26-04-2012 | Leopardi con l’idealista diventa turnista. M’è venuta questa facile rima e surreale titolo per “raccontare”, brevemente, che Leopardi ha avuto come destino, ingrato, spesso, quello di subire una lettura idealistica che nasceva da un occhio appiccicato al buco della serratura della sua biografia. Ricavata da lettere, fogli, financo cartelle cliniche. E frequentazioni. Adesso siamo al suo antisemitismo scoperto da Roberto Malini. Il che sul web, rilancerà leopardi accosto a questa interpretazione, accanto ad altre migliaia che nascono ogni giorno, e quindi cancellandosi, come il mio “Leopardi con l’idealista diventa turnista”. Quindi son qui che scrivo per il Nulla, sia chiaro, e Leopardi, ironicamente, sarebbe contento che ciò accada. L’idealista impone, di epoca in epoca, a Leopardi una sorta di “turno”, in stanze a lui strette, o vetrine, dove apparire con i suoi difetti, manchevolezze, crepe nel genio, malattie, e così via. Cominciò Tommaseo, il perfido Tommaseo, a scrivere che era la gobba a instillare nei versi, debolucci secondo lui, pessimismo. Il cattolico Manzoni, più privatamente, non fu meno feroce. Un amico, dell’ultima ora, tal Ranieri, scrisse di lui vere baggianate interpretative sul suo pessimismo. Ed esse furono messe in risalto, definendolo “scemo”, in un gustoso libro di Arbasino. Le esclamazioni amicali, di slancio amoroso intinte, rivolte dal poeta dell’Infinito all’amico napoletano Ranieri, potrebbero suggerire, a RM, che Leopardi era un omosessuale che nascondeva la sua vera sessualità, colpevole di non aver fatto outing. Mi permetto questa battuta. La critica idealistica, ebbe in Bendetto Croce, un suo colorito cultore. I malati di nervi, biograficamente registrati, ebbero giudizi sprezzanti. Su Leopardi segnati dalla biografia, rivelata od occulta, han campato, e per questo tartassato milioni di scolari( e per questo son severo con il Leopardi “biografizzato” in rivelati difetti che vanno a immiserirne la poetica e l’etica. Mi oppongo a che la manualistica da idealistica a tomi torni idealistica da banco-web), le maestre e i professori fino agli anni Sessanta. Quando il mirabile saggio di Luporini su Leopardi Progeressivo, e quasi militante del progresso, opera la prima crepa nel sistema idealistico; poi arriverà Timpanaro del quale seguirò le lezioni a Pisa. La gobba, la biografia penosa, i pidocchi, non c’entrano niente con la sua poesia. Leopardi porta alle estreme conseguenze l’Illuminismo disvelatore delle ideologie. Compresa quella risorgimentale. Cominciai a respirare. Poi son venuti i saggi di Mengaldo a illustrare la sapienza stilistica geniale di Leopardi; i saggi di Antonio Prete, che ho conosciuto all’università di Siena, sulla nostalgia di Leopardi; l’indagine su Leopardi e Pessoa di Tabucchi, sulla cui scia da tempo indago la presenza di Leopardi in area decadente franco belga, metti con Laforgue. Esemplare per togliere ad ogni idealismo la presa su Leopardi i saggi di Tiziano Salari e l’aver scelto il Leopardi che fa Filosofia e Poesia come nume tutelare per la rivista Anterem. Severino ha dato, un decennio fa, il giusto ruolo di filosofo al poeta. E di quelli basilari. Ma ora siamo nuovamente, al turnista, Leopardi torna ad esser letto con accenni alla sua “rivelata” e “sconcertante” biografia. Ciò secondo me è una sciocchezza. Autore ed opera son separati. A menoché uno non racconti questo intreccio sul piano quasi di un racconto-critico perché è Cesare Garboli . Concludo scrivendo che di questa prassi, il nascosto biografico, che di fatto mette in discussione l’opera, ci sono esempi a non finire. Oggi lo si fa sulla scia del “politicamente corretto”. Riguardo alla sessualità, alla tutela delle minoranze, alla politica che dev’esser liberale sempre. E’ una fatica inutile che non sposta di un millimetro la conoscenza necessaria dell’autore. Anzi complica il quadro, fa retrocedere