23-11-2014 | Mi complimento con Gianfranco Cordì per avere richiamato l’attenzione sullo scrittore irlandese e sulla sua più emblematica e conosciuta opera : “Aspettando Godot” ; singolare la lettura che ne dà.
In realtà non è semplice comprendere il significato dell’”attesa” di Godot .
A mio avviso , però, essa non ha implicazioni metafisiche né tanto meno religiose.
Samuel Beckett ,che pure ha subito l’influsso dell’esistenzialismo francese, ne ha rifiutato la filosofia e le sue innumerevoli allusioni e fermenti culturali. Come sostiene il filosofo Theodor Adorno, non è possibile dare senso all’attesa beckettiana per via filosofica perché …”comprendere il senso vuol dire, né più né meno, comprenderne l’incomprensibilità, ricostruirne concretamente il nesso significante, che consiste nel rendersi conto che esso non ne ha… “
Quella di Beckett è un’apatia interiore prima che fisica: tutti i personaggi creati dal drammaturgo irlandese sono uomini smarriti, ma tuttavia sono tanto inattivi quanto logorroici… Sanno parlare… e parlare…. sono aggrappati alle parole.
“ Soltanto le parole rompono il silenzio, tutto il resto tace” scrive Beckett in “ Testi per nulla “e ,
in “Finale di partita “ , Clov dice ad Hamm : “ Adopero le parole che tu mi hai insegnato. Se non vogliono dire niente, insegnamene delle altre “ così B. lascia intendere che non abbiamo che le parole per restare avvinghiati all’esistenza .
La parola segnerà il nostro disfacimento o ci aprirà un varco in ciò che la sovrasta.
Illusione o potere salvifico del teatro e della letteratura ?
Giuseppina Rando |
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