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Nicoletta Varani. Traffico e commercio di bambini nell’Africa sub-sahariana 
Diritti Umani in Africa – 4
Fig. 1 Rete e
Fig. 1 Rete e 'itinerari' dei flussi del traffico dei minori (fonte: UNICEF, 2007) 
21 Novembre 2009
 

Il fenomeno. Nell’Africa sub-sahariana il definire e il percepire la tratta di bambini variano a seconda del Paese o della regione coinvolti, in particolare esistono differenze sostanziali nella visione del problema e nell’approccio al problema tra Paesi di origine, di transito e di destinazione di questo traffico. La “presa di coscienza” che ne risulta è fondamentale per i programmi politico-sociali, l'applicazione delle leggi e le misure che si adottano per combattere tale fenomeno. Nonostante la tratta di bambini sia un atto che viola a tutti i livelli le leggi internazionali, sia per quanto concerne la sottrazione del bambino alla famiglia (che si tratti di vendita o di sequestro), sia riguardo al trasporto e arrivo in un altro Paese, in molti Paesi dell’Africa sub-sahariana risulta una pratica sovente attuata con differenti modalità.

L’UNICEF definisce il traffico di minori come “attività dell’ombra e del silenzio” e dalle statistiche emerge che questo commercio disumano è particolarmente fiorente sia laddove povertà, sfruttamento e disperazione sono quasi la norma sia dove esistono emergenze: zone di guerra, regioni colpite da catastrofi e ovunque la violazione dei diritti umani è una “consuetudine”.

In tutto il mondo migliaia di bambini cadono ogni giorno nella rete dei trafficanti di esseri umani. Soli e abbandonati, sono in balìa di qualsiasi tipo di abuso e sfruttamento e i bambini più a rischio sono quelli senza atto di nascita; ogni anno, sono quaranta milioni i neonati che vengono al mondo ai margini della società senza essere registrati.

Il traffico di minori è ovunque un commercio fiorente; le stime prudenziali dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni stimano che i guadagni del commercio di esseri umani – in particolare di donne e bambini – siano tra gli otto e i dieci miliardi di dollari l’anno, se poi il traffico di minori è legato al commercio internazionale di organi le cifre sono ancora più ingenti.


Cause e natura. La principale ragione per cui i bambini (e spesso anche gli adulti) appartenenti ad alcune comunità sono colpiti dal fenomeno del traffico di esseri umani consiste fondamentalmente nella mancanza di alternative valide per guadagnare abbastanza da vivere per sé e la famiglia.

Le limitate possibilità economiche di coloro che vivono al di fuori dei circuiti dell’economia globale hanno l’effetto di incoraggiare l’emigrazione e, con essa, le gravi violazioni dei diritti umani come quelli del traffico dei minori. Fenomeno, che apporta notevoli guadagni sia a chi organizza il traffico, sia a chi lo gestisce, e che è strettamente collegato con lo sfruttamento del lavoro minorile, a volte nelle sue forme peggiori.

In Africa i “flussi” del traffico di esseri umani sono complessi e cambiano in continuazione. A questa complessità si aggiunge il fatto che in alcune regioni dove le frontiere aperte favoriscono i liberi scambi commerciali, anche quando il movimento transfrontaliero di bambini è evidente, a volte è davvero difficile distinguere tra attività illegali/criminali e la legittima emigrazione di famiglie tra uno Stato e l’altro. Inoltre, non è infrequente che uno Stato venga identificato nello tesso tempo sia come Paese d’origine sia come Paese di destinazione del traffico di minori.

