News di TellusFolio http://www.tellusfolio.it Giornale web della vatellina it Copyright: RETESI GAS Valchiavenna. L’orto per tutti…|Una proposta rivolta alle persone interessate ad una coltivazione sostenibile La finalità, la mission di un Gruppo d’Acquisto Solidale (GAS) è quella di creare con i propri soci, più consapevolezza, maggior coscienza dell’universo sociale, economico, produttivo, ambientale... che si nasconde dietro al semplice “oggi compro…”. Senza diventare fanatici e magari passare ore in negozio a decifrare le etichette… ma senza nemmeno farci prendere troppo per il… naso dalle grandi Corporation che in quanto ad espedienti pubblicitari, trappole psicologiche, soluzioni acchiappacitrulli dispongono di un arsenale infinito. Il Gas della Valchiavenna tratta unicamente prodotti alimentari, ma una volta formatosi il proprio abito mentale, il socio, meglio la socia ché sono in maggioranza le presenze femminili, risulta poi in grado di affrontare attrezzata le sfide dell’acquisto nei vari settori merceologici. Già il neo iscritto gode di un vantaggio immediato, dal momento che i produttori che costituiscono il panel dei fornitori sono stati selezionati nel tempo, anche attingendo all’esperienza degli altri gas, come quello seminale di Morbegno che ha superato i 20 anni di attività, rispetto al terzo anno di vita del Gas Valchiavenna. In generale si favoriscono i piccoli produttori, meglio se con la certificazione biologica, il che vuol dire, rispetto per la Madre Terra, corretto trattamento dei propri dipendenti, garanzia ecologica di cibo pulito, sano e buono. È costante anche l’attenzione ai piccoli produttori del nostro territorio per l’acquisto di mele, succhi, confetture, miele, alcuni tipi di verdure e di formaggi… E volentieri si accolgono le autocandidature dei produttori nostrani che rispondano alle finalità del gruppo. All’attività di routine: contattare l’azienda interessata, aprire l’ordine, raccogliere le richieste dei soci, effettuare l’ordine… fino alla distribuzione dei prodotti e il loro pagamento, il Gas Valchiavenna affianca altre piccole iniziative: la partecipazione a manifestazioni con altri gruppi, lo svolgimento di corsi aperti a tutti i cittadini... A questo proposito, per il secondo anno, viene proposto a tutte le persone interessate un breve corso di quattro incontri dedicato alla costruzione e alla cura di un orto casalingo: L’ORTO per tutti, TUTTI per l’ORTO Quattro incontri colloquiali tenuti da Rosanna Barbonetti -orticultrice per passione- e quindi portata a sviluppare, chiarire, approfondire il lato concreto e “spendibile sul campo” delle argomentazioni orticole. Rosanna ha già tenuto il corso per il Gas RetiOro di Cosio V. che ha riscosso un alto indice di gradimento… Gli argomenti che verranno affrontati e discussi con i partecipanti saranno: - il suolo, le sue risorse, i suoi abitanti, - mantenere e accrescere la fertilità del suolo, - la semina, la consociazione, le cure, - coltivazione in vaso, contrasto ai parassiti, irrigazione corretta. Il primo appuntamento è fissato per sabato 3 febbraio, alle ore 14:30, presso la “Salette delle Parole” della Società Operaia Democratica di Chiavenna. Per info, iscrizioni, varie ed eventuali, rispondono i soci del Gas Valchiavenna: - Maria Chiara Monini 340 6744763 - Villiam Vaninetti 348 7498543 Gas Valchiavenna http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=122&cmd=v&id=24772 Villiam Vaninetti. Orto casalingo… Sembra facile!|Inizia giovedi 9 marzo il Corso a Regoledo La vexata quaestio di cosa debba fare un Gruppo di Acquisto Solidale (GAS) da “grande” attraversa da sempre il piccolo mondo associativo che rappresenta le variegate esperienze gasistiche, tanto più che sotto un cappello etico e valoriale che è abbastanza simile per tutti, poi ogni gruppo locale rappresenta un microcosmo a se stante. Con proprie regole di gestione interna, con fornitori scelti secondo logiche particolari che possono essere validissime per l’uno e invece discutibili per un altro, con formule organizzative le più fantasiose che si possano immaginare. Però poi… esauritasi la spinta emotiva iniziale, scemato l’entusiasmo di creare un organismo di persone “vive” che prima di entrare nel Gas, per lo più, nemmeno si conoscevano, una volta consolidato il panel dei fornitori e soddisfatti la curiosità e l’interesse per la scelta di cibi e prodotti che, difficilmente, si possono reperire nel punti vendita convenzionali… al duecentocinquantunesimo ordine qualche socio comincia a chiedersi: “È tutta qui la mission di un Gas?” cercare fornitori, prenotare, acquistare, consumare e fine...? Questo anche considerando che lo Statuto associativo, generalmente, presuppone ed elenca tutta un’altra serie di attività che si potrebbero svolgere sul territorio, iniziative di carattere culturale, informativo, animativo… Ma le scelte possibili sono talmente tante che solo la mancanza di fantasia e la pigrizia dei soci impediscono di inventarsi progetti e iniziative che si ritengano adeguati, nella specificità della propria concreta situazione locale. In sintesi, si tratta di scegliere se il GAS possa rappresentare un gruppo per il “cambiamento sociale”, oppure decidere/rassegnarsi a che tutta la vita dell’associazione debba svolgersi nel ristretto perimetro della compravendita di prodotti di consumo e non un metro oltre. Raramente la scelta si rivela facile, ché probabilmente ne deriverebbero aspre discussioni e scontri interni, inoltre molti soci hanno appena il tempo fisico per gli acquisti e le compere e comunque quelli che potrebbero essere disponibili, investono già in altri gruppi e associazioni di volontariato, i più diversi, il tempo e le risorse che intendono dedicare per attività di carattere civico, sociale, ecologico, umanitario, solidaristico… Il Gas RetiOro, che è tuttora impegnato a “gettare” solide fondamenta organizzative, non vive sicuramente queste problematiche, dal momento che è alle prese con il suo terzo ordine di prodotti, ma una puntatina per saggiare il vento che tira là fuori l’ha già pensata e organizzata. Nel frattempo ha “siglato” un primo accordo con un produttore caseario locale che applicherà una riduzione di prezzo sui prodotti acquistati dai soci gas; una formula che il Consiglio Direttivo conta di replicare con altri che vorranno fregiarsi del titolo di “Amici del GAS RetiOro”. Non potranno che venirne palesi vantaggi