Carlo Forin: la luce che viene
18 Dicembre 2009
 

La Luce che viene

Mt. 4 16-17: Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata.

 

Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: –Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino–.

Quest’anno aspettiamo il Natale

-con Obama che allontana la fine della guerra e riarma dopo un anno, costretto a concludere l’impresa di Bush alzando il tiro bellico;

-col Governo italiano che impegna il Parlamento alla risoluzione della cancellazione dei residui del lodo Alfano, costi pure la morte di metà dei processi giudiziari iniziati;

-con molte famiglie che temono l’aggravarsi delle minacce di disoccupazione oltre i due milioni dei senza lavoro già contati;

-con agitazioni leghiste della Croce a rinfocolare tutte le paure dei diversi.

Addirittura, viene ammirata la croce dentro la bandiera svizzera, non come indicazione di –qui i soldi!–, ma come esempio di Cristianesimo da imitare!

Si può ben dire che il popolo si muova nelle tenebre e che dimoriamo in terra tra ombre di morte.

 

Esagero, forse?

Vigente la legge di sicurezza 8 agosto 2009, sono diventato un Cristiano che sente di vivere in un’Italia barbarizzata: la legge non consentirebbe alla Madonna di partorire perché extracomunitaria!

Evito di approfondire l’analisi per non scadere nella politica del gossip!

 

A 61 anni, aspetto la Luce che viene in modo non rituale.

Il Risorto ha promesso che è con noi, basta che gli apriamo la porta: Lui cena con noi!

Direte: e come? Mentre propongo ad ognuno di adempiere semplicemente al –Fate questo in memoria di ME!–, riscoprendo l’obbligo conseguente al Battesimo, vado ad esibirvi la mia rilettura del Protoevangelo.

Poiché il webmaster mi ha invitato ad essere semplice, io ve lo ripropongo nella stesura ebraica di Enciclopedia Cattolica. Se sarà di vostro gradimento io aggiungerò le mie considerazioni.

 

Ecco il testo del p. secondo l’ebraico: –E ostilità porrò tra te e la donna, e il tuo lignaggio e il lignaggio di lei. Esso ti stritolerà il capo e tu lo colpirai al calcagno–. Dove la Volgata ha il plurale inimicitias il testo ebraico ha il singolare ‘ebhah, ‘ostilità’. Il futuro ‘porrò’ può indicare un fatto che si attua già dal momento in cui viene annunciato. ‘Stritolerà’ e ‘colpirai’ sono forme dello stesso verbo ebraico suph, ‘schiacciare’, ‘stritolare’, attenuato nei Settanta con threw in ambedue i casi. La Volgata traduce prima ‘conterere’, poi ‘insidiari’, l’antica latina, riproducendo i Settanta, servare. La differenza di significato sembra suggerita anche dal contesto, che vuole contrapporre due azioni di diversa efficacia. La variante classica hu (‘esso’), da riferirsi a zar’ah (‘seme’ o linguaggio della donna), tradotto con il maschile autoz, in luogo del neutro auto, dai Settanta (concordanza ad sensum con *) e dall’antica latina con ipse (riferito a semen), mentre la Volgata ha ipsa. Le versioni, a differenza dell’originale, farebbero, dunque, pensare che a vincere il serpente sia un individuo. Questo, per la Volgata, è ‘la donna’.

Ma non si può dubitare che, nell’originale, il pronome maschile hu supplisca il sostantivo zar’ah ‘seme di lei’. Maschile è la voce verbale jesuphekha, e il suffisso pronominale in tesuphennu. Non è certo che l’ipsa della Volgata sia dovuto all’interpretazione mariologica, data fino dal tempo di s. Girolamo, quantunque non comunemente, come spesso si dice. S. Girolamo stesso rilevava sia l’identità del verbo in ebraico, sia la diversità del pronome.

La vittoria schiacciante sul serpente non si può riconoscere che a un campione dell’umanità, il quale sfugga ad ogni influsso o potere del maligno. È il Messia.

 

Carlo Forin


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