l’interpretazione ad un idealismo fai da te, casalingo, da banco, Culture Desk, (adatto al web ovviamente); ironicamente posso suggerire temi in materia: Gadda pasticcia con il linguaggio ossequiante e untuoso nelle lettere per la sua nascosta omosessualità, Sibilla Aleramo non è un femminista ma il “buco dell’acquaio per peni poetici” come disse Caldarelli, Ungaretti se la fa con le ragazzine, Penna con i minorenni essendo pedofilo, Pirandello era un fascista servo del Duce, Pavese un nemico delle donne e un impotente dinanzi alla fessura della vagina, Pasolini un carrierista stando alle lettere spedite per vincere premi, e così via. Alcune delle operazioni più alte nella cultura, anche all’estero, han preso forma perché la critica si è staccata dalla biografia: Gallimard ha pubblicato Céline, Deleuze ha potuto scrivere su Nietzsche infischiandosene della “Distruzione della Ragione” scritta da un ungherese che lo definiva nazista, Colli, a Pisa, ha iniziato a curare Nietzsche, e migliaia di uomini e donne vanno a teatro a vedere Bertold Brecht anche se le femministe, usando sue lettere, lo fecero passare per un orrido maschilista. Accostandolo a Sartre quanto ad “uso” della donna succube dell’intellettuale. Per cortesia lasciate Leopardi nei Canti e nelle Operette Morali. Senza fargli fare turni in vetrine antisemite. Grazie. – Claudio Di Scalzo Claudio Di Scalzo | 26-04-2012 | obiettivo Malini e anche obiettivo Leopardi
paolo ruffilli | 25-04-2012 | I Francobolli, come li chiami tu sono in realtà segno di profonda lettura finalmente non accademica e petulante e ampollosa e fin troppo consueta.
e oltre alla lettura è evidente una profonda conoscenza degli argomenti trattati e rielaborati con amore nel secondo post-it dei commenti.
un abbraccio Roberto patrizia garofalo | 24-04-2012 | Un altro "Post-it" (spunto per riflessioni più ad ampio respiro, con riferimenti storici e filologici...) su Giacomo Leopardi e i suoi rapporti con la tradizione ebraica. Lo scrissi, come l'altro, una decina di anni fa. Amo Leopardi. Amo Chagall.
Il gallo di Leopardi e quello di Chagall
di Roberto Malini
"Affermano alcuni maestri e scrittori ebrei, che tra il cielo e la terra, o vogliamo dire mezzo nell'uno e mezzo nell'altra, vive un certo gallo salvatico..."
Non è la verità, perché il manoscritto su cartapecora che Giacomo Leopardi afferma di aver ritrovato fra antiche carte non è mai esistito. Nel preambolo al "Cantico del gallo silvestre" - ultima delle venti operette morali - il poeta si avvale di un'invenzione letteraria e descrive una metafora mai usata da scrittori della tradizione ebraica. Il gallo, però, nella simbologia degli ebrei è simbolo universale del risveglio. Per i greci, era un dono massimamente gradito agli dei (e soprattutto ad Asclepio), proprio per la sua funzione naturale di ridestare la vita. I cristiani, invece, devono agire rettamente ogni giorno, per evitare che il suo canto li colga nel peccato. Comunque sia, il canto del gallo ci raggiunge sempre durante una trasformazione, perché a ogni aurora, non siamo più gli stessi. E fra un canto e l'altro, si estendono "sovrumani silenzi", che annichiliscono il pensiero e il sentire. Meglio per noi che il gallo silvestre taccia e pensi a nutrirsi del suo becchime, che è polvere di stelle. Niente e nessuno, invece, può zittire un altro gallo "ebraico": quello di Marc Chagall, che svolazza di casa in casa, di "shtetl" in "shtetl", per avvertire gli uomini (i vivi e i morti) che non esiste luogo dove ci si possa fermare per trovare riposo, formare una famiglia o semplicemente festeggiare un giorno felice, un momento perfetto. Perché vivere è fuggire e il gallo o un violinista dalla faccia verde - che sono poi due maschere con cui la Morte dissimula il suo orrore - accompagnano la nostra corsa con una musica triste, ma bellissima. Roberto Malini |
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