reciproci, sia per il produttore che per i soci. La puntatina in società, invece, è la proposta rivolta a tutte le persone interessate perché partecipino al corso “L’ORTO… naturalmente”. Si tratta di quattro incontri informativi, di scambio di idee e opinioni che si terranno a Regoledo (Cosio Valtelino) in preparazione dell’orto casalingo, appena la primavera farà capolino. Il debutto sarà per giovedì 9 marzo, inizio ore 20:30, e poi di seguito il 16, il 23 ed il 30 marzo. Animatrice delle serate sarà ROSANNA BARBONETTI, orticultrice per passione, che ha già tenuto corsi su temi “orticoli” ed è intervenuta in varie scuole a sostegno della costruzione di orti didattici. Gli argomenti affrontati nei quattro incontri saranno: - Il suolo, le sue risorse, i suoi abitanti: un aiuto per un orto migliore. - Mantenere e accrescere la fertilità del suolo. - La semina e la cura delle piante così da poter disporre a lungo di verdura fresca. - Coltivare anche in vaso, irrigare correttamente, contrastare i parassiti. Per informazioni e iscrizioni: Jessica 329 9335074, Villiam 348 7498543 http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=122&cmd=v&id=24513 Val Codera. 14° “Spirito di patata”|Prelibatezze dal sottosuolo Sabato 8 e domenica 9 ottobre a Codera, caratteristico borgo di granito raggiungibile da Novate Mezzola (SO) con un percorso panoramico di circa 2 ore di cammino, presso l’Osteria Alpina – partner dell’Associazione Amici della Val Codera odv, sita al centro del paese – cucinato con sapienza e nel rispetto della tradizione locale, questo splendido prodotto tipico della valle sarà presentato al vostro gusto in svariate ricette, così da farne meglio comprendere il sapore e la versatilità culinaria. A cena ed a pranzo degustazione di menù, tradizionali e non, dall’aperitivo al dolce, a base di patate di valle, appena raccolte nei campi di Codera: come aperitivo le bucce fritte di patata non deludono mai da anni! “Spirito di Patata” è nato infatti nel 2008 come diretta conseguenza dell’istituzione dell’Anno Internazionale della Patata da parte della FAO, teso ad evidenziare l’importanza di questo tubero nell’alimentazione umana mondiale. L’Associazione Amici della Val Codera, in quell’anno, le ha dedicato un importante convegno a Codera, convegno che ha raccolto una vasta partecipazione di relatori e uditori: il suo successo ci ha spronati a riproporre ogni anno una festa particolare dedicata ai preziosi tuberi, chiamati in dialetto Tartìfui. La “Due giorni della patata”, oltre alla degustazione dei menù, prevede una piccola esposizione di patate locali e non, visite ai magazzeni di conservazione ed una dimostrazione sul campo di raccolta. In occasione del 40° anno di attività dell’Associazione, chi salirà a Codera per la festa non potrà che apprezzare anche i momenti di canto corale del coro La Brughiera di Casorate Sempione (VA), il cui C.A.I. è legato da anni alla nostra valle, a seguito dell’installazione del bellissimo bivacco in Val Ladrogno, sottoposto in agosto ad importanti lavori di manutenzione che l’hanno reso ancora più accogliente! Cosa aspettate? Siete tutti invitati a partecipare! Associazione Amici della Val Codera odv www.valcodera.com Indispensabile la prenotazione per i menù degustazione Osteria Alpina 0343 62037 – 3381865169 Associazione Amici della Val Codera 3398158328 – info@valcodera.com http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=24335 Un tranquillo weekend di… Mercatino della Buona Terra -primavera-|A Morbegno, piazzetta Arengario, sabato 7 maggio, dalle 9:30 alle 17:30 Il secondo Mercatino della Buona Terra, il primo lo abbiamo tenuto l’ottobre scorso, rappresenta una delle ultime azioni del Progetto interassociativo che, il gruppoperativo del GAS ha voluto chiamare “Usciamo dal Guscio”. È stato il tentativo, con il poco che ancora rimane da fare prima della chiusura di giugno, di un piccolo gruppo di soci di uscire dalla logica ritualistica dell’acquisto prodotti, smistamento, consegna, pagamento… che rappresenta la ragione sociale del GAS (gruppo di acquisto solidale), ma che, alla lunga, per alcuni può configurarsi come un’attività scontata e ripetitiva. I Mercatini, così come “Il mistero del fagiolo perduto”, la fondazione del GAS di Valchiavenna, “Il Giardino degli alberi dimenticati” sono state le azioni pensate, progettate ed in gran parte realizzate sotto l’ombrello di “Uscire dal Guscio”. Questo secondo Mercatino segue le tracce della prima, riuscita edizione con la presentazione di produttori e di piccoli artigiani che rappresentano quel Nuovo Mondo economico che vuole ricercare il proprio sostentamento senza inquinare, devastare, succhiare dalla Terra ogni suo succo da trasformare in moneta sonante e diversi di loro sono già fornitori del nostro GAS. Alcuni possiedono la certificazione biologica, altri sono in conversione per averla, altri ancora sono biologici di fatto; non tutti i produttori e i piccoli artigiani che abbiamo interpellato hanno potuto dare la propria disponibilità, soprattutto a causa di impegni già assunti in precedenza, ma se anche questa seconda edizione si rivelerà ben riuscita non è detto che non ci si riprovi, una terza volta in autunno. Nel frattempo un tecno-socio si è messo all’opera per creare una pagina web dedicata all’evento… per conoscere gli espositori in anteprima: Mercatino della Buona Terra. Non ci siamo dimenticati dei bambini che potranno partecipare alle animazioni creative proposte dalla fattoria didattica SEMPREVERDE. L’ultima ora ce la suoniamo e ce la cantiamo insieme con The LONER rodata e affiatata band locale in classica formazione chitarra/basso/batteria, ma con il “bonus” Bruna Mazzucchi - voce. Il resto deve fornircelo Giovepluvio, in versione extra-dry.