16-10-2007 | Del discorso amoroso:
non vorrei lasciare questo consesso (senza sesso, mi raccomando), rivolgendo a chi tanto cuore ha messo in queste pagine, una preghiera.
Non sono così preparato da fare citazioni, nè tantomeno da dedicare strofe e rime a chicchessia, ma ho tanto goduto di quelle poesie che mi mandavi tempo fa....
Non sono cambiato da non saperne apprezzare ancora la dolcezza e eleganza..... scrivimi ancora.... saprò riconoscere il tuo cuore e dove naviga in questi giorni. Ti sto aspettando....
..... non si dica che il melodramma è morto... la teatralità non mi manca, rideteci sù, è una leggerezza dell'anima... gpt | 16-10-2007 | Davvero basta, amici miei, tra bastonate e carezze, sta diventando un reality, questo spazio che, con cura, invece, sia la redazione che gli "scrittori" sostengono. Oltre a discuterne, mi pare siamo riusciti a dare espressione di un modo simpatico di reciprocità nell'incontro con l'altro, ne sono contento, ne siamo usciti incolumi nonostante i fendenti che sono volati fossero tuttaltro che scherzosi. Ringrazio la pazienza e la competenza, e mi permetto di dire l'umanità, della signora Ivana, strigendole la mano la aspetto per nuove discussioni appassionate su queste pagine.
gpt
gpt | 16-10-2007 | La sua accalorata sincerità, unita alla simpatia che emana, non possono non toccarmi, caro gpt, al punto da spingermi ad invitarla a rileggere con un po’ più di distacco le mie parole, nello scrivere le quali , se c’era in me una forma di interrogazione e di autoesame, non ho mai avvertito alcun impulso di rimprovero o di giudizio, né verso la sua persona, né verso i contenuti della sua scrittura. Sono un essere curioso e riflessivo, signor gpt, mi piace leggere e intendere, non bacchettare: leggendo il suo desiderio di ulteriore approfondimento, e non trovando interessante trasformare un luogo di incontro e confronto pubblico in uno spazio personale, mi son trovata fra le mani una strana e, dal mio punto di vista, apprezzabile opportunità, che non ho voluto perdere. Quella di prendere atto e rilevare la preziosità di poter lasciar fluire, su una pagina web di una rivista di cultura, quella immediatezza del dire di cui lei, con le sue stesse parole, dà ulteriore conferma in quest’ultima missiva: un compiacimento, da parte mia, e un riconoscimento verso la redazione, per il fatto che ci sia uno spazio disponibile e democratico dove il tono e l’atteggiamento “artistico”, sia suo che mio, o di chi abbia qualcosa da dire, possono trovare voce ed interloquire senza tema di suscitare arringhe e subire un giudizio.
E tramite il quale, se ne sarà già accorto, lei ha trovato e sta già percorrendo la staffetta per andare oltre quella che, parole sue, definisce una sua superbia. Non sarà lei, un po’ severo, magari? Tutti vorremmo acquisire la sicurezza desiderata!
Lei, per la sua ambizione, chiede supporto. Io glielo do volentieri, non trascuri lei un po’ di pazienza.
Cari saluti
Ivana Cenci | 15-10-2007 | ....cosa mi tocca sentire!
Non sono un pazzo furioso, nè tantomeno un caso patologico, un poco mi turbo....
Tengo a precisare, con forza, se posso, che non rinnego una sola sillaba di quanto ho scritto, non avevo certo intenzione di ritrarre la mano dopo aver lanciato il sasso. La precisazione fatta, voleva dire che il senso delle mie parole erano e sono sincere e mie, mentre il tono e l'atteggiamento, nasceva da uno spirito, diciamo per dire, artistico. Ho fatto l'errore di lasciarmi coinvolgere emotivamente, soprattutto di lasciare che il Soggetto della disputa fosse portato a essere oggetto, di questo mi sento colpevole e me ne scuso pubblicamente. Di nascondermi dopo aver parlato, però, lo nego assolutasmente. So bene, e lo confermo, di aver espresso cose che solitamente stanno "dentro la pancia", ma se l'ho fatto è grazie alla bravura, e principalmente all'impegno, che la signora Cenci ha messo nello studiare e poi riportare quelle belle riflessioni. Personalmente, glielo devo. L'attenzione e la libertà che concede il Direttore di questo giornale, mi hanno dato l'occasine e lo sprone per uscire allo scoperto. Se uso una sigla per firmarmi significa che ancora non ho quella sicurezza in me che dovrei avere, ma se mi sentirò ancora a casa, insieme a voi, supererò questa mia superbia in breve.
