“I docenti diventano tutti matti o solo i matti diventano insegnanti?”
La sindrome da “burnout” in ambito scolastico. Simona Borgatti intervista Vittorio Lodolo D’Oria
 
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   17-07-2008
e sono proprio gli atteggiamenti difensivi di alcuni docenti a nuocere molto, l'arroccamento su quanto sapevano da prima, la poca apertura al nuovo, il comprendere che l'insegnamento non è un'esposizione di cultura propria ma che il linguaggio va flesso verso e secondo il tipo di classe e partecipanti.
O forse si continua così perchè solo in questo modo e ripetendo i programmi all'infinito, sempre gli stessi, si lavora meno...?( mia mamma era solita dirmi...fai l'insegnate così potrai star dietro alla tua famiglia........qualcuno se lo ricorda questo discorso ?)inoltre, l'insegnamento è ripetitività di parole e contenuti uguali o apertura ad un mondo giovanile che è in continua variazione e sempre più complesso? Come si fa ad non annoiarsi, se alcune materie lo concedono, a fare sempre le stesse identiche cose ?
Il novecento, mare magnum di tutto......dove è finito.....
alle ombre dei salici?

patrizia garofalo   
 
   15-07-2008
Eravamo migliori un tempo noi insegnanti? La domanda arriva spontanea, specialmente quando l’attenzione di tutti si punta su di noi, sui fantomatici benefici di cui usufruiamo e sui rischi legati al mestiere. La scuola muta con i tempi e vive in ogni epoca le sue difficoltà legate ai cambiamenti che la caratterizzano. Oggi viviamo purtroppo un momento di forte crisi di valori che investe tutti i settori compresa la scuola e la famiglia e sopraffatti dai problemi che ci investono (anche in termini di delinquenza e di violenza), si punta l’indice contro la scuola e in specie contro gli insegnanti senza considerare che il male è insito nell’apparato stesso della nostra società che presa nell’ingranaggio dei nuovi sistemi e dei nuovi modelli si è staccata completamente dai suoi valori di base. Il cambiamento si è insinuato subdolo in molti settori della nostra vita senza lasciarci il tempo di prepararci, di difenderci, ammaliati dalle novità che ci hanno separato sempre più dai modelli fondanti la nostra educazione.
Questi cambiamenti hanno influito essenzialmente sulle fasce più deboli della società, intaccando l’educazione nei suoi elementi essenziali, dentro e fuori la scuola, con forme di comportamenti legate all’imitazione, all’immagine, al più forte e al più capace, che hanno stravolto lo stesso sistema educativo. Chi si è trovato a subire tali comportamenti e spesso senza il sostegno adeguato è stato l’insegnante che ne è diventato vittima.
Parlare è facile, anche contare i giorni di vacanze lo è sia per chi non si rende conto dei veri problemi che l’insegnante deve affrontare ogni giorno in classe da buon samaritano alla scoperta della strategia più adeguata per insegnare sia per chi non conosce la realtà di un’aula ma specialmente per coloro che impartiscono regole e leggi dall’alto, pensando che questo basti a sopperire ogni loro latitanza.
Il problema è molto più grave di quanto si pensi e non si può esaurire con poche righe che tuttavia si pensa utili a sollecitare un’attenta riflessione: se l’insegnante ricorre a cure mediche e nei casi estremi al suicidio è molto grave; se l’insegnante vive un continuo disagio (superiore a volte a quello degli stessi studenti) ne risente fortemente sia sul piano personale che professionale. Quale rimedio si può apporre ? Non è facile la risposta dato che ci vede compromessi in qualità di genitori e più in generale di utenti, ma quale potrebbe essere? È un dovere chiederselo e si tenta qualche suggerimento! Innanzitutto rivedere il nostro sistema educativo e ridare all’insegnante ciò che gli è dovuto in termini di rispetto e di dignità con ampio riconoscimento della sua professionalità. Riscattare la figura dell’insegnante vuol dire salvare la scuola dalla crisi che la sta investendo da anni e capire che con l’insegnante salviamo noi stessi nel recupero dei modelli educativi dimenticati; rispettare e applicare i principi educativi sia dentro che fuori la scuola, a tutti i livelli di vita comunitaria e in tutti i linguaggi della comunicazione aiuta a cambiare i rapporti interpersonali; in tale contesto ne guadagneremmo tutti e in particolare l’insegnante in termini di identità e di ruoli.
La società non cresce e non cresce in cultura se non si comprende che l’insegnante è il punto cardine della scuola e della società stessa e chi nei diversi gradi della piramide gestionale, a livello educativo, non fa una politica volta alla salvaguardia del nostro sistema formativo e non lo tutela con adeguate misure, comprese quelle economiche nella figura dello stesso insegnante non ha la lungimiranza di vedere oltre le apparenze e questo è il vero pericolo che si corre con tutte le conseguenze, altro che i giorni di vacanza!
Anna Lanzetta,
Insegnante