* Villiam Vaninetti GruppOperativo Usciamo dal Guscio * Il mercatino era stato inizialmente previsto per sabato 23 aprile e poi rinviato al 7 maggio a causa del maltempo. http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=122&cmd=v&id=24199 Maria Lanciotti. Progetto “Pachamama”|Orti urbani a Ciampino (Roma) La troviamo senza cercarla, e senza sapere che esiste, seguendo ‒ a piedi ‒ il percorso ciclabile. Un paio di cartelli su una bassa recinzione ed è la scoperta di una realtà ciampinese che allarga il respiro e gli orizzonti. “Pachamama”, in via Marcandreola, all’altezza del civico 38, invita a rallentare il passo per arrivare agli ‘orti urbani’ in aperta campagna. Siamo all’Acqua Acetosa, località nota in passato per la sorgente d’acqua dalle proprietà gustose e benefiche ‒ da cui la zona prende nome ‒ dove accanto alla fonte c’era un alimentari con i filoni di pane marinese sempre appena sfornato e nei paraggi l’osteria ‘Grappolo d’oro’ in cui si mangiava al sacco e l’oste ti serviva il vino fresco di grotta, mentre lo sguardo si perdeva nella distesa dei vigneti assolati ai piedi dei Colli Albani. Un paesaggio completamente trasformato in brevissimo tempo dall’edilizia residenziale, tuttora attiva e in espansione, ma ancora vivo e brillante nella memoria dei vecchi castellani. Pachamama o “Madre Terra” ‒ che riporta alla mente il capo Ichu e la festa della comunicazione, Rimanakuy, che nei primi anni Duemila si svolse per più stagioni nei campi allestiti principalmente ai Pratoni del Vivaro per apprendere usi e costumi delle popolazioni andine ‒ ci parla di una storia bella iniziata con la nevicata anomala del 2012 e dei suoi sviluppi. Una nevicata che presto rimodellò tanti scenari, incuriosendo un giovane che osservava dalla finestra della sua camera l’abbagliante fenomeno portandolo a riflettere sul destino degli ultimi campi incolti e l’utilizzo che se ne poteva fare, potendosi riaccordare con la natura e le sue leggi e con la profonda cultura contadina propria del nostro popolo. Ed è così che prende vita il progetto “Pachamama”, ideato e organizzato da Alessandro Francesco Pernice, lavoratore autonomo e ‘zappatore’ per passione, e promosso dalla Fondazione Il Campo dell’Arte. Il momento era propizio, un po’ ovunque nascevano iniziative e progetti legati al recupero della terra e ai vantaggi delle coltivazioni, al piacere di seminare e produrre riprendendo i ritmi delle stagioni. E su tale stimolo si concretizza nella primavera del 2012 la visione di Alessandro, che subito si adopera per convertire in orti i campi a pascolo che già da ragazzo amava abitualmente frequentare. Raddrizzate e rattoppate recinzioni, arrangiato un capanno per gli attrezzi, scavato un pozzo e ricavato l’impianto per l’irrigazione, preparato il terreno e frazionati gli orti di 50 m2 ciascuno, si parte con l’offerta tramite volantini e comunicati, cui subito aderisce un bel gruppetto di aspiranti coltivatori e nella primavera del 2012 si dà il via ai lavori. Non tutto fila liscio, ostacoli e difficoltà non mancano, inevitabile qualche errore, ma sbagliando s’impara e la terra vuoi o non vuoi t’innamora, e tra chi rinuncia sconfitto e chi invece s’attacca al suo orticello anima e corpo, la piccola comunità cresce in salute e si moltiplica fino ad occupare tutti gli spazi disponibili, una cinquantina. Una impresa impegnativa e rischiosa ma assolutamente vincente, che festeggia quest’anno il suo decennale. Questo più o meno quanto esposto sul sito e la storia ci piace tanto che ci spinge a recarci sul posto per saperne di più. Attraversato un vicoletto inseguiti dall’abbaiare di cani guardiani e superato il cancelletto interno che porta agli orti, disposti in due file separate da un viottolo, si viene afferrati da una sensazione di vitalità che è pura pace e ristoro. Incontriamo persone intente a curare i loro ortaggi e altre che arrivano o se ne vanno, e subito s’instaura un cordiale scambio, sollecitato dalla nostra stessa curiosità e interesse per l’insperata circostanza che riporta al formarsi delle prime collettività multiregionali nelle borgate ciampinesi, quando la gente si scambiava semi e ricette e tradizioni, esperienze e fallimenti e consigli, e l’aiuto reciproco all’occorrenza. E spontaneamente le persone si raccontano, quasi ricercando ognuno in se stesso i motivi per cui si trova a faticare sui campi invece di godersi, come spesso si riscontra, l’affrancamento dal lavoro con il pensionamento. Poche domande, come e perché hanno fatto questa scelta, come sono venuti a conoscenza di tale opportunità, quale la loro attività precedente o collaterale, quali le future intenzioni sul continuare o lasciare, e il discorso va da sé. Pierino vive a Roma Cinecittà: “Mi sono informato su internet, se ne trovano diverse di offerte simili. Qui mi piace e mi è comodo. È stato quando sono andato in pensione, io lavoravo in banca. Inizialmente non ne sapevo niente di orto e coltivazioni, poi piano piano ho cominciato a prendere la zappa. Mia moglie Paola mi aiuta, nemmeno lei ne sapeva niente, poi si è appassionata”. Paola, anche lei in pensione, conferma: “Ho conosciuto il contatto con la terra, dopo 42 anni di lavoro chiusa in ufficio. È tutta un’altra vita, mi piace”. “Siamo tante categorie miste di lavoratori, per lo più in pensione, e ci ritroviamo qui nel tempo libero. Io abito a Morena, qui ci arrivo a piedi”, il commento rilasciato in corsa da un bel signore abbronzato. “Io ero addetto al ricevimento alberghiero, interprete di tedesco e inglese” ci racconta Virginio, residente in Via Mura dei Francesi. “Sono nato da famiglia contadina a Staffoli, un paesello di tre case in provincia di Rieti, e a sedici anni sono partito per la Svizzera, dove ho studiato e lavorato con soddisfazione. Ma le mie origini restano contadine. Questo posto l’ho trovato con i cartelli pubblicitari e cercando su internet, l’uno e l’altro”. Marina, della zona Mura dei Francesi: “Vengo qui da tanto tempo, avevo saputo di questi orti tramite conoscenti. Veniamo qui con mia figlia e per due anni ci occupiamo noi dell’orticino. Io facevo la tappezziera. Poi mio marito va in pensione e il lavoro lo porta avanti lui. E noi gli diciamo: fai tu. Mio padre era di Caserta, viene a Ciampino e prende un bel pezzo di terra in Via Quarto Sant’Antonio, dalle parti di Frattocchie. Portava le verdure ai nipotini e tutti noi dietro a lui. Noi abbiamo mangiato sempre i prodotti dell’orto”. Fabio, di Via Torre di Morena: “Ho questo pezzetto di terra da 5 anni. Mi trovo benissimo, ci conosciamo un po’ tutti, nessun tipo di problema, nemmeno da fuori: quello che uno pianta ci ritrova. Io ho fatto tanti lavori: responsabile di magazzino, autotrasportatore, seguivo il Gruppo ricevimento e distribuzione elettrodomestici ed elettronica. Mai a che fare prima con la terra, non sapevo come era fatta una pala, sono diventato esperto facendo sbagli. Vengo qui la mattina presto, lo stesso orario di quando lavoravo. Qui sono libero”. Tommaso, il marito di Marina, nel frattempo impegnato a irrigare l’orto: “Io ho lavorato ai