03-11-2013 |
La morte di un giovane ci lascia sgomenti e ci assale il dubbio se possiamo definirci un paese che ha superato i pregiudizi, restio a emettere giudizi, a condannare e a discriminare. Purtroppo mi assale il dubbio che amiamo troppo le parole e poco i fatti, che la selezione è ancora troppo parte del nostro vissuto, che persi dietro un falso perbenismo non guardiamo attentamente ciò che accade fuori di noi, intorno a noi, troppo chiusi in una cultura retrograda che lascia ai margini coloro che vengono frettolosamente etichettati come “diversi”. Dimentichi del dramma umano di chi lo vive direttamente e delle famiglie che lo subiscono, solo di fronte alla morte ci mostriamo quali dovremmo essere sempre: aperti, disponibili, rispettosi verso chi etichettiamo. È in famiglia che devono essere posti i valori di una vita comunitaria dove il rispetto indistinto per tutti ne sia il fondamento. È la scuola il luogo dove in continuità e insieme con la famiglia va affrontato il problema di ciò che chiamiamo “diverso”. Il tempo speso con gli studenti di ogni età, per parlare e per confrontarsi su problemi sociali, è il cardine di ogni educazione che miri a una crescita basata sui veri valori della vita quali la comunanza e la comunicazione corretta, per realizzare cambiamenti e per una crescita sociale. Ma punto forte in tale contesto devono essere anche e in eguale misura la politica e i mezzi di informazione che possono e che devono essere di sostegno a un’educazione che altrimenti, troppo spesso rischia di essere fuorviante.
Sono stata insegnante, ancora mi sento in tale ruolo, e come tale rivolgo a tutti un appello accorato.
Anna Lanzetta |
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