Sincero in questo modo lo sono raramente, non vorrei aver usato queste righe per una difesa personale, spero di poter dare un contributo alla discussione e non ricevere rimproveri così severi.... Con simpatia, gpt gpt | 14-10-2007 | "Ciascuna volta si recita a soggetto", ecco un titolo che potrebbe sintetizzare, forse, appropriatamente questa raccolta di commenti, mettendo in evidenza come la scrittura via web spesso si presti a dare spazio a quell’inclinazione dell’anima che è la spontaneità, l’immediatezza, a quell’immediatezza del dire che, scevra da riflessioni profonde e da congetture filosofiche, risponde piuttosto ad una urgenza del momento, lasciando emergere quello che difficilmente lasceremmo sortire in contesti altri, e che mai affideremmo alla carta stampata.
Che cos’ha di diverso la scrittura via web? Cosa c’è di particolare, in questo che alcuni definiscono “diabolico” strumento di comunicazione, che fa sì che un signor Gpt osi esprimere con semplicità dubbi e questioni che, probabilmente, non aveva lasciato affiorare prima neanche a se stesso?
Per poi arrivare ad affermare che, tutto sommato, questa che viene messa in scena è in fin dei conti una parte di una commedia e a sentire la necessità di scusarsi per questo spirito sbarazzino e un po’ irriverente che evidentemente è sfuggito al suo abituale status di controllo?
Mentre il signor Carlo, dopo attenti e dettagliati ragionamenti, giunge a proclamare di non voler prestare fede a voci altre che non siano quella del suo desiderio, che egli definisce, con un termine calzante e con la maiuscola, Direttore d’Orchestra.
Allora, se il desiderio è il vero Direttore d’orchestra, è ad esso e alle sue urgenze che rispondiamo nel gesto di scrivere, e particolarmente quando ci mettiamo a scrivere sul web, dalle persone più preparate e colte, a quelle più semplici e naives, permettendoci quella immediatezza e ingenuità di linguaggio, che sulla carta non use/oseremmo mai e che trova accettabilità e supporto nel fatto che oltre il monitor ci sia un essere “altro” cui idealmente ci rivolgiamo, il quale ci dia garanzia e testimonianza di ascolto e di riconoscimento entro un tempo che per noi risulti accettabile. Rileggersi e trovarsi a confronto con la propria scrittura non è mai facile, ancor meno in questo caso in cui, proprio per le condizioni e le suggestioni suscitate e favorite dal mezzo, ci si scopre particolarmente esposti, talvolta inspiegabilmente esposti, quasi fossimo stati oggetto di malia. Eppure non c’è malia alcuna, se non quella sorta e alimentata, per l’appunto, da un desiderio: il nostro che, trovando un ideale punto di appoggio, coglie volentieri l’illusione di un più facile e accessibile spazio espressivo e si mostra più disinibito e senza riserve. Per accorgersi poi, che le questioni e le attese istintivamente rivolte e caldamente indirizzate all’altro, tornano irrimediabilmente, con eco fedele e accresciuta valenza, al punto esatto da cui sono partite. E ci premono come prima non era accaduto.
E’ una visione sicuramente azzardata e molto, molto parziale, ma si potrebbe anche ipotizzare che i dibattiti, le discussioni, i confronti e i coinvolgimenti iniziati negli anni sessanta-settanta, proseguiti con le lotte sociali e politiche e poi degenerati o delusi fino ad estinguersi, abbiano in qualche modo seppur parzialmente, trovato voce e traduzione in questo spazio in cui i lettori sentono possibile una interlocuzione senza giudizio e senza frontiere, una possibilità di dialogo, uno scambio culturale ed umano simile a quello che, in maniera sicuramente più concreta, si faceva allora: un universo, seppur virtuale, che permetta l’espressione di sé, dove dibattere dei propri problemi e confrontarsi sui diversi punti di vista …. che non ci lasci solo impalati e passivi spettatori inermi, e dietro il quale si percepisca almeno un resto: una traccia visibile di umanità.
Ivana Cenci | 12-10-2007 | Una bella competizione.....
Vorrei fosse esplicito il fatto che, da parte mia, naturalmente, è parte di una commedia, questo duetto. Intendo dire che quel che conta è il contenuto dello scritto che parla di me stesso, mentre lo stile, il personaggio, nonchè lo spirito, sono occasionali. Sinceramente, dovrei vergognarmene, rivesto i concetti che provo a esprimere, a seconda dell'umor mio, in quel momento, più spesso guardo al tono e all'intenzione di colui, colei che leggo prima.
