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Antonia Pozzi. Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938/ 1.
 
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   17-11-2014
Un plauso a questa iniziativa editoriale che toglie dall'ombra una figura di rara sensibilità come la Pozzi. Il suo è un narrare per immagini, la stessa fonte alla quale si abbeverava la sua poesia. C'è nel ritratto del giovane violoncellista una partecipazione accorata, un'empatia per i disagi dell'esistenza, la sua povertà, e la menomazione che lo ha colpito, da far intuire al lettore una sorta di "proiezione". Anche la Pozzi si sentiva un po' sventurata e segnata dalla sorte - era nata donna e ipersensibile in un'epoca complicata che non aveva occhi per il suo talento e rigettava la libertà della sua visione della vita. Ma come il malcapitato violoncellista adolescente sublimava e si liberava nell'arte, dove integrava tutti i suoi interni conflitti, tutti i dissidi. Nella poesia e nella scrittura poteva essere interamente se stessa e proiettarsi oltre il suo tempo mortale. Le lettere ce lo testimoniano.
Alberto Carollo   
 
   12-11-2014
La lettera pubblicata svela , come tutti gli altri scritti , la delicatezza d’animo e la non comune sensibilità della poetessa Antonia Pozzi che , a soli 26 anni, si lasciò morire alla periferia di Milano.
Colta, ricca, di buona e premurosa famiglia, circondata da amici intelligenti e brillanti, il suo gesto apparve incomprensibile.
Consiglio di leggere (a chi ancora non l’ha fatto) “ In riva alla vita “ – Storia di Antonia Pozzi di Alessandra Cenni, Rizzoli,2002.
Un libro fondamentale , a mio avviso, per capire le ragioni di quel gesto , una biografia costruita sull’analisi dei testi di Antonia, ma anche ma anche sugli scritti degli amici, sui ricordi di alcuni conoscenti ancora in vita e sulle testimonianze di suor Onorina Dino.
Alessandra Cenni( ricercatrice di Letterature comparate all’ Università di Salonicco ) ricostruisce in modo avvincente i momenti più cruciali del malessere esistenziale di Antonia e vede come causa del suicidio, non solo l’impossibilità di realizzare il proprio sogno d’amore, ma anche l’intolleranza al regime fascista opprimente che toglieva l’aria ai giovani come lei. Ne scrisse anche Isabella Bossi Fedrigotti in questi termini “… Né la povera ragazza aveva trovato in famiglia maggior comprensione e maggior libertà: l\' avvocato Pozzi, podestà di Pasturo in alta Valsassina, dove si trovava l\' amata casa di vacanze, esercitava un controllo minuzioso sui pensieri e sull\' esistenza della figlia: prova ne è la severa censura postuma cui sottopose l\' intera sua opera, cancellando o alterando parti giudicate sconvenienti. Forse, come sempre, la verità sta in mezzo. E la grande infelicità, l\' impossibilità di continuare a vivere anche per un giorno soltanto, fu probabilmente il risultato della somma di varie infelicità minori, dell\' insopportabile miseria di vedersi costretta ai margini dell\' esistenza, esclusa, lei sola, dal flusso in cui tutti gli altri si muovevano - a parer suo - sicuri, vitali, a loro agio.”
Rileggere adesso (grazie a Tellusfolio) queste lettere sarà come rivivere i momenti di gioia o di dolore vissuti da questa donna che amò tanto la libertà... che per essa rinunciò alla vita.

Giuseppina Rando   
 
   12-11-2014
anche io Barbarah.....amo molto la Pozzi per l'intensità in cui visse ogni attimo della sua breve vita.

patrizia garofalo   
 
   12-11-2014
Molto interessante. Io adoro questa triste poetessa...
Barbarah Guglielmana   
 
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