Vittorio Bellavite. Sul nuovo documento del Vaticano “de delictis gravioribus”  
A sorpresa, è ancora del tutto reticente sulla necessità di rivolgersi alla giurisdizione civile nel caso di abusi sessuali da parte di esponenti del clero
17 Luglio 2010
 

L’ampia riscrittura delle Normae de delictis gravioribus del maggio 2001, che è stata diffusa oggi, esigerà una valutazione approfondita in ogni sua parte da parte degli esperti del funzionamento concreto delle strutture ecclesiali.

Faccio solo alcune prime osservazioni, avendo come punto di vista la situazione di grave disagio diffusa ora in tutto il mondo cattolico e nella più generale opinione pubblica sulla questione degli abusi sessuali sui minori ad opera di esponenti del clero. Mi sembrano aspetti positivi: la nuova considerazione dei portatori di handicap psichici come soggetti deboli (art. 6 §1 n. 1), l’estensione (art. 7) da dieci a vent’anni del termine di prescrizione del reato (si poteva fare anche trenta!), il possibile allargamento (art. 15) degli organi giudicanti a soggetti laici (e quindi anche alle donne), la previsione del reato di pedopornografia. Anche il rigoroso segreto pontificio, da tempo molto criticato, mi sembra nell’art. 30 attenuato là dove si prevedono, nel caso di una sua violazione, solo generiche “congrue pene” in sede d’appello.

Mi sembra invece che dipenderà dalla loro applicazione concreta la validità delle tre norme di deroga, del tutto abnormi, in un normale sistema processuale: mi riferisco a quella che prevede di “saltare” il processo e di provvedere d’ufficio, di deferire il caso direttamente al Papa e di derogare, in modo del tutto discrezionale, alla prescrizione ventennale.

Ma la grave debolezza strutturale del testo è data ancora una volta dal problema del rapporto con la giurisdizione civile. Incredibili dictu nulla si dice nel nuovo documento, nonostante i mesi caldissimi su questa tematica. C’è solo una dichiarazione del padre Lombardi - a mio giudizio molto sulla difensiva - che giustifica questa assenza perché si tratta di norme canoniche in sé complete e distinte da quelle degli Stati. Ma è appunto questa separatezza la causa principale dell’ormai ben conosciuto sistema di privilegio per il clero e di abbandono della tutela delle vittime! Lombardi poi si rifà alla “Guida alla comprensione delle procedure di base della CDF riguardo alle accuse di abusi sessuali”. Questo testo invita a rivolgersi alla giustizia civile ma, come abbiamo già osservato ampiamente a suo tempo, è uno scritto senza data, senza firma, comparso in lingua inglese in modo improvvido e improvviso il 10 aprile sul sito Internet del Vaticano; esso è stato scritto affrettatamente nei giorni precedenti ma attribuito, in modo indifendibile, a una data precedente (2003). Che autorità puoi mai avere questa “Guida”? Perché la CDF e il Papa non hanno formalizzato quanto timidamente hanno, a volte, detto, o fatto capire, in questi mesi? Quindi il nostro sconcerto permane, anche perché ci aspettavamo una presa di posizione inequivocabile. In Curia si aspetta solo che la bufera passi, per continuare poi quasi come prima?

Infine nulla si prevede perché le diocesi si dotino, come sta avvenendo in molte situazioni, di organi indipendenti a cui le vittime degli abusi possano rivolgersi con fiducia. Ci sono solo belle parole del padre Lombardi che parlano dello studio che la CDF sta facendo su come aiutare gli episcopati del mondo ad affrontare il problema.

Per ultimo perché infilare in questo testo (art. 5) la scomunica latae sententiae a chi procede alla «sacra ordinazione di una donna» (e naturalmente per la donna che la riceve)? Mi sembra una posizione difensiva ed anche arrogante. Sembra scritta solo per essere revocata tra qualche anno.

 

Roma, 15 luglio 2010

Vittorio Bellavite

portavoce nazionale di Noi Siamo Chiesa


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