Non ho intenzione di mancare a nessuno, se questo spirito un poco sbarazzino e irriverente, urta la vs sensibilità, mi dispiaccio e domando scusa.... davvero io ci gioco, cercando di creare uno stile, grazie, a forse presto...gpt gpt | 11-10-2007 | Stimata, adorata, ammirata, adulata e venerata (da me, s’intende) Signora Cenci, (ehi, niente paura, si tratta solo di “narcisismo cronico” e/o “semplice galanteria”!), vorrei dire alcune cose su questo Suo ultimo scritto-commento-risposta, che trovo assai bello, generoso per quanto mette in gioco di se, ed elegante. Parto da termini ed espressioni da Lei usati, che fanno coerentemente seguito alla questione già toccata (di striscio) sulla “in” e consapevolezza, ossia:
“discernere ciò che è veramente mio e viene da me....da ciò che non lo è “; e ancora, termini che ricorrono sparsi, come “identità”, “individualità”…etc.. Ora, potremmo provare a paragonare la moltitudine degli individui alle milioni di cellule di cui è fatto ciascuno: riusciamo ad immaginare in cosa evolverebbe la specie umana se ogni cellula rivendicasse per sé libertà, identità, personalità, individualità, senza avere come scopo unico e primo l’armonia e il funzionamento dell’intero organismo? E’ plausibile pensare che “l’essere se stessi”, il rivendicare qualcosa come “proprio”, non può prescindere da un “non-proprio” che è alla radice e su cui il “proprio” si fonda. Il “non-proprio” possiamo intenderlo come la realtà inattingibile, quel Vero di cui nessuno può farsi garante. Cionondimeno, ciascuno è libero e legittimato a lavorare per il conseguimento di una seppur illusoria identità, senza necessariamente tirare in ballo concetti come dovere, responsabilità o altro, verso se stessi e gli altri. Cito a proposito, e perché la poesia illumina, alcuni versi che ho recentemente letto da qualche parte, credo di Montale: “Se un’ombra scorgete, non è / un’ombra – ma quella io sono. / potessi spiccarla da me, / offrirvela in dono....”. Tra conscio e inconscio, identità e alterità, proprio e non-proprio, sé e altro da sé, ci accorgiamo che le voci in campo sono fin troppe....e che la “reciprocità” attiene più al coro che al duetto. Per conto mio, ricordando che ci troviamo nella sezione “discorso amoroso”, e che pur uscendo dal solco non vorrei uscir dal seminato, mi propongo di non prestare troppa fede a tutte queste voci e seguire solo la bacchetta dell'unico Direttore d'Orchestra: il desiderio. Anche per non rischiare di andare ad un incontro amoroso con la stessa leggerezza e ardore con cui si va ad una riunione di condominio.
A proposito di direttori, colgo l’occasione per salutare cordialmente il Direttore Di Scalzo e informarlo pubblicamente, se ancora non lo sapesse, sulla mia modesta presunzione e sete smisurata di fama e notorietà: voglio la prima paginaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!
Un caro saluto a Lei Signora Cenci
Carlo | 11-10-2007 | Che piacere ricevere risposta da Lei, gentile Signora, mi dispiarebbe se il tono di questa sua fosse piccato. Ho inteso proporre il mio pensiero in assoluta sincerità intellettuale, scoprendomi al rischio, come avvenuto, di critiche e rimbrotti. Entrando nel merito:
condivido ciò che lei mi obbietta, anzi rafforzo il concetto dicendo che Mai si deve rinunciare a difendere se stessi e quanto si vale in sè, ma andavo più nel sottile, scrutando col microscopio le sfumature. Del mondo che ci circonda, davanti alla ns dignità, e alla fedeltà di cui l'argomento a valle, convengo pienamente, ma approfondendo, se l'Altro "è", di sua natura, e io ho accettato un ruolo, lasciandolo inalterato (lui), quindi sincero, rendo un onore alla mia fedeltà o la rinnego, dato la posizione che ho preso in partenza, di scegliere io, senza nessun coinvolgimento dell'Altro? Non sono sicuro di saper esprimere quanto colgo dal cesto dei pensieri, mi scuso ancora, ma voglio restare un improvvisatore pensante, senza diventare un professionista del pensiero. Prendersi sul serio, mi sembra, ai ns giorni, stia facendo danni catastrofici, sembra la malattia dell'attore che nn sa più uscire dal personaggio e che perde per questo la identità e anche stravolge quella teatrale. La digressione sociale è un omaggio compreso nel prezzo... Non so cosa significhi la discussione con il direttore, se sono pedante, se non opportuno, vi basta dirlo....sparirò. Cordiali e sinceri, in quanto dal cuore, saluti! gpt | 11-10-2007 | La ringrazio vivamente per la Sua interlocuzione e curiosità, Signor Gpt, soprattutto per l’occasione di riflessione che il suo interrogarsi permette. Come avrà avuto modo di osservare, più che ammirazione, ciascun commento porta in sé un contributo di perplessità e di quesiti, e questo è davvero il dono più prezioso, in quanto si dà e può essere raccolto come motivo di riconsiderazione e di crescita, sia per chi lo scrive, sia per chi legge.
