Dall’Avana – Stabilire da quanto tempo Raúl Castro è al potere è difficile anche per lui. Alcuni sono convinti che sia sempre stato lì per raddrizzare la rotta dopo i continui colpi di timone del fratello al governo del paese. Se fosse vero, allora la sua responsabilità non sarebbe circoscritta ai fatti avvenuti dopo il 24 febbraio 2008, quando è diventato ufficialmente presidente. Ma risalirebbe a molto prima, a quel gennaio luminoso e oscuro in cui il suo cognome si impossessò per sempre di un lungo capitolo della storia di Cuba.
Nelle settimane successive all’annuncio della malattia di Fidel era impossibile stabilire se a dirigere il paese fosse il ministro delle forze armate o il convalescente del suo letto. I cubani, con la loro arguzia, hanno sintetizzato questo dubbio in una frase abbastanza divertente: “Raúl è il numero 1,5, perché non è più il numero due, ma non è ancora il numero uno”.
L’incertezza continua, perché non è ancora chiaro se l’indecisione che caratterizza Raùl dipenda dalla paura di introdurre dei cambiamenti o dal timore reverenziale verso il comandante in capo. Solo i fratelli Castro sanno dove comincia il desiderio di uno e dove finisce l’azione dell’altro.
Uomo di poche parole, Raúl ha alimentato la speranza di tutte quelle persone che credevano nella capacità del sistema di rinnovarsi. Ma ormai il ritmo del raulismo è la fiacchezza, accompagnata dal peggioramento della situazione nei settori più critici.
Di fronte a tanta continuità, guadagna terreno chi afferma che da una camera sterile un paio di occhi correggono la rotta di Raùl ogni volta che cerca di deviare di un millimetro.
Yoani Sánchez
(da Notizie radicali, 17 febbraio 2010)