01-06-2009 | La progettazione dell’uomo di campate che fortunatamente si chiamano anche luci, si specchia nella sua fissità davanti alla natura che, erosa dal tempo e dalle acque, suggerisce ipotesi di ricerca e di scavo nel tempo e nella parola, nonostante “lo schermo dell’ingegno ” e “le due direzioni del corpo, elaborate ed eventuali”.
Un albero prigioniero e l’intensivo dure–pietre connotano un paesaggio, di ossessiva ricerca verso una scenografia del mondo. Le siepi e l’albero “vincolato ed ultramorto” rivendicano l’annullamento del predefinito che neghi l’assunto montaliano del “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo” in nome di una parola restituita. La casa imbiancata nel verde, casa di cura, rifugio, affetto e risveglio, un tepidarium dell’anima, viveva prima che le palafitte nel lago rendessero inutile la difesa ma proprio esse spingeranno ad un attraversamento, pieno di ostacoli, risucchiato da “vincoli condominiali” fino al ritrovamento delle campate come planimetrie dell’anima.
Un piccolo pensiero ad un autore che ho conosciuto oggi in questi versi scolpiti su roccia. patrizia garofalo | 01-06-2009 | Alberto ho salvato la tua poesia e la sto leggendo.
Anzi sto cercando di entrare dentro le sue corde.
Aspetta senza aspettare , ti direi adesso a caldo , le attese possono essere vuoto ma anche ricchezza , ridefinizione di sè e contratto firmato con l'anima verso la poesia.
Essa è un modo di vivere oltre che di esprimersi e non è serva di chiese e piazze. è la nostra libertà in senso pieno verso tutto anche il dolore.
La tua risposta dichiara un senso profondo dell'amicizia
dalla quale tutto si riceve e si offre. Ma non si appartiene per essere previlegiati.
Fammi sapere dove posso trovare tuoi scritti e se vuoi contattami
patriziagrf@fastwebnet.it
Noi, sessantenni di oggi, tra le tante cose che non vi abbiamo offerte una mi sembra la più grave: l'aspazialità del tempo.
un abbraccio di cuore
patrizia patrizia garofalo |
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