Fratelli Spada dal 1970 al 2009, quando sono andato in pensione un anno prima che cessasse l’attività dello stabilimento in via Lucrezia Romana. Ero litografo, categoria mettifoglio. Stampavo rotative da 48 pagine, una tecnologia allora all’avanguardia. Il fondatore dell’Azienda, Giuseppe Spada, era un buon datore di lavoro, riconosceva e premiava il merito, quando c’era. Morto lui e subentrati gli eredi tutto è saltato”. E così via, e quello che più stupisce è che a ricercare la terra siano più i professionisti, dilettanti in materia ma volenterosi d’imparare, che non contadini di nascita o di mestiere. Un richiamo forte, quello di Madre Terra, cui non si sfugge e più si fa sentire quando è messa a repentaglio la sua produzione che è la nostra sopravvivenza, come nel catastrofico momento epocale che si sta attraversando. La terra si rigenera di suo, se lasciata in pace a ricostituirsi dopo le infinite imperdonabili offese inferte dall’ignoranza e ingratitudine umana. La terra non ha certo bisogno di noi e della nostra opera inconsulta e distruttiva, ma siamo noi a dipendere dalla terra e dai suoi frutti che invece mandiamo in malora, e questo ce lo ricorderanno i nostri figli e le generazioni future quando forse torneranno a coltivare gli orticelli di guerra, e non per hobby ma per stretta necessità, come avviene in tante parti del mondo martoriate da conflitti insanabili e danni collaterali incalcolabili, che però non destano attenzione finché non riguardano direttamente. Maria Lanciotti (da castellinotizie.it, 27 marzo 2022) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=122&cmd=v&id=24178 Villiam Vaninetti. Mercatino della Buona Terra|A Morbegno il 23 ottobre Un po’ come le nespole sulle piante ancora verdi di foglie, sta maturando a Morbegno il Mercatino della Buona Terra che si terrà appunto a Morbegno, piazzetta Arengario, sabato 23 ottobre, dalle 9:30 alle 17:30. Se il primo Mercatino di cui si abbia memoria storica si è tenuto a Chiavenna nell’ottobre 2015, all’interno di un progetto sull’agricoltura ecologica e sociale il cui capofila era il WWF, questo lo tiene il GAS Morbegno, con l’appoggio del neonato GAS di Valchiavenna, all’interno di un progetto sempre sull’agricoltura ecologica e pulita e sul recupero delle varietà colturali tradizionali che vede come capofila gli Amici della Valcodera… per pura casualità fra gli organizzatori in carne ed ossa ci sono anche quelli del 2015. Seguendo i princìpi con cui è stato predisposto il Progetto, gli espositori, i produttori, i piccoli artigiani, le Associazioni… rappresentano quel Nuovo Mondo economico che vuole ricavare il proprio sostentamento senza inquinare, devastare, succhiare dalla Terra ogni suo succo da trasformare in moneta sonante. Alcuni fra loro hanno la certificazione biologica, altri sono in conversione per averla, altri ancora sono biologici di fatto; non tutti i produttori e i piccoli artigiani che abbiamo interpellato hanno potuto dare la propria disponibilità, soprattutto a causa di impegni concomitanti già assunti, ma, se questa prima edizione si rivelerà ben riuscita, siamo già pronti per un replay a inizio primavera. Le patate della Valcodera e di Starleggia, i fagioli di Bema, lo zafferano e la canapa valtellinesi, così come il formaggio bovino e caprino, il miele, il vino saranno alcuni dei prodotti che i cittadini interessati potranno provare ed acquistare, insieme ad alcune produzioni artigianali di rame, legno, feltro… L’ultima ora ce la suoniamo e ce la cantiamo con gli Xeres bros. E Max Marchesi alla chitarra e voce, nel trio Bluebirds. Dal momento che il “pacchetto” verrà chiuso solo il venerdì 22 alle 23:59… stiamo ancora lavorando per ampliare la platea degli espositori e soprattutto per mettere in campo alcune iniziative dedicate ai bambini, ché non debbano annoiarsi mentre i loro genitori bighellonano fra una bancarella, un gazebo… Villiam Vaninetti http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=122&cmd=v&id=23976 Mercatino agricolo per sviluppare filiere locali|A Chiavenna il 24 aprile Sabato 24 aprile in piazza Bertacchi a Chiavenna si terrà il primo mercatino agricolo anche con la partecipazione di qualche artigiano. Lo sviluppo di filiere locali è una delle iniziative previste nel progetto “Recupero di antiche varietà colturali di Valchiavenna e Bassa Valtellina” che vede come capofila l’Associazione Amici Val Codera, e partner attivi Legambiente Valchiavenna e Gas CamBìo Morbegno. Le associazioni che saranno presenti con i loro stand informativi per promuovere le antiche varietà da loro coltivate durante la bella stagione e che saranno disponibili nelle edizioni autunnali del mercatino. I prodotti che verranno raccolti dopo l’estate potranno essere prenotati anche durante la manifestazione di aprile. Gas CamBìo presenterà alcuni prodotti dei propri fornitori anche per incentivare la nascita di una GAS in Val Chiavenna. Si concretizzerà così il proposito del progetto di non concentrarsi solo sulle antiche varietà, ma anche di sviluppare filiere locali per una vendita diretta di piccoli e medi produttori agricoli, ma anche artigiani, della provincia di Sondrio e altri territori limitrofi: questo è un obbiettivo condiviso anche dall’associazione provinciale Asseval, associazione che che riunisce piccoli agricoltori e promuove l’Ecoturismo sul territorio e che parteciperà al mercatino. Voglia di promuovere un certo tipo di consumo attento al km 0, ma anche al consumo di alimenti più sostenibili con un occhio di riguardo quando possibile all’inclusione sociale. Legambiente dichiara: “Prediligere cibo che viene prodotto a pochi km di distanza significa sostenere l’agricoltura locale che è custode del nostro paesaggio e agevolare uno sviluppo della nostra provincia che dia spazio all’agricoltura, comparto produttivo che si contrappone ad un modello di sviluppo che si basa sulla continua costruzione di infrastrutture e grandi opere. Si otterranno degli impatti maggiormente positivi sull’ambiente se l’agricoltura sostenuta è su piccola scala”. Saranno presenti bancarelle di formaggio, miele, marmellate e di altri prodotti e inoltre una bellissima esposizione di cereali Alpini autoctoni e alpini, Segale, Grano Saraceno, Orzo, Panico, Miglio, Frumenti, le patate rare e fagioli. Sono state invitate anche alcune bancarelle di artigiani perché la produzione artigianale è un modello di produzione che premia