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Renato Pierri. Il dovere dello Stato
Lettera sul morire assassinati a Kabul, da italiani o da afghani
 
Commenti presenti : 2 In questa pagina : da 1 a 2
   19-09-2009
Caro Pierri, lascio ovviamente ai lettori il suo meglio chiarito pensiero.
Credo di non sbagliare se dico che vi sia un solo modo per evitare di mettere a repentaglio la vita del sodato: che di soldati (quindi di armi) non ve ne sia alcuno. (E per questo il mio microscopico contributo, da antimilitarista nonviolento radicale, è stato quello di divenire obiettore di coscienza “totale”). Senza che ciò possa da solo assicurare, beninteso, che non sia parimenti a repentaglio la vita di quella stessa persona non(più)soldato.
Vede bene, dunque, che conveniamo sulla responsabilità della politica e della scelta di ciascuno.
Enea Sansi   
 
   19-09-2009
Breve risposta a Enea Sansi

Gentile direttore, ho letto il suo breve commento alla mia lettera “Il dovere dello Stato”. Chiarisco meglio il mio pensiero. La necessità e l'inevitabilità di cui parlo, riguardano anche gli impegni internazionali. Lo Stato non può prendere impegni che mettono a repentaglio la vita dei propri soldati (non sono macchine ma persone), se non sussistono appunto necessità ed inevitabilità. Se ha preso impegni sbagliati, ha il dovere di disattenderli, prima che le membra di altri giovani siano dilaniate dal tritolo. Lei pensa che chi l'impegno lo ha preso, non avrebbe avuto qualche dubbio se a combattere in Afghanistan sarebbe dovuto andarci di persona, oppure mandarci il proprio figlio? Gli impegni si prendono con facilità e superficialità quando è in gioco la vita altrui. Che dice se le riporto qualche noto versetto? «...Perchè, lungi dai colpi e dai conflitti, / Comodamente d'ingrassar soffrite / Baritonando ai poveri coscritti / “Armiamoci e partite?” / Partite voi, se generoso il core / Sotto al pingue torace il ciel vi diede / O Baiardi, è laggiù dove si muore / Che il coraggio si vede...».
Renato PIerri   
 
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