14-10-2007 | Mi è venuto in mente di aggiungere alcuni approfondimenti a quanto ha egregiamente esposto Cappelli sulla questione dell'Omelia, ma senza sovvertirla. Semmai la dispone ad avere, forse, un provvidenziale abbrivio per poi procedere a realizzare «la chiesa del futuro», come l'autore auspica, che così sembrerà a portata di mano.
Vado subito al nodo non considerato da Cappelli, mettendo in evidenza una cosa di base su cui si poggia tutta la liturgia della Messa, il mistero di ciò che «non è di questo mondo» da dove proviene «la Parola che salva». Vi consegue che anche l'Omelia, per influire a rinforzare la fede, deve poter agire in modo che resti “avvolta” dal mistero.
Ecco che si comincia a far luce sulla necessità di far fare questo importante atto liturgico esclusivamente al celebrante della Messa, il quale essendo stato “iniziato” dal Vescovo a farlo, ne ha lo specifico potere. Si tratta di una vera e propria operazione chirurgica sull'anima per vie misteriche, non dissimile – a mio avviso – da un esorcismo.
Allora, se questo mio ragionamento sta in piedi, il catecumeno non è altro che il paziente che può solo partecipare all'operazione non senza sofferenza a causa del bisturi dell'Omelia, una vera e propria «Spada di Cristo», senza possibilità di intervenire.
Ma si è perplessi sul fatto che al tempo di San Paolo, questo “bisturi” era anche in mano ai convenuti alle assemblee cristiane ed ora no. Come si spiega? Eppure, come rileva Cappelli, San Paolo oggi viene presentato come «modello di predicatore».
Mi pare di ravvisare la ragione relativa nel fatto saliente che al tempo dei primi cristiani era molto diffusa un'umanità con dei carismi speciali, come quello della profezia, della veggenza, il dono di interpretare la divina Parola stessa, ed altro. Era come se il «non di questo mondo» fosse ivi presente, quasi a portata di mano e perciò era d'uopo che tutti i convenuti potessero intervenire per «l’edificazione comune». Ovviamente era cosa buona per San Paolo che non venisse spento lo Spirito divino che in essi aleggiava così vistosamente.
Il seguito storico a queste prolifiche esperienze paoline lo conosciamo. Progressivamente cominciano ad affievolirsi e degradarsi i poteri carismatici della cristianità in cammino. Di qui deviazioni dottrinali in continuo aumento hanno dovuto per forza maggiore indurre i Papi e con essi i Vescovi a disciplinare come sappiamo l'azione liturgica della Messa, in particolare in sede omeletica.
Oggi, di carismi non se parla affatto e quelli che sembrano tali, comunemente definiti “paranormali”, non sono tanto visti di buon occhio dalla Chiesa, tanto meno dalla civile comunità laica. Insomma si tratta di un mondo che – tutto sommato – non è così incisivo da molestare il cristianesimo, semmai sostenerlo se pur a modo suo.
Che può implicare questa nuova situazione?
Che forse, come si profetizza nell'ultimo testo sacro del Vecchio e Nuovo testamento, l'Apocalisse di Giovanni apostolo, stanno per scadere i «mille anni» della detenzione del «dragone, il serpente antico – cioè il diavolo, satana» [Ap. 20,2]. Non ha più i suoi poteri eccezionali di quanto ebbe modo di abbindolare nel giardino edenico Adamo ed Eva.
Si tratta della “sapienza” di nuova generazione, proprio la stessa auspicata da Cappelli a conclusione del suo articolo: «Così da rafforzare la coesione umana e spirituale, della persona con i suoi simili, del cristiano con i suoi confratelli, la parrocchia, la Chiesa universale e la Comunione dei Santi che, – grazie al Corpo mistico di Cristo –, unisce il Cielo con la terra facendoci intravedere il ‘già non ancora’ della Vita eterna».
Tant'è che è l'Apocalisse giovannea a additare «il nome della bestia» come sede della «sapienza» [Ap. 13,18].
Gaetano Barbella
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