Le motivazioni che determinano questo perverso fenomeno, giunto oggi a livelli allarmanti e apparentemente destinato a peggiorare ancora, risiedono in un insieme di variabili, che si intrecciano ed interagiscono, e che vanno ricercate in una serie di fattori:

culturali: la consuetudine nello spostamento dei bambini presso parenti a fini di un miglioramento delle condizioni di vita per sé e per la famiglia determina una situazione di generale abitudine al movimento e una mancanza di allarme e disapprovazione sociale per il traffico stesso;

economici: l'estrema povertà, l'assenza di opportunità di formazione scolastica e professionale, i guadagni offerti dalle modalità di trasferimento dei minori, la forte domanda di manodopera infantile a buon mercato;

migratori: le traiettorie migratorie degli adulti associate ad una abitudine agli spostamenti, la mancanza di controlli e la facilità di movimenti transfrontalieri rendono facile confondere e mescolare i bambini oggetto di traffico e commercio con quelli che migrano al seguito delle famiglie;

istituzionali: carenze istituzionali e legislative; non esistono sanzioni giuridiche e qualificazione penale del traffico; mancanza di una regolamentazione della circolazione dei minori e una sorveglianza adeguata alle frontiere.


Chi è coinvolto nella tratta di bambini in Africa? Nel traffico di bambini sono diversi gli attori coinvolti a più livelli, ma le loro attività restano solitamente “invisibili”, poiché queste persone (sia locali che straniere) associano solitamente le attività illegali con i loro affari legali. Molto spesso si tratta di camionisti, che reclutano i bambini nei Paesi d'origine, e di “passatori” , persone preposte a portarli oltre il confine.

L'articolazione di questo traffico ha dimensioni transnazionali, a partire dai tre principali Paesi d'origine della tratta di bambini: il Mali, il Burkina Faso e il Togo dove esistono situazioni che “facilitano” questa attività quali la povertà, la tradizione della migrazione di lavoratori stagionali, la concezione socioculturale del lavoro, la facile penetrabilità delle frontiere, oltre che la corruzione e le strategie diverse con cui operano gli attori coinvolti.

Negli ultimi tempi, attraverso la pressione internazionale, l’informazione e le approfondite analisi svolte da molte ONG c’è stata una certa presa di coscienza del fenomeno soprattutto nei Paesi d'origine (Mali, Burkina Faso, Togo) che sono più consapevoli del problema della tratta di bambini rispetto a Paesi di transito o di destinazione come ad esempio la Costa d'Avorio o il Gabon. Questi ultimi si mostrano spesso indifferenti perché i loro bambini non sono coinvolti direttamente. Attraverso la pressione di organizzazioni e media internazionali anche questi Paesi vengono ora costretti a considerare un grave problema sociale la tratta dei minori e ad attuare misure per la protezione, il rimpatrio e il risarcimento delle vittime. Un esempio di questa situazione è rappresentato dalla Costa d'Avorio, che dopo la pubblicazione di alcuni rapporti sulla situazione degli schiavi bambini nelle piantagioni di cacao si trova ora sotto pressione.

L’opinione pubblica e i politici dei Paesi di destinazione tendono a considerare la tratta di bambini come una questione esterna e spesso come migrazione illegale organizzata da gruppi stranieri e di conseguenza può accadere che i bambini, vittime di questi traffici, vengano considerati addirittura immigrati illegali e quindi perseguibili!


Le aree dell’Africa sub-sahariana fulcro del traffico. L’area in cui il fenomeno ha assunto negli ultimi anni dimensioni allarmanti è l’Africa Occidentale, tanto che da recenti rapporti stilati da UNICEF e da ONG quali ad esempio Save of Children, risultano coinvolti anche Paesi come Nigeria e Benin, mentre i Paesi recettori, meta finale dello sfruttamento dei bambini, sono Gabon e Costa d'Avorio. Quasi tutti i Paesi dell'area partecipano a diversi livelli e con differenti modalità. Nella complessa mappa del traffico il Gabon è individuato come Paese che riceve e colloca i bambini provenienti da Bénin, Togo e Nigeria i quali, invece, sono soprattutto Paesi che riforniscono il "mercato" con bambini destinati poi alle strade, mercati, campi e lavori domestici.

