05-10-2011 | Condividere Lidia Menapace non significa essere di diverso parere da quello espresso da Marco Lombardi.
"Implacabile, gelida ed avida" connotano l'amarezza sulla vicenda , le perplessità, la delusione sua, mia e di molti.
E' uno scritto importante quello di Marco , il contenuto non propone soluzioni perchè la vicenda in sè è gravida di dubbi.
Non ritengo neanche sia il caso di parlarne oltre.
Purtroppo questa morte servirà ad evidenziare l'inattendibilità della giustizia italiana e adesso, proprio adesso, una ragazza massacrata diventerà la dimostrazione di come un sistema giudiziario sconnesso
che accusa senza prove qualcuno possa essersi sbagliato
anche su illustri personaggi del nostro paese. patrizia garofalo | 05-10-2011 | condivido le medesime sensazioni espresse da lidia! angela r. | 05-10-2011 | Averne di proposte risolutive, avercene...
Ciò che ho cercato di esprimere va al di là di responsabilità individuali, esime della mala-giustizia, dall'incompetenza dei funzionari. Magari alcune di queste cose hanno anche contribuito all'evoluzione del “caso Meredith”, ma non è questo il punto. Si tratta di una considerazione che sta ancora più a monte: l'illusione che l'evoluzione tecnica, tecnologica in particolare, conduca ad una società razionale e capace di ridurre ai minimi termini le ingiustizie in ragione della lucidità del metodo scientifico. Ma il metodo scientifico, scrivevo, funziona solo nella perfetta controllabilità di un laboratorio, non nella realtà. Tutti gli esami balistici, fisiologici (si dice così?), genetici e quanto altro sia in mano a chi indaga, richiederebbero una verità giudiziaria ottenibile solo in teoria, perché sulla pratica pende sempre l'inquinamento ed il dubbio smonta la certezza di una condanna od assoluzione.
Da qui le mie due considerazioni. La prima, che sta nel titolo, è che tale presunzione di scientificità abbia reso la bilancia della giustizia gelida come uno strumento di laboratorio e potenzialmente implacabile. La seconda è che tale implacabilità, purtroppo, funziona giocoforza su chi non ha i mezzi per permettersi di virare a suo favore i limiti del mezzo scientifico applicato alla realtà, rendendo ciò che “è”, in ciò che “potrebbe essere stato”, o meglio che “potrebbe non essere stato”. Da qui l'avidità della giustizia. Una giustizia intesa come entità in astratto e non come pluralità di competenze umane che, quanto più oneste e coscienziose sono, tanto più si trovano in difficoltà ad emettere sentenze pesanti di fronte anche al minimo dubbio (quando questo dubbio viene sollevato). Nei romanzi, dove tutto dipende dal fiuto dell'investigatore, il reo scoperto confessa.
Oggi conviene sempre asserire la propria innocenza, perché la colpevolezza appurata senza ombra di dubbio non esiste.
Gli U.S.A. questa situazione la conoscono bene e non solo da O.J. Simpson in poi.
Ad ogni modo, se dovessi partorire un'idea, non mancherà di darne pubblicità, previo deposito del copyright ovviamente! Marco Lombardi | 05-10-2011 | faccia qualche proposta in merito claudio giusti | 05-10-2011 | Si Lidia, restano un nero e una ragazza massacrata di cui poco si è detto o ricordato .
Resta sospetta la forte pressione americana . Nel braccio della morte in quel paese "democratico" dopo 22 anni è stato giustiziato da poco un condannato su processo indiziario. Ed anche quest'ultimo era nero.
Ombre troppo lunghe. patrizia garofalo | 05-10-2011 | Di una vicenda triste e molto inquinata dalle grida del circo mediatico resta il fatto che solo un nero rimane condannato per essere complice (di chi?) e la vittima fatta girare per quattro anni come una maliarda in pose scomposte, rispetto all'imputata di omicidio, invece sempre dolce, gentile, acqua e sapone ecc.
In tutto ciò sento un forte sapore di scarsa limpidezza processuale e di dubbio, piuttosto che "l'implacabile e gelida bilancia di un'avida giustizia". Lidia Menapace |
|