nelle scuole.

La connessione fra la “guerra al terrorismo” e l'aumentata violenza nelle strade, nelle case, nelle scuole, non è una coincidenza. Una cultura della violenza filtra nella società quando i suoi leader usano la forza per risolvere i problemi. Questa cultura della violenza, che allenta le briglie all'uso della forza, non è un'invenzione della tv o dei film (che certamente la propagano) ma comincia con l'esempio personale di coloro che influenzano i nostri valori e le nostre norme: genitori, leader politici, le nazioni più potenti sulla terra. Cosa possiamo mai imparare quando una superpotenza, con tutti i mezzi immaginabili a disposizione, usa la violenza?

Perciò, quando pensiamo a come mettere fine alla violenza contro le donne, io dico che non possiamo liberarcene senza mettere in questione anche l'esempio dato dallo stato. Quando il potere e la violenza dominano la strategia politica, ai governi viene conferita la licenza di uccidere, e questo arriva fino a noi, fino agli appartamenti sopra le nostre teste.

 

Gila Svirsky

Traduzione di Maria G. Di Rienzo

(testo e immagine da Lanuvola's Blog, 15 luglio2010)

 

 

Gila Svirsky vive a Gerusalemme, è impegnata nella Coalizione di donne per la pace, ed è una delle figure più note del movimento per la pace in Israele.


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