la qualità, le relazioni sociali, le risorse (in questo caso non agricole) che sono presenti sul territorio, e un saper di un territorio che deve essere mantenuto. Inoltre il Mountain Man Ranch della Valchiavenna, presente alla manifestazione, permetterà ai bambini di conoscere il mondo dei poni e organizzerà divertenti mini-passeggiate per i più grandi. Gli organizzatori comunicano che “Come associazioni ci siamo impegnati in prima linea nelle coltivazioni e siamo consapevoli che il nostro compito sia anche quello di promuovere lo sviluppo di pratiche alimentari più sostenibili e di creare filiere corte in collaborazione con i piccoli produttori del nostro territorio”. I mercatini locali sono una modalità di consumo più sostenibile ma non esaustivo, ad esempio altre modalità sono l’acquisto alle botteghe del mercato NonsoloMerce, diminuire il consumo di carne, diventare soci di un Gas…. Consumare meno, consumare meglio, premiare con le proprie scelte, cioè con i propri soldi, chi produce nel rispetto di Madre Terra, chi tratta con equità i propri dipendenti, chi promuove inclusione di persone “deboli” e svantaggiate… ecco il profilo del cittadino consum-attore che speriamo di incentivare sabato 24 aprile. Noi siamo lì e speriamo di vedervi in tanti. Per Amici Val Codera Lorenza Tam (Legambiente) Paola Passerini (GAS CamBìo) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=122&cmd=v&id=23751 Renato Ciaponi. La forza dei cachi Non so quando le prime piante siano arrivate in Valtellina. Ma ho ricordi precisi di quando ero bambino (anni cinquanta) e osservavo sempre con interesse quelle piante adornate da belle palle color arancio, quei rami esili, privi di foglie, che le tenevano ancorate senza farle cadere. Sembravano alberi di Natale. La mia famiglia non aveva piante da frutta. Il nostro spazio fuori casa era molto ridotto. Ricordo un terrazzo, sotto una pergola di uva americana, un piccolo orto e uno spazio per giocare. Ma c’era sempre un vicino, un parente, che ogni tanto portava qualche piccola cesta di frutta colta da quelle piante che tutti i contadini tenevano in fondo alla vigna, a lato dei prati. Piante spesso selvatiche che non richiedevano cure particolari, producevano frutta sana, senza necessità di prodotti chimici. Oggi la definirebbero biologica. Erano ciliegie, prugne, pere, fichi. Poi ai morti arrivava anche la mia cesta preferita, quella dei cachi. Ricordo la dolcezza, le labbra e le dita sporche di arancione. Ricordo i semi che noi bambini cercavamo e aprivamo sempre come se all’interno ci fosse la sorpresa Kinder. Già, perché all’interno del seme che aprivamo delicatamente con un coltellino, si presentava un germoglio che poteva avere forme diverse: un cucchiaio, una forchetta, un coltello. Mio padre raccontava che le credenze popolari dicevano che ogni forma aveva un significato particolare: il cucchiaio prevedeva tanta neve da spalare, la forchetta indicava un inverno mite e il coltello avrebbe portato un freddo tagliente. Noi bambini mettevamo poi il nostro frutto in una tazza della colazione, e con un cucchiaio mangiavamo prima la gustosissima polpa poi la buccia e alla fine il cucchiaio o il dito cercavano gli ultimi rimasugli fino a lasciare la tazza perfettamente pulita. Alcune volte la mamma ci dava anche delle castagne cotte e allora la dolce succosità del caco e la morbidezza della castagna si fondevano in una piacevolezza particolare. Ancora oggi in Valtellina i cachi colorano di arancione le umide giornate autunnali, ma a differenza di tanti anni fa, spesso i frutti rimangono per tutto l’inverno alla mercé degli uccelli, senza essere colti. Forse per la scomodità di frutti troppo in alto, per la fragilità dei rami che non permettono di salire sulla pianta, per la necessità di utilizzare lunghe scale. O forse anche perché non più apprezzati con gioia dai bambini ormai abituati ad altri sapori. Ma è giusto ricordare che si possono cogliere i cachi, anche nelle parti alte degli alberi utilizzando strumenti appropriati come il “coglifrutta”. Un lungo manico, comandato alla base, che termina con due “mani” che staccano i frutti dalla pianta senza schiacciarli. Va anche ricordato che gli anziani consigliano di coglierli presto, quando sono ancori duri, conservandoli e facendoli maturare poi in cassette senza sovrapporli, in luoghi asciutti e freschi, per averli più belli, senza appassimenti della buccia. Il caco è un frutto speciale. Energizzante, diuretico, lassativo, ricco di vitamine A, C e B, sali minerali, soprattutto potassio, calcio, fosforo, rame. Protegge anche il cuore e aiuta ad abbassare il rischio di malattie cardiovascolari. Ricco di antiossidanti, fibre e minerali, previene infatti l’aterosclerosi coronarica. Dimostrate pure le virtù depurative, epatoprotettive e quelle di abbassare il colesterolo. Ultimamente è stata segnalata anche, grazie alla presenza di tannini, la grande utilità nella difesa immunitarie riducendo l’infettività del Coronavirus. Secondo “i risultati dei test condotti da un gruppo di ricerca della Nara Medical University della città di Kashinara, in Giappone, i tannini dei cachi sarebbero efficaci per indebolire l’infettività dei campioni di coronavirus presenti nella saliva”. Nei loro test, i ricercatori “hanno aggiunto un’alta concentrazione di tannini di cachi a un campione di saliva umana contenente virus CoVid-19, rinvenendo, dopo appena 10 minuti, che l’infettività del virus si era ridotta a un decimillesimo del grado iniziale”. Pur ovviamente prendendo l’informazione con cautela, rimane il fatto che la presenza di vitamina C e di betacarotene è sicuramente efficace per migliorare le difese immunitarie. Ultima cosa. I cachi possono essere anche utilizzati in cucina, nella preparazione soprattutto di dolci, torte, budini, confetture. Ottimi in abbinamento con il cioccolato. Ma non solo dolci, anche altri piatti. Vi suggerisco una ricetta originale e gustosa: risotto, cachi, gorgonzola e noci. Preparate il solito risotto, con il trito di cipolla, la tostatura del riso, la spruzzata di vino bianco e la cottura lenta nel brodo aggiunto piano piano. Terminata la cottura, a fuoco spento aggiungete la polpa frullata di 2 cachi, mantecate bene con il gorgonzola e alla fine, nel piatto, aggiungete alcuni gherigli di noci e alcuni ciuffetti di caco frullato. Vi assicuro un ottimo risultato. Buon appetito. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 22 dicembre 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23566 Renato Ciaponi. Noi cerchiamo le emozioni|Alla 113ª edizione della Mostra del Bitto... Diversi visitatori della mostra di Morbegno mi hanno chiesto come ha lavorato la commissione di valutazione del concorso caseario della 113ª Mostra di Morbegno in un periodo così delicato a causa della pandemia Covid19. Mi sembra allora corretto informare produttori e visitatori su una organizzazione particolare, diversa dall’abituale procedimento di valutazione, ma che ha permesso di arrivare a risultati sicuramente validi, coerenti con i principi che hanno sempre ispirato tutti i componenti della commissione. La commissione composta da 25 giurati, tutti formati attraverso i corsi dell’ONAF (Organizzazione nazionali assaggiatori di formaggi) provenienti anche da altre provincie, ha lavorato in un modo inedito ma comunque proficuo e sicuramente raggiungendo un risultato preciso e veritiero sulla qualità dei nostri formaggi. Il concorso, come sempre, era dedicato a diverse tipologie di formaggio: Bitto DOP (produzione dell’anno e produzione 2019), Valtellina Casera DOP (in tre diverse stagionature), Scimudin e Latteria. Nelle passate edizioni il lavoro della giuria iniziava esaminando la partita presentata, composta da due forme, una delle quali scelta dal produttore per il taglio successivo. La valutazione teneva presente la cura prestata al formaggio durante la stagionatura. In particolare si valutava lo scalzo, che deve essere concavo con spigoli vivi, la crosta che deve essere liscia, omogenea, non presentare screpolature, macchie, muffe. I giurati potevano toccare la forma, girarla, capovolgerla, per poter esprimere un giudizio completo. La forma veniva poi tagliata lungo la diagonale e veniva presentata al tavolo della giuria per una valutazione delle caratteristiche della pasta: colore, occhiatura, consistenza. Ad ogni commissario veniva poi data una barretta di formaggio, tagliata verticalmente in modo di lasciare sia la crosta superiore che inferiore ed iniziava l’assaggio con una discussione per ogni singolo campione. I giurati, seduti intorno ad un tavolo, ricevuto il campione di formaggio e dopo attenta valutazione esprimevano il proprio giudizio per le sette caratteristiche precisate di seguito. Seguiva una breve discussione. Alla fine il presidente, facendo sintesi delle varie osservazioni proponeva un punteggio che poteva essere condiviso o meno. In caso di presenza di pareri diversi, succedeva raramente, veniva assegnato il punteggio espresso dalla maggioranza. Quest’anno, vista la situazione sanitaria, il concorso ha avuto una metodica differente. Ogni giurato ha compilato la scheda di valutazione singolarmente senza condividere con gli altri giurati impressioni, criticità e pregi. Ogni giurato ha valutato la forma già tagliata, senza possibilità di toccarla, dando un punteggio da 1 a 10 per l’aspetto, da 1 a 10 per il colore della pasta e da 1 a 10 per l’occhiatura. Come sempre per il Bitto la pasta deve essere di un colore omogeneo dal bianco al giallo paglierino, senza sfoglie, strappi, lacrime. L’occhiatura deve essere non eccessiva, piccola e rada. Ogni giurato ha poi ricevuto un vassoio con 25 campioni di formaggio posizionati in contenitori di plastica. La prima valutazione riguardava la consistenza al tatto, rilevata con una leggera pressione delle dita. Per il bitto giovane la barretta di formaggio, deve mostrarsi al tatto morbida e leggermente elastica. Elasticità e morbidezza che si deve ancora leggermente trovare anche nel bitto di un anno (da 1 a 10 punti). A seguire la valutazione olfattiva/gustativa. Ogni giurato ha espresso un giudizio sull’odore percepito con il naso e l’aroma percepito in bocca, utilizzando anche la retroolfazione dopo una lenta masticazione (da 1 a 20 punti). Come sempre i giurati hanno cercato di definire gli odori che non devono creare sensazioni sgradevoli, odore eccessivo di stalla, di animale. La valutazione ha poi preso in esame il sapore (dolce, salato, acido e amaro) muovendo i pezzettini rotti con la masticazione su tutta la lingua che percepisce le sensazioni di sapidità in punti diversi (da 1 a 20 punti). Infine le caratteristiche strutturali che il formaggio ha presentato durante la masticazione: durezza, plasticità, friabilità, solubilità, adesività, granulosità (da 1 a 20 punti). Gli odori devono essere piacevoli, tipici, creando sensazioni armoniche. Così anche il sapore deve dare piacevolezza in bocca. Le sensazioni di sapidità devono essere in equilibrio. L’amaro, l’eccesso di salinità o di acidità penalizzano notevolmente il punteggio. La struttura deve essere morbida, solubile, non adesiva e granulosa. Ogni formaggio è stato valutato da 10 commissari per il bitto giovane e stagionato e da 7 commissari per le altre categorie. Le 620 schede sono poi state inserite nel computer per trovare la media matematica. Per un più preciso e sicuro giudizio è stata calcolata anche la media ponderata (escludendo la votazione più bassa e più alta di ogni singola categoria.) Il confronto fra le due medie ha portato ad un giudizio identico: nessuna differenza tra le due medie per i primi classificati. È importante sottolineare che fino a pochi anni fa i formaggi presentati al concorso avevano quasi tutti lievi o eclatanti difetti: il salato, l’acido, l’amaro, ma anche la mancanza di pulizia della crosta e dello scalzo. I commissari alla fine non potevano che premiare quei pochi che presentavano un equilibrio delle sensazioni di sapidità. Quest’anno, e così succede da alcuni anni, i formaggi presentati avevano quasi tutti una buona qualità. I commissari difficilmente hanno trovato anomalie: odori sgradevoli, acido, salato, amaro, poca solubilità, occhiature grosse. L’impegno dei giurati è stato quindi finalizzato a cercare e premiare i formaggi che maggiormente sono riusciti a creare al naso e in bocca sensazioni piacevoli, magari richiamando la tipicità del prodotto. Quei formaggi con intensità aromatiche armoniche, tipiche, che hanno creato sensazioni retroattive piacevoli. Per il bitto i sentori di pascolo, di burro, di fumo. Quei formaggi con una propria personalità, che dopo la degustazione, quando la bocca è rimasta pulita hanno lasciato un ricordo piacevole... un’emozione che vorresti riprovare. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 20 ottobre 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23496 Renato Ciaponi. Cineturismo: un’opportunità anche per la Valtellina Chi non ha mai pensato, dopo aver passato i lunedì sera comodamente in poltrona a gustarsi Il commissario Montalbano, di passare qualche giorno di vacanza sulle spiagge del Ragusano? O chi, seguendo le avventure di Terence Hill, non ha sognato una vacanza sulle Dolomiti davanti alle acque cristalline del lago di Braies o di pedalare per i sentieri nel verde smeraldo della val Venosta con lo sguardo a Un passo dal cielo? O chi, ancora, guardando la fiction Curon ultimamente trasmessa su Netflix non si è lasciato prendere dal fascino misterioso del campanile che emerge dalle acque del lago Resia o del bosco di larici circostante. Si chiama cineturismo ed è un importante strumento per promuovere un determinato territorio. Gli spettatori non si lasciano emozionare solo dalla storia, immedesimandosi nei personaggi, ma soprattutto dall’ambiente e così i luoghi diventano subito una destinazione da amare, da vivere, una destinazione che non si può dimenticare. La nostra provincia, pur ricca di ambienti scenografici adeguati a eventuali riprese, non ha mai regalato suggestioni cinematografiche, non è mai riuscita ad entrare nel ricco giro delle produzioni televisive. Nella storia del cinema si trovano infatti poche produzioni ambientate in Valtellina. Ricordo Una breve vacanza (1973) di Vittorio De Sica, con Florinda Bolkan e Renato Salvatori. Un film che sicuramente ha fatto conoscere a tutta Italia la bellezza dei Sanatori di Sondalo. Chi ha visto il film ricorderà la terrazza dell’ospedale, gli ospiti sdraiati a farsi riscaldare dal sole, le suggestive inquadrature delle montagne innevate del Bormiese in contrasto con la nebbia del Milanese. Bellissime immagini ma finalizzate a mostrare l’aria pulita, la neve... la medicina contro la tubercolosi. Non certo a valorizzare un territorio dal punto di vista turistico. Ricordo anche Enfantasme con Laura Belli, di Sergio Gobbi, baita, boschi e montagne dell’alta Valdidentro (1978), lo sfortunato ma interessante Tu devi essere il lupo ( 2005) del sondriese Vittorio Moroni girato nella zona di Sondrio, Il fungo sirena (2007) di Stefano Archetti girato in Valgerola, ottima fotografia, mai però programmato fuori dalla provincia di Sondrio, e negli ultimi anni Soldato semplice, girato in Alta Valtellina con Paolo Cevoli come attore e regista. Tutti film dove il territorio non è protagonista, poche inquadrature, spesso efficaci ma sempre marginali rispetto al contesto del film e difficilmente lo spettatore, alla fine della proiezione, si può sentire invogliato a visitare quei luoghi, a conoscere meglio quell’ambiente. Un film non è solo una storia. È un’occasione per mostrare, per far conoscere. È un viaggio nella vita dei personaggi, nei loro sentimenti, nelle loro emozioni ma soprattutto un viaggio in un luogo, in un territorio dove i personaggi si muovono, dove ci sono usi, costumi, tradizioni che quel territorio è capace di mostrare. Un film, ancor più una fiction televisiva a puntate, può allora diventare un’importante occasione per valorizzare e far conoscere un territorio. Il paesaggio della nostra provincia è ricco di immagini che possono essere immortalate da una cinepresa. Stupendi scenari naturali, palazzi storici, antichi borghi ancora abitati, ma anche antichi mestieri che vengono portati avanti, con normalità, con naturalezza, che non richiedono finzione cinematografica. Pensiamo alla vendemmia, alla bellezza scenica dei terrazzamenti, di donne e uomini in piedi davanti a filari in pendenza, di mani che accarezzano i grappoli, che li inclinano leggermente e dopo un taglio netto li depositano delicatamente nelle ceste. Di uomini con le gerle pesanti che camminano per i ripidi sentieri o lungo le strette scalette in sasso. Di voci, di canti, di azioni ripetitive, di svuotamenti delle gerle sul trattore senza toglierle dalle spalle, di albe e tramonti tra il verde delle viti, di luminosità di certe giornate autunnali che non richiedono neppure la correzione della luce e ancora di antiche cantine dove avviene la fermentazione e l’invecchiamento del vino. Scene come questa arricchiscono sicuramente una sceneggiatura. Qualsiasi personaggio di una storia può facilmente entrarci, partecipare alla vendemmia senza necessità di inventare una sceneggiatura ad hoc. Mi fermo qui, ma stesso ragionamento si potrebbe fare par la vita in alpeggio, per il mondo delle api, per la lavorazione del latte, per la produzione dei pizzoccheri, per la lavorazione della pietra ollare, per la lavorazione dei pezzotti, per la preparazione di una ricetta nei tanti ristoranti presenti sul territorio. Ecco, le bellezze paesaggistiche della Valtellina arricchite dal saper fare della sua gente, dal continuare una tradizione, inseriti in una storia moderna, in una fiction di qualsiasi genere, ambientata in un luogo diverso dalle solite città come Torino, Roma o Milano. Una storia dove non sono più i personaggi che si muovono in un luogo, ma il luogo che si muove intorno ai personaggi. L’immagine di una provincia tranquilla, di gente che sa fare, arricchita dalla bellezza naturale spesso selvaggia delle nostre montagne, dei nostri sentieri, boschi, alpeggi, laghetti, dei nostri terrazzamenti. Il tutto inserito in una storia d’amore o in un poliziesco. Una vetrina vista da milioni di telespettatori che sicuramente avranno poi il desiderio di vivere un’esperienza fatta di tranquillità, di natura, di gastronomia, di genuinità. Un progetto nuovo di promozione turistica da presentare alle varie società di produzione quali Rai Fiction, Mediaset, Netflix, Sky che ovviamente dovrà essere accompagnato dalla volontà e possibilità di contribuire ai costi di produzione. Non so minimamente quale possa essere l’eventuale cifra, ma credo che uno sforzo comune di tutte le istituzioni presenti in provincia possa portare il cineturismo anche nella nostra valle e diventare un efficace veicolo promozionale per il nostro territorio. Senza dimenticare che la presenza di un set cinematografico nei nostri paesi avrebbe anche una ricaduta economica per le attività ricettive che ospiterebbero le tante persone che generalmente compongono un set cinematografico. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 30 agosto 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23437 Renato Ciaponi. Un grazie sentito ai negozi di vicinato Grazie a tutti i titolari dei negozi di generi alimentari di essere ancora presenti sul nostro territorio, grazie per avere prontamente organizzato o intensificato il servizio di consegne a domicilio in collaborazione con la Protezione Civile. Grazie anche per aver dimostrato l’importanza strategica dei vostri negozi (purtroppo da molti cittadini riconosciuta solo ora) in un territorio di montagna dove avere ancora nel proprio paese un negozio di alimentari, una farmacia, un’edicola diventa una ricchezza sociale. Siete gli ultimi esercizi rimasti di quella rete commerciale di paese che un tempo comprendeva anche il settore dell’abbigliamento, delle calzature, dei casalinghi, dei giocattoli, degli articoli di cancelleria ecc., ecc. Siete i cosiddetti “negozi di vicinato” definiti così per meglio sottolineare l’importante aspetto sociale che svolgete: vicino ai cittadini... vicino alle persone anziane. Negli anni cinquanta/sessanta i negozi di vicinato erano presenti quasi capillarmente su tutto il territorio provinciale, ogni paese aveva la propria rete commerciale composta da diverse attività, ma poi negli anni settanta i nuovi modelli commerciali delle grandi città arrivano anche in Valtellina portando i primi supermercati a Talamona, a Castione, a Rogolo. E velocemente anche noi valtellinesi modifichiamo rapidamente le nostre abitudini, abbandonando il rito quotidiano della spesa nella bottega vicina a casa e accettando con piacere il divertimento della spesa settimanale all’interno di una grande area dove si trova di tutto, dove i prezzi sono un po’ più bassi, dove è possibile scegliere tra una notevole quantità di referenze merceologiche. Ci abituiamo velocemente a muoverci fra gli scaffali colorati spingendo un carrello e riempiendolo di prodotti alimentari non accorgendoci che questo nuovo sistema di vendita nasconde la necessità consumistica di proporre prodotti nuovi, di cui noi, forse, non sempre abbiamo bisogno. Dimentichiamo velocemente la nostra sportina in paglia o in finta pelle, il lungo bancone di legno dietro il quale ci sono il sorriso e i discorsi di un nostro vicino di casa pronto a servirci. Dimentichiamo in fretta il piacere di aspettare tranquilli il nostro turno chiacchierando del più e del meno con altri clienti. Dimentichiamo il gusto di poter assaggiare quel formaggio offerto dal negoziante “me l'hanno appena portato, è del Giuseppe; lo conosci? Proprio buono, vuoi assaggiarlo?" Preferiamo il piacere di poter toccare i prodotti confezionati da inutili carte e plastiche, sceglierli tra tanti altri di marche diverse, metterli nel carrello quasi con un senso di libertà per poi trovarci in lunghe code alla cassa, riempire i sacchetti di plastica e poi in fila verso il parcheggio per tornare a casa... perché per raggiungere il supermercato è necessario avere una vettura. Anche le amministrazioni comunali si adeguano ai nuovi modelli commerciali, approvano nuove aree commerciali, permettono nuovi insediamenti in cambio di oneri di urbanizzazione e soprattutto di posti di lavoro. Scelte corrette, dettate anche da una evoluzione commerciale che non si poteva fermare. La conseguenza però è ovviamente la lenta chiusura dei piccoli negozi. Ma a fronte di un numero elevato di negozi che abbassano le saracinesche, altri, con investimenti cospicui, tentano la sopravvivenza aumentano le superfici, riorganizzando il negozio con il self service, con piccoli carrelli, associandosi a importanti gruppi di acquisto specializzati che permettono un abbassamento dei prezzi. Puntando sulla qualità, sulla cortesia, riescono a creare un equilibrio sostenibile economicamente tra supermercati e negozi di vicinato. La consegna a domicilio, la vendita a credito, sono poi altri servizi che il piccolo negozio, pur affrontando costi di gestione maggiori non sempre compensati dai prezzi leggermente più alti rispetto ai supermercati, riesce ad offrire al consumatore svolgendo e completando una precisa funzione sociale spesso non sempre opportunamente considerata dai cittadini e dagli amministratori. Oggi questi negozi di vicinato ancora presenti sul territorio resistono pur producendo redditi molto bassi. L’impegno di chi lavora, quasi sempre componenti della stessa famiglia, non è sempre ricompensato da un reddito adeguato. Si sopravvive, dicono. Spesso si continua perché è difficile chiudere, perché non ci sono alternative di lavoro, perché mancano pochi anni alla pensione. Una resistenza quasi eroica, che però riesce ancora a generare un riferimento preciso dal punto di vista sociale nel contesto commerciale del paese. Gli anziani, le casalinghe che non hanno auto, i bambini, tutte le persone che non hanno la possibilità di recarsi nei supermercati dislocati lungo la statale 38 riescono così ancora a trovare nel proprio paese un negozio. Il coronavirus ha dimostrato che questa funzione sociale è strategica nelle emergenze. In questi giorni non si guardano i venti centesimi di differenza, non si guardano le quantità di referenze, si ordina un kg di spaghetti, le uova, la farina, due scatole di tonno anche se non è della marca preferita. Si guarda il sevizio, la possibilità di ordinare la spesa al telefono, di riceverla sul portone di casa e si dice “per fortuna abbiamo ancora un negozio vicino a casa”. Appare evidente che nel futuro la funzione sociale del negozio di vicinato sarà sempre più importante e quindi dovrà essere sostenuta dagli amministratori locali con interventi specifici che permettano di mantenere la situazione attuale e magari promuovano l’apertura di nuovi esercizi attraverso scelte coraggiose, come l’esenzione dal pagamento delle tasse sui rifiuti e dell’IMU, l’utilizzazione come fornitori delle mense scolastiche, la creazione di iniziative che possano convincere i cittadini a sostenerli, la promozione a livello regionale e nazionale di iniziative che consentano una contabilità semplificata e una riduzione delle imposte statali. Ma naturalmente la speranza è che tutti i consumatori che hanno usufruito dei servizi del negozio di paese durante questa emergenza continuino ad avvalersene anche dopo, anche quando tutto sarà finito. Sarà il contributo per un ringraziamento ma anche un contributo per far sì che quel negozio possa continuare ad esistere sul territorio. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 25 marzo 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23134