Benedetto Croce, come si ricorda spesso, riteneva che la Storia fosse sempre storia contemporanea. E cioè: chi scrive di Storia è necessariamente dominato dai problemi e dal modo di pensare del suo tempo. È un’osservazione che vale certamente anche per i film storici, tanto più che a loro abitualmente non si richiede un rispetto rigoroso della verità; e tra invenzioni romanzesche che colmano le lacune dei documenti e licenze poetiche, si possono infiltrare nel racconto con particolare evidenza aspetti della realtà dei nostri giorni.
Agora, dello spagnolo Alejandro Amenábar, è un film storico, che racconta la tragica vicenda della filosofa e scienziata del IV secolo dopo Cristo, Ipazia, di Alessandria d’Egitto. Tragica perché come è noto – anzi, in effetti, come è poco noto, dal momento che la sua storia non si studia a scuola, e non mi risulta che siano stati fatti in precedenza film su di lei – insomma, Ipazia è stata trucidata dai cristiani, su istigazione del vescovo Cirillo (che fu fatto santo). Ipazia era figlia del direttore della celebre biblioteca di Alessandria; di famiglia pagana; dedita all’insegnamento e alla ricerca filosofica e astronomica. Per la sua laicità, si ritrovò bersaglio della persecuzione dei cristiani; e una loro setta particolarmente fanatica, i parabolani, la fece letteralmente a pezzi. Perché l’autore del film, Amenábar, ha voluto raccontarci la sua storia?
In primo luogo, certo, per un lodevole intento divulgativo. Intento tutt’altro che stravagante, dal momento che i problemi del presente che echeggiano in questa storia del passato sono numerosi. Il più evidente fra tutti: il conflitto tra la ricerca scientifica, e i dogmi religiosi, patrocinati e imposti dalle autorità ecclesiastiche. (Nel film Ipazia viene immaginata scoprire argomenti a sostegno della concezione eliocentrica dell’universo. Teoria che, sappiamo, sarà oggetto della violenta censura della Chiesa, in effetti parecchi secolo dopo, con Galileo Galilei.)
E poi ci si ritrova il tema dei diritti e dell’indipendenza delle donne. Ipazia, anche se nella città di Alessandria non aveva alcuna carica politica, perché le donne non potevano averne, non rinunciava a dire la sua sulle vicende pubbliche; stimata per la sua saggezza, era consultata nelle riunioni istituzionali. E per non tradire la propria vocazione filosofica e scientifica, non si sposò, malgrado avesse ottimi pretendenti. (Perché un marito le avrebbe chiesto di rinunciare alla sua professione.) Tutte ragioni che fomentarono l’odio dei cristiani contro di lei.
Della questione femminile, nel film viene evidenziata l’attualità attraverso il modo con cui viene realizzato il martirio di Ipazia: non attraverso lo smembramento del corpo, come raccontano gli storici, ma attraverso la lapidazione: che per uno spettatore di oggi è una chiara allusione a certi paesi islamici.
C’è poi nel film un altro richiamo al presente, forse più sottile. Il prefetto di Alessandria – dunque, l’autorità laica della città – nato ed istruito come pagano, si converte al Cristianesimo, probabilmente per ragioni di opportunità politica.
Quando nella città scoppiano le sommosse dei cristiani – che, fra l’altro, saccheggiano la biblioteca di Alessandria, organizzano un linciaggio contro gli ebrei e altre aggressioni contro i pagani – Ipazia, che non vuole che si risponda all’intolleranza con l’intolleranza, come pure accade, consiglia però il prefetto di far rispettare la legge, e dunque di arrestare i responsabili delle violenze. Ma il prefetto, che cerca una conciliazione con i cristiani, non le dà ascolto.
E come si conclude il suo percorso? Di cedimento in cedimento, si ritrova a prosternarsi in ginocchio davanti al vescovo di Cirene, Sinesio: formalmente come atto di sottomissione a Cristo, ma in effetti sottomettendosi alla Chiesa cattolica. Così il vescovo Cirillo conquista il potere ad Alessandria; e la sua vittoria viene sancita dal martirio di Ipazia.
Cosa ha voluto dirci con questo Amenábar? Che con il fondamentalismo religioso non si devono fare compromessi. Perché, tentando di ammansire il mostro, si finisce per esserne sbranati. Insomma, Agorà vale allo stesso tempo come lezione di Storia e come monito per il presente. E se i personaggi e i fondali storici restano a volte schematici, non sempre prendono vita, è perché valgono soprattutto come esempi, come punti di appoggio, di una perorazione molto seria e appassionata.
Gianfranco Cercone
(da Notizie radicali, 5 maggio 2010)