Oblò cubano
A pranzo con José Conrado 
Il parroco di Santiago di Cuba a Piombino
17 Giugno 2010
 

Oggi (mercoledì 17, ndr) José Conrado (foto), il parroco di Santiago di Cuba, era a pranzo da me a Piombino. Ho scritto questo pezzo–intervista su di lui. La lettera al Congresso degli Stati Uniti della quale è uno dei firmatari è già stata pubblicata da Tellusfolio (in 'Oblò cubano', 08/06/2010).

Ricorderete che Don José 15 anni fa aveva scritto una lettera a Fidel Castro per chiedere libertà e diritti umani e che lo scorso anno a Febbraio aveva replicato - senza avere risposta - con Raul.

È un amico di Yoani Sanchez.

Questo era il pezzo che Yoani gli aveva dedicato ('Oblò cubano', 10/02/2009).

Saluti

Gordiano Lupi

 

 

Trovarsi a pranzo con una persona che sta facendo la storia di Cuba provoca una sensazione strana, anche perché sembra impossibile poter parlare di cose terrene con Don José Conrado, parroco di Santiago di Cuba che ha scritto circa quindici anni fa una lettera a Fidel Castro e lo scorso anno ha avuto l’ardire di replicare con suo fratello Raúl.

Don José si trovava a passare da Piombino, di ritorno dall’Isola d’Elba insieme a due colleghi parroci dell’Avana; il regista Pierantonio Maria Micciarelli è venuto ad accoglierlo al traghetto per accompagnarlo a Milano. Devo all’amicizia con Micciarelli - autore del poetico lungometraggio Soy la otra Cuba che spero potrete vedere presto nei cinema o in dvd - se ho potuto trascorrere due ore conversando con un uomo coraggioso e importante per il futuro di Cuba.

Don José afferma: «Sono un uomo di fede, un religioso che deve fare i conti soprattutto con la sua coscienza. Mi guardo intorno e vedo che a Cuba mancano tante cose, ma il problema più grande resta la mancanza di libertà». Proprio questo ha scritto un anno fa - rispettosamente - nella sua lettera a Raúl Castro per chiedere un cambiamento economico, il rispetto dei diritti umani e scelte in favore di una partecipazione popolare alle decisioni di governo. José Conrado ha avuto il coraggio di portare in primo piano le istanze fatte proprie dal Progetto Varela di Oswaldo Payá, in una pubblica occasione, all’interno di una cerimonia religiosa. Il suo motto è sempre stato: “Costruire una patria con tutti e per il bene di tutti”, parafrasando un motto di José Martí.

Adesso Don José si è fatto latore di una nuova lettera, questa volta indirizzata al Congresso degli Stati Uniti, firmata da più intellettuali e da molti membri della società civile. Yoani Sánchez è con lui, non poteva essere diversamente, ma l’estrema destra di Miami, lo zoccolo duro della dissidenza, ha espresso molte riserve. Si tratta di una lettera distensiva che chiede l’eliminazione delle restrizioni di viaggio da parte del governo degli Stati Uniti verso Cuba. Questa eliminazione porterebbe facilitazioni nella vendita e nel commercio dei prodotti agricoli sull’isola. Si tratterebbe di un primo passo per limitare gli effetti negativi dell’embargo e sarebbe un aiuto alla distensione tra Cuba e Stati Uniti. Don José e i firmatari sono consapevoli che i diritti umani a Cuba non vengono rispettati, ma ritengono che togliere le limitazioni di viaggio porterebbe molti benefici alla causa del cambiamento e della democratizzazione di Cuba.

«Il nostro paese potrebbe davvero aprirsi al mondo, in un momento storico in cui pare che qualcosa stia cambiando», afferma Don José.

Il pranzo è lungo, tutto a base di pesce, pietanza che Don José predilige per problemi di salute. “Balestra a Mare”, ottimo ristorante del delizioso porto turistico di Piombino non sa che oggi ha ospitato un personaggio importante che sta lottando per far uscire il suo paese da una lunga dittatura. Don José ricorda la visita a casa di Yoani: «Una ragazza in gamba, che sa quel che vuole e possiede uno stile pacato per esprimere le sue opinioni. Non è una politica, ma fa parte della società civile». Una battuta su Reinaldo: «Il marito di Yoani è un uomo di una cultura immensa, ha una mente lucida che programma il futuro e ogni volta che parla dice cose importanti». E sul figlio: «Teo è un ragazzino di quattordici anni, di un’educazione unica, semplice, simpatico. Ha gli occhi del padre e il volto della madre».

Un accenno a Oswaldo Payá non poteva mancare: «La sua azione propulsiva è stata molto importante, il Progetto Varela è la sola alternativa, l’unico schema politico praticabile per un cambiamento in senso democratico». Quando si parla della Cuba contemporanea pare fiducioso, anche se vede intorno a sé molta frustrazione, ragazzi che fuggono perché non hanno un futuro: «Il governo in passato non aveva mai accettato interlocutori, mentre adesso sta parlando con la Chiesa Cattolica, ha iniziato ad avvicinare i prigionieri politici ai luoghi di residenza e sta cominciando a liberare i malati più gravi. Inoltre negli ultimi tempi le Dame in Bianco non sono più state fatte oggetto di atti di ripudio».

Don José non vuol parlare di politica, lui è un uomo di fede, questo non può dimenticarlo, la sua chiesa di Santa Teresita a Santiago lo attende e un popolo di parrocchiani vuole ascoltare ancora le sue omelie che affrontano i problemi quotidiani. Non può permettersi di rischiare di perdere il suo ruolo di guida spirituale. José Conrado prende Gesù come modello per affrontare il quotidiano, cerca di dare coraggio ai fedeli, senza attendere risposte dai potenti, senza alzare la voce, comportandosi da semplice uomo di chiesa. Adesso attende la risposta del Congresso degli Stati Uniti, nella speranza che si compia davvero quel che aveva profetizzato Giovanni Paolo II: “Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba”.

 

Gordiano Lupi


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