Anna Lanzetta   
 
   15-07-2008
sarei pronta ed interessata a parlare dielle tematiche scuola.
Esse sono , eterogenee e confuse.
Mai un insegnante ha avuto il compito di spiegare solo la sua materia ma sempre e, qualche volta è andata bene , ad educare.
Torno da pochi giorni da un soggiorno con la mia insegnante di greco di allora ( tranne che in italiano, non sono mai stata altro che una alunnamediocre ). Sono stata tanto fortunata, ho incontrato persone eccezionali e per questo ho insegnato con amore anche quando il mio voto era insufficiente perchè non è mai stato associato al valore di un individuo e al mio rispetto. I ragazzi percepiscono benissimo quando ci siamo per loro e quando ci siamo con sopportazione e lamentele.
buonanotte e a presto.
patrizia garofalo
patrizia garofalo   
 
   13-07-2008
io non credo che la passione e la comunicazione si insegnino,nè siano proporzionali al reddito. Esse fanno parte di una elaborazione, crescita e personale interesse e ricerca.Nella scuola per vari motivi sono state assunte persone che volentieri avrebbero fatto altro. Oggi si parla bullismo della fragilità giovanile etc......esistevano anche prima ma l'accorgimento, l'attenzione, la prevenzione, sono stati sottovalutati fino a quando non sono esplosi.
patrizia garofalo
patrizia garofalo   
 
   13-07-2008
Molto interessante questo articolo che tratta in modo chiaro un tema che, in realtà, è molto complesso. Infatti l'argomento del disturbo mentale professionale si collega, a mio avviso, al visibile susseguirsi di fenomeni di degrado sociale e di civiltà dei nosri tempi.
Senza dubbio un tema da reimpostare in una chiave di interpretazione, dunque, più ampia e che offra nuove prospettive di intervento.
SenzaNome   
 
   12-07-2008

Certamente la professione docente non è per niente semplice. Nella mia esperienza, prima di docente, poi di dirigente scolastico, ho assistito ad una progressiva svalutazione del ruolo docente, accompagnata da una sempre maggiore complessità nella gestione di tale ruolo.
Oggi non è più sufficiente conoscere la propria materia, ma sono richieste molte altre competenze: relazionali, comunicative, gestionali oltre che metodologiche e didattiche.
E' una professione che si base essenzialmente sulla relazione: con gli alunni, con i colleghi, con i genitori, con gli enti territoriali...e la relazione è spesso fatta di conflitti,di metacomunicazioni, di gestione di ruoli, di mediazioni e richiede competenze che non si improvvisano.
Purtroppo alla base manca una formazione in tal senso e quando un docente si trova a dover gestire relazioni complesse o problematiche è spesso in difficoltà.
A maggior ragione oggi dove le fragilità dei bambini e degli adolescenti sono più evidenti, dove la disabilità, le difficoltà di apprendimento, l'integrazione degli alunni stranieri impongono una attenzione sociale e una presa in carico di problemi complessi.
E' vero che l'insegnante non deve fare la psicologa o l'assistente sociale ma è chiamata ad una sensibilità e ad una capacità nel saper cogliere segnali di disagio, nel saper ascoltare ed essere spesso un punto di riferimento.
Tutto questo mette a dura prova l'equilibrio di una persona, che spesso si trova sola ad affrontare difficoltà e problemi.
Per questo nella scuola si sta cercando sempre più di lavorare in gruppo, perchè la condivisione dei problemi aiuta ad vederli in modo diverso, si suddividono le responsabilità e si supportano le fragilità.
In alcune scuole c'è anche la figura dello psicologo o dello psicopedagogista, che oltre ad essere un riferimento per gli studenti, sta diventando un aiuto anche per i docenti nella gestione delle problematiche relazionali e nella gestione dei conflitti.
E la formazione richiesta dai docenti non è solo sulle discipline o sulla metodologia, ma sempre di più sulle tematiche relative all'ascolto, alla comunicazione, alla relazione, al benessere di tutti i soggetti della scuola.
Purtroppo la formazione è un diritto che non tutti vogliono esercitare e quindi vi sono gruppi di docenti che si chiudono in forme difensive che non lasciano spazio alla relazione.
Per questo ritengo che debbano essere modificate sia la formazione iniziale che le forme di reclutamento che dovrebbero considerare le diverse competenze oggi richieste.
Purtroppo, accanto ai tanti problemi legati alle relazioni, a livello istituzionale si passa da una riforma all'altra che lascia la scuola in uno stato di precarietà e di incertezze: unità di apprendimento o nuove indicazioni? Portfolio? Certificazione delle competenze? Recupero dei debiti? Autonomia?
Per fortuna la scuola regge al di là delle riforme, con grande dispendio di energie da parte di docenti che sanno superare la demotivazione indotta .
Perchè c'è ancora chi crede nel proprio lavoro, lo fa con passione, con motivazioni che vanno al di là del misero stipendio e trova nell'insegnamento la possibilità di contribuire a costruire il futuro delle nuove generazioni.
Vanda Gibellini   
 

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