Sognavo che mamma piangeva. Mi svegliai e sentii che mamma piangeva. Mi alzai e senza far rumore mi avvicinai alla porta accostata. La cucina era piena di sole e di donne e di odore di orzo. Mamma piangeva seduta al tavolo, con la tazza vuota davanti e i capelli scarmigliati.
Nessuno si accorgeva di me, che scivolavo lungo il muro come una lumachina alle prime gocce di pioggia. Restai ferma dietro la porta, dove stava appesa la scopa col manico rosso; dalla fessura potevo vedere tutto quello che accadeva in cucina.
– Non piagne, Lucì, che tanto non ritorna.
– È inutile che piagni, Lucì, ormai s’è morto.
– Mo’ te tocca pensa’ a seppellillo, prima de sera.
– Ce vo’ ‘na buca profonda, non se sa de che è morto, potrebbe esse infetto.
– Hai fatto quello che potevi, Lucì, era destino.
– Non piagne più, a Natale te ne compri un altro e pace benedetta.
Mamma come sente dire Natale piange più forte. Dice:
– Come faccio a dillo a Umberto, stasera? Poro cristiano, quanto ce teneva a fa Natale in grazia de Dio.
Umberto è mio padre. Esce di casa prima di giorno per andare a lavorare la terra del padrone su in collina, e poi si ferma a lavorare il nostro pezzetto di terra in mezzo ai sassi, perché dice che la terra è come una zinna e se non tiri non ci esce niente. Mio padre tira e tira, ma dalla nostra zinnetta ci esce solo gramigna, mia madre glielo ripete tutte le sere, quando torna stracco morto e si butta sul piatto come un lupo e poi crolla con la testa sul tavolo e comincia a russare.
Le donne continuano a consolare mamma e mamma continua a piangere.
Io mi sono stancata di stare in piedi dietro alla porta, abbracciata alla scopa rossa.
E poi ho fame. E ho paura.
Chi è morto, chi deve essere seppellito in una buca profonda? E che c’entra Natale in tutto questo?
– Lucì, me tocca anda’ a casa, me se sveglia il pupo.
– Se vedemo dopo, Lucì, devo anda’ in fontana a lava’ i panni del Conte.
– Fatte forza, Lucì, so’ cose che capitano a noi poveracci.
E le donne se ne vanno una dopo l’altra, tutte sospirose, e mia madre finalmente si alza e si mette a rassettare la cucina.
Quando viene dietro alla porta per prendere la scopa mi vede, e senza dire niente mi spinge sulla sedia vicino al tavolo e mi prepara la colazione.
– Lavati e vestiti, che ti porto da tua zia, – mi dice mamma dopo che ho finito di mangiare.
Mia zia è la sorella di mamma e si chiama Benvenuta. E’ vedova e senza figli, e abita da sola vicino al fiume.
Io non ci voglio andare da zia Benvenuta, non fa altro che parlare del marito morto e dei santi e martiri che stanno tutti insieme in Paradiso. Dice che in Paradiso si sta bene, e che siamo venuti in terra per guadagnarcelo. Soffrendo e patendo e ringraziando il buon Dio.
Ma con mamma non si discute, specialmente oggi che è cominciato così male, e passo la giornata più lunga che ricordi in compagnia di zia Benvenuta e di tutta la schiera dei suoi santi prediletti. Il fiume scorre davanti alla casa e i pioppi si raccontano chissà quali storie di spettri e di vento cattivo, ma nulla mi dicono di quello che tanto vorrei sapere: chi è morto, chi deve essere seppellito in una buca profonda?
La sera torno a casa e trovo pronta la cena, e mio padre siede a capotavola e mia madre al suo fianco, e nessuno parla.
Forse è un segreto terribile quello che non si può dire, ma tutte le donne del vicinato lo sanno e non resterà per sempre nascosto, e se mio padre viene a sapere che qualcosa gli è stato taciuto poi si arrabbia e diventa cattivo; una volta che mamma non gli aveva detto che la stufa aveva preso fuoco e lei aveva dovuta spegnere le fiamme gettando acqua dalla canna del camino, e papà era venuto a saperlo da una vicina, prima aveva gridato contro mamma e poi non le aveva parlato per tanti giorni. Io i grandi non li capisco, certe volte sembra che giocano a farsi male, e qualche volta si fanno male davvero, come succede a noi bambini quando giochiamo a fare i grandi.
Papà quella sera non mangiò come un lupo e non cadde addormentato con la testa sul piatto; dopo l’ultimo boccone e l’ultimo bicchiere di vino si accese il suo pezzo di sigaro e prese a tirare pensoso, con lo sguardo buio. Non mi aveva nemmeno chiesto perché ero stata tutto il giorno da zia Benvenuta, e se avevo raccolto i sassi bianchi del fiume per le aiuole del giardino, come facevo sempre quando ci andavo. Papà quella sera riempiva la cucina col suo sguardo buio. E io non ressi più.
– Pa’, che succede quest’anno a Natale? – gli chiesi.
E papà mi rispose:
– Succede che nasce il Bambinello, come tutti gli anni, e si fa il presepe e vengono dai monti gli zampognari. E mamma prepara tante cose buone e passiamo Natale in grazia di Dio.
Mamma si girò e si asciugò le lacrime.
– Non piange, Lucì, ce ne compriamo un altro alla fiera di sant’Anatolia, – le disse papà con voce dolce. – Così il Natale dell’anno prossimo lo festeggiamo come Dio comanda, con le braciole le salsicce e il prosciutto, e non ci mancherà il condimento per tutto l’inverno.
– Era grosso e grasso, Umbe’, gli raccoglievo meluzze e ghiande in giro per la campagna, gli preparavo il pappone con l’acqua della pasta, crusca e qualche avanzo, me cresceva sotto gli occhi che era ‘na soddisfazione e mo’ fa da concime alla terra. Che peccato, Umbe’, che perdita c’è toccata.
– Lucì, era solo un porco, pure se gli avevamo dato un nome. Vorrà dire che il prossimo maiale lo chiameremo Natalino come lui, e come tutti i maiali che abbiamo avuto fino a oggi. Alla fiera ce ne compriamo uno già grandicello e per quest’anno niente ciccia di porco a tavola, solo qualche gallina vecchia. Tanto si campa uguale.
– E i soldi per ricomprare il maiale, dove li prendiamo, Umbe’?
– Da sotto il mattone. Lo so, che sei una moglie previdente.
Mamma non replicò, e finì di asciugarsi gli occhi col pizzo del grembiule.
Ora tutto mi era chiaro. E a quel punto cominciai a piangere la morte di Natalino, che quando mi vedeva grufolava contento, e io per amicizia gli portavo i torsi dei cavoli e lui mi ringraziava arricciando il muso rosa e strizzando gli occhietti sotto le setole chiare.
Un’altra cosa capii: nella nostra casa non era mai mancato il prosciutto e il lardo per cucinare, e mai mi ero chiesta da dove venisse. C’era stato sempre un Natalino nel porcile e non avevo fatto mai caso alla sua misura, pensavo che fosse sempre lo stesso. Ma ero piccola, e prendevo le cose per quello che desideravo che fossero e non per quello che erano.
Avrei chiesto a zia Benvenuta, non appena l’avessi rivista, se in Paradiso c’è posto anche per i porcelli che muoiono senza arrivare a Natale, e vengono seppelliti nell’orto. Senza infamia e senza lode.
Maria Lanciotti