Questo fenomeno finalizzato allo sfruttamento minorile nella regione dell’Africa occidentale ha radici profonde e complesse con motivazioni ed articolazioni molteplici e diversificate a seconda dei Paesi e delle economie coinvolte, tanto che la tratta di bambini risulta un fenomeno strettamente collegato con i problemi economici e sociali. Nella maggior parte dei casi che si riscontrano nell'Africa occidentale i minori sono venduti principalmente nell’ambito del mercato del lavoro minorile. I ragazzini diventano schiavi nelle piantagioni di cacao in Costa d'Avorio e Togo, mentre le bambine del Togo e del Bénin sono rivendute per il lavoro domestico nelle case del Gabon e della Nigeria.

Per la maggior parte i bambini sono sfruttati (lavorano mediamente dalle 10 alle 12 ore al giorno, non ricevono quasi mai danaro che viene invece controllato completamente dai loro “tutori”), malnutriti, poco vestiti, non vanno a scuola, non sono curati, subiscono ogni tipo di maltrattamento (spesso le bambine, sono vittime di violenza sessuale e possono restare incinte con facilità e per questo venire duramente punite). Inoltre le vittime di questo traffico sono particolarmente esposte e soggette a contrarre ogni tipo di malattia e sottoposte a forti traumi psicologici dovuti alla separazione dalle famiglie e dalle loro comunità d’origine.


Il caso del Bénin


Come noto il Bénin, Paese dell'Africa occidentale affacciato sul Golfo di Guinea con otto milioni di abitanti, confina con Burkina Faso, Togo, Niger e Nigeria. A partire dal XVI secolo, il Paese divenne noto come “costa degli schiavi”, per essere una delle basi da cui inglesi e olandesi gestivano la tratta verso le americhe degli schiavi africani. Dopo la seconda guerra mondiale la colonia visse un processo di rapida maturazione politica, denotato dal fiorire di numerosi partiti e sindacati, che portò nel 1960 alla conquista dell'indipendenza, cui seguirono anni caratterizzati da una forte instabilità politica, con il susseguirsi di cinque colpi di stato fino a quello del 1972, che impresse una svolta radicale alla forma di governo dell'ex colonia, trasformandola in una “democrazia popolare” di stampo filo-marxista, che nel 1974 assunse ufficialmente il nome di Bénin. All’inizio degli anni Novanta il Paese abbandonò definitivamente l'ideologia marxista abbracciando il processo di democratizzazione da tempo vivo in seno alla società civile.

La transizione politica si è svolta senza traumi di rilievo, tanto che il Bénin è stato uno dei primi Stati dell'Africa sub-sahariana ad accedere pacificamente a libere elezioni.1

Anche se il processo di democratizzazione ha trasformato il Benin in uno dei Paesi più liberi e aperti dell'Africa occidentale, la difficile congiuntura economica (su cui hanno pesato anche le rigorose misure imposte dal Fondo Monetario Internazionale) aggravatasi a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ha compromesso seriamente lo stato dell'economia nazionale tanto che, come altri Paesi del Continente, il Bénin affronta oggi una crisi economico-finanziaria che ne fa uno dei Paesi più poveri del Mondo, con una speranza di vita alla nascita di poco più di 50 anni e un tasso di analfabetismo dell'80%, soprattutto nelle zone rurali.

L'analfabetismo è strettamente legato al fenomeno della tratta. I genitori analfabeti non registrano i figli all'anagrafe quando nascono: non avendo documenti, quando i bimbi spariscono o sono venduti, è praticamente impossibile rintracciarli. Secondo uno studio dell'Unione Europea (UE) un bambino su tre nel Paese non è registrato all'anagrafe. E per chi diventa vidomegons (è così che vengono chiamati i bambini della tratta dal nome dell'antica tradizione locale per cui le famiglie delle zone rurali mandavano i figli a studiare in città dai parenti ricchi) non c'è più alcun diritto; sono stati acquistati, dunque sono di proprietà di chi ha pagato.

