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Mattia Guastafierro. Le morti “non fatali” dello sport | | Commenti presenti :
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In questa pagina : da 1 a 6 | 12-05-2012 | Lo sport ha i suoi martiri, che a volte sono vittime di una compravendita troppo disinvolta della prestazione, a volte di una ricerca scientifica - più o meno lecita - che non conosce scrupoli, a volte di pericoloso un culto del sé, di una corsa estrema oltre i propri limiti. Automobilismo, motociclismo, boxe sono le discipline che forse annoverano il più alto numero di caduti. Chi affronta velocità proibitive o accetta di ricevere pugni violenti come sassate per tanti anni, è consapevole di quanto sia fragile il filo della vita, se sottoposto a tensioni sempre eccessive. Vorrei sapere il numero dei giovani che lo sport preserva dai rischi di una vita violenta e quello di coloro che si spengono nelle arene: forse sarebbe confortante. Forse no. Da parte mia, ho pianto a lungo un giovane atleta che si allontanò dai campi di calcio perché troppo sensibile per sopportare gli insulti razzisti (la sua pelle era più scura di quella dei giovani italiani), che sono ormai un triste leit motiv anche dello sport giovanile. Era un virtuoso del pallone, ma rinunciò alla sua passione perché voleva rispetto. Iniziò a vivere senza porsi limiti, in preda a una febbre emozionale, sentendosi affratellato a coloro che, giovani come lui, sfidavano la morte per l'ebbrezza di una corsa in auto, dopo la discoteca. Con loro, si sentiva uguale fra uguali. Una notte l'auto in cui si trovava insieme ai suoi amici si schiantò contro un camion durante un sorpasso avventato su una strada provinciale nella zona della Martesana, presso Milano. Si chiamava Brian, aveva diciotto anni e poteva essere un campione. O almeno un ragazzo sereno. La sua vita si concluse in quel sorpasso. Roberto Malini | 12-05-2012 | ma non voleva mica scrivere un giallo...........non è riuscito a trovare il movente??????????? patrizia garofalo | 12-05-2012 | A mio avviso, ti sei avvicinato molto al tema reale della morte di questi atleti, ma non sei riuscito a scoprire il "movente". Mi riferisco a un caso in particolare, la morte di Morosini. Sarà forse la macchina dei vigili parcheggiata davanti all'entrata dell'ambulanza la vera causa? O forse i campi da calcio sprovvisti di pacemaker? Io non direi proprio. Al di la di tutta la biografia ricostruita da studio aperto, tg 5, ecc... (quasi del tutto inutile che priva di qualunque intimità la famiglia del ragazzo), Morosini era nato da genitori con gravi problemi fisici. La madre era morta per una malattia gravissima e il padre anche lui per un infarto, per non parlare dei due fratelli entrambi disabili. Il punto è che i figli di coloro che hanno avuto un ictus o un infarto, vengono sottoposti a controlli periodici per prevenire che riaccada anche a loro. In questo caso o per pura ignoranza (dei medici o del ragazzo stesso) i controlli non sono stati fatti o fatti sporadicamente. E' una triste realtà e i fatti non potranno mai "saltar fuori". Poi il parallelismo con le morti di altri atleti è solo frutto della tv di oggi. Sono diventati casi nazionali, che attirano la gente credulona che si sà (ahimé) far manipolare, un po' come Yara Gambirasio, Sara Scazzi e compagnia bella.
In ogni caso, l'articolo mi è piaciuto molto! Bravo! Laura Fracassetti | 12-05-2012 | Mattia bisogna continuare a scriverne. Comunque.
hai detto bene , la lacrima assolve , il dubbio interroga e la verità , il cercare una risposta, "l'investigare" confliggono con troppe cose. spero di leggerti presto. patrizia garofalo | 12-05-2012 | Hai colto in pieno il senso profondo dell'articolo.
Pochi si interrogano sulle reali cause di eventi del genere, mentre la maggior parte del pubblico si limita alla commiserazione, credendo che ciò possa garantire la propria assoluzione; e questo avviene non solo in caso di morti sportive ma molto più in generale. Si versa una lacrima il giorno della morte, e poi: "Bovolenta? Chi?"
L'errore più grande che un popolo possa commettere è il non avere dubbi, il non fermarsi e chiedersi "Ma stanno davvero così le cose?". Un popolo del genere è facilmente manipolabile e, purtroppo, il nostro ritratto non è molto difforme da questo.
(Grazie per i complimenti!) Mattia Guastafierro | 12-05-2012 | Il tuo bello scritto invita a riflessioni profonde ed il paragone con le morti sul lavoro è molto convincente.
Tutto passa come tragico incidente. L'informazione è adattata su cosa la gente voglia sentire. E così avviene che il morto sul cantiere è sempre al suo primo giorno lavorativo e i calciatori "caduti in campo" con gli interrogativi che si trascinano dietro, vivono il tempo di un funerale. patrizia garofalo | | 1 | |
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