Eluana Englaro non poteva risvegliarsi. Sarebbe rimasta per sempre in stato vegetativo persistente. È quanto stabilisce la perizia disposta a maggio dalla Procura di Udine per sgombrare ogni dubbio sulla morte della donna, perizia anticipata ieri dal settimanale L'espresso.
In realtà tutto questo era già noto e arcinoto, con buona pace di coloro che hanno invocato credenze, miracoli e codice penale per imporre alla famiglia Englaro un calvario ospedaliero, giudiziario e mediatico ultradecennale. Un calvario la cui ingiustizia rimarrà sconosciuta alla maggior parte dei cittadini. La realtà medico-scientifica su Englaro, ora ribadita anche giudizialmente, non avrà sui mass media italiani neanche una frazione dello spazio dedicato alle 'verità' urlate di coloro che annunciavano interventi divini o addirittura definivano il padre di Eluana un assassino.
Sui quotidiani di oggi, con rare eccezioni, questa notizia praticamente non c'è. Per non parlare dei telegiornali.
Ciò non è dovuto solo alla proverbiale memoria corta che da sempre affligge gran parte della stampa tradizionale. Le cause sono altre: finanziamenti pubblici ai giornali, assetti proprietari da terzo mondo dell'editoria e la corporativizzazione della professione hanno prodotto fenomeni come questo odierno, grazie soprattutto ad una visione parzialissima della società. Sui mass media sembrano esistere solo due categorie di cittadini nel nostro Paese: politici (italiani e vaticani) e giornalisti. È la dialettica esclusiva e autoreferenziale di questi due gruppi, interconnessi da reciproci interessi economici e politici, che riempie le pagine dei giornali, cancellando la gran parte della società fatta di individui e comunità intermedie. E una delle prime vittime di questo tipo di informazione è proprio la verità, in questo caso la verità medico scientifica. Ed è così che la dichiarazione manifestamente falsa di un vescovo o di un ministro avrà sempre maggior spazio sui media della verità, anche quando questa è necessaria per permettere ai cittadini di decidere consapevolmente a chi dare ragione.
Pietro Yates Moretti, vicepresidente Aduc