 

Il Bénin è un centro di snodo del traffico di minori per tutta l'Africa occidentale e centrale. Si stima che ogni anno 50.000 bambini sono vittime del traffico; una situazione favorita dalla povertà ma anche dalla posizione geografica e dalla storia del Paese, che ha sempre avuto migrazioni di popolazione verso i paesi limitrofi.

Secondo stime dell’Unione Europea (UE) e dell’UNICEF,2 solo nel 2007, sono stati oltre 150 mila i bambini del Benin sottratti alle famiglie (“comprati” per pochi euro o portati via con l'inganno)3 per essere mandati a lavorare nei mercati o nelle case della capitale o nelle piantagioni di Nigeria, Togo e Costa d'Avorio, senza stipendio e per 12 ore al giorno.

I flussi di traffico interno vanno dalle zone rurali ai grandi centri urbani come Cotonou, Porto-Novo e Parakou (figura 1).

 

Sulla base di rapporti e statistiche elaborate da organismi internazionali e ONG al momento sembra che la tratta dei minori in questo Paese sia la più grave di tutta l'Africa.

Circa l’80% delle famiglie del Benin ha un figlio, come si dice localmente, “piazzato” e spesso sono i genitori stessi a offrire i propri figli, pensando di fare il loro bene mandandoli a lavorare in città. Nella regione di Za-kpota, dove operano OGN come Action Plus e Cisv,4 l'84% dei capifamiglia ammette di aver ricevuto denaro per far partire un bambino. Si tratta di famiglie davvero molto povere che sperano, con lo stipendio dei figli più grandi di mantenere i più piccoli, anche se poi il danaro alle famiglie non arriva.

Il periodo più adatto per i trafficanti è quello natalizio, scendono dalla Nigeria o dalla Costa d'Avorio durante le vacanze e “reclutano” i piccoli nei villaggi di frontiera come Adjohoun centro di tutto il traffico transfrontaliero.

 

Sulla base di semplici statistiche effettuate in loco dall’ONG Volontari per lo sviluppo, molti bambini scappano e arrivano a fare centinaia di chilometri, nel tentativo di ritornare ai propri villaggi. È frequente ritrovare bambini sia lungo le strade di frontiera sia lungo quelle che collegano i principali centri ai villaggi. Sono soprattutto gli zemindar, i caratteristici moto taxi del Benin, a individuare i bambini allo sbando e a raccoglierli per portarli alla polizia. Si tratta generalmente di bambini privi di documenti d'identità che spesso non conoscono neppure il proprio villaggio d'origine; per alcuni di questi i villaggi di provenienza sono individuati tramite i tatuaggi delle tribù che i bambini spesso hanno incisi sul volto.

Esiste addirittura un corpo speciale di polizia Brigade des mineurs, che si occupa nello specifico del recupero dei vidomegons. Ma nell’ufficio centrale a Cotonou ci sono solo 8 funzionari di polizia, troppo pochi per le molte richieste di ritrovamento che provengono da tutto il Paese.

 

Nel 2004 il Bénin ha ratificato il protocollo delle Nazioni Unite volto a prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini e, il 5 aprile 2006, grazie alla collaborazione dell’UNICEF, ha emanato una legge a riguardo. Da allora sono stati creati comitati locali in tutti i villaggi, gruppi di semplici abitanti che si rendono disponibili a sorvegliare la situazione nel proprio villaggi, avvertendo la polizia locale qualora si accorgano di movimenti sospetti.

Ma il problema spesso non si risolve neanche qualora i bambini vengano recuperati perché, a causa della mancanza o della non sufficienza di strutture di accoglienza, i bambini vengono rimandati presso le proprie famiglie che, generalmente, dopo pochi mesi li “piazzano” nuovamente. Pertanto è fondamentale affrontare la questione nella sua complessità e quindi migliorare le condizioni di vita delle famiglie, altrimenti il problema non si esaurirà mai completamente. Proprio in tale direzione si sta muovendo il CISV, che ha avviato un ampio programma ad Adjohoun, che coinvolge la società locale già impegnata nel contrastare la tratta con i responsabili di quartiere, le associazioni di donne