Ho letto tutti i libri su Cuba di Gordiano Lupi, abbiamo lavorato insieme (traduzione-commento e analisi del testo) su importanti autori cubani che del sogno infranto hanno parlato e parlano con dolore, nostalgia, lacerazione. Dalle carceri di Cuba o doloranti voci da paesi lontani impregnate del desiderio di tornare nella propria terra. Ebbi dei contatti a Roma per far leggere quanto da me scritto e fissato alcuni appuntamenti. Avevo appena cominciato a parlare quando gli interlocutori, con scuse poco credibili, si alzarono dal tavolo del bar. Avevo in mano un testo di Cabrera Infante. Ho capito che avevamo frainteso tutti. Io sono contro qualsiasi repressione della libertà di pensiero, loro invece sostenevano Fidèl. Lo stesso fraintendimento avvenne con altri a cui avevo inviato il breve racconto che Lupi aveva proposto per un concorso di poco conto, ma simpaticamente incisivo e alcuni risposero con piccola variante sul titolo “Quel maledetto sigaro”: «Patrizia, io non voglio che quel sigaro cada».
Ho condiviso con Lupi quasi tutte le presentazioni a Ferrara, che ho organizzato con l’aiuto di esperti di storia quando non mi sentivo pronta ad impostare storicamente l’intero testo. Come insegnante di lettere ho adottato il testo Almeno il pane Fidel con l’appoggio di insegnanti e genitori e ho lavorato su quel libro per un’ora settimanale per tutto l’anno scolastico. Conosco la storia della moglie Dargys, del suo divieto di tornare a Cuba, della mamma che non può vedere e di suo figlio che non può vedere la nonna. Che la moglie lo segua a tutte le presentazioni dei suoi scritti non può rendere lecito a nessuno il chiamare la signora e chiederne il motivo. Da tempo ormai Lupi traduce la blogger Yoany Sanchez, e ne è diventato “traduttore” nel senso etimologico del termine di tramandare, diffondere, far conoscere (diversamente avrebbe potuto farlo chiunque conoscesse la lingua) senza falsare una parola della giovane e coraggiosa donna che ha pubblicato Cubalibre per Rizzoli.
Che Gordiano sia di destra o di sinistra, che scriva dove trova modo di poterlo fare, altro non dimostra che, per una causa che si ritiene vitale, qualsiasi modo per dare un’informazione non-camuffata è fondamentale e necessario. In realtà nessuna testata ha commentato, nessuna ha fatto altro che il lavoro della libera informazione. I commenti ai suoi scritti sono spesso anonimi e vili, con attacchi infimi e senza dialogo o proposte, sono striscianti e denigratori. Chi l’ha minacciato con una mail che è stata denunciata al commissariato di Piombino, non ha fatto altro che spronarlo a continuare e, se ce ne fosse stato bisogno, rafforzato le motivazioni della sua lotta. E l’accusa per indossare ancora la maglietta del Che?
È ridicola, indossare un sogno non è reato.
Patrizia Garofalo
Qui puoi firmare la petizione
Per la libertà dei prigionieri politici cubani