Per venire al Suo quesito, ovviamente posso offrirLe soltanto il mio modesto punto di vista: resta a Lei la scelta di riconoscergli un fondo di verità o contestarlo. Personalmente, ho vissuto molta parte della mia esistenza dedicando il massimo rispetto, e poco serbandone per me stessa, quindi, a quel micromondo cui Lei fa riferimento, per necessità e pressioni che da quel mondo stesso mi venivano imposte e che io sentivo come inderogabili. Siccome non mi piace scendere troppo sul personale, Le dirò semplicemente che, per fortuna, altre necessità, provenienti dal fondo del mio essere, mi si sono via, via imposte chiedendo, anche con violenza, un’attenzione a me stessa. Un’attenzione che, lo affermo senza remore, non mi ha certamente impedito di mancare di ascolto e sensibilità verso chi mi sta intorno, semmai, a imparare pian piano a dare ascolto anche a me, ascolto profondo intendo, quello che permette di discernere ciò che è veramente mio e viene da me, come necessità, da ciò che non lo è, e scegliere di dedicare risorse a quanto effettivamente merita e sento per me importante, senza pretendere di essere pari a un dio. Imparare, nell’accezione più vera e pertinente il rispetto per sé stessi, implica necessariamente riconoscere il proprio limite, sentirsi parte unica e insostituibile del mondo cui si appartiene, aver consapevolezza del valore e dell’unicità di ciascun altro individuo, riconoscendo la sua valenza per noi e la diversa posizione di ciascuno. Implica anche l’accettazione, con vera onestà d’animo, di saper dire di no quando ci viene chiesto e sentiamo di non avere le risorse per dare, o di non voler dare, ben sapendo che l’altro ha identiche facoltà. Quella attitudine di generosità e disponibilità oltre il proprio confine che molti di noi hanno, quasi mai per libera scelta, fatto propria o, avendola fatta propria, assurta al ruolo di virtù, porta inevitabilmente a rompere gli argini da qualche parte, con conseguenze dannose, talvolta rovinose per l’individuo e per la collettività. Parlare di rispetto verso se stessi non è certo da confondersi con l’avidità, l’eccesso di narcisismo o la prevaricazione sugli altri: nel testo da me redatto mi pare che questa distinzione si evinca piuttosto facilmente, e come sia difficile pervenire a tale equilibrio. Ad ulteriore precisazione dirò qui che non solo io penso, ma è stato ampiamente accertato e riconosciuto che non è possibile accedere e poter mantenere il rispetto verso gli altri, senza prima aver attraversato e inteso fino in fondo il rispetto verso se stessi. Così come l’ascolto di sé, quello vero, permette di meglio intendere, distinguendola dalla nostra, la domanda dell’altro.
Mi dirà, gentile Gpt, se sono riuscita ad intendere un poco la Sua.
Un vivo e cordiale saluto
Ivana Cenci | 11-10-2007 | Gentile direttore Di Scalzo
Personalmente non mi sentirei poi così sicura, lo sa? di definire queste relazioni “non pericolose”!
Ha visto anche Lei che quasi, quasi, si è temuto di far cadere, e in qual disdicevole modo, la regina?
Per fortuna, con un poco di ironia, siamo riusciti ad accordare un po’ di respiro agli alfieri, mantenendo salda colei che, senza fallo, cadendo ci condurrebbe fatalmente allo scacco matto.
Ahhhh,, l’ironia, verità pudicamente velata…. sol a chi le sa intendere, rivela le sue forme!
Mi perdonerà il gioco di parole, io pure sono toccata dall’interesse sollevato da questo articolo, e gran giovamento e ripensamento assai ne traggo, dato che il questionar dei lettori è sincero e pertinente, e ad altri lembi di verità conduce.
E perché, vista l’inusitata apertura di sguardo e di orizzonti, e l’attitudine all’innovazione ampiamente testimoniate da entrambe le riviste, non osare questo viaggio inverso, dal web alla carta stampata?
La mia disponibilità è salda, egregio direttore... almeno quanto la regina
Ammesso che, come garanzia, questo possa bastare
Saluti vivissimi
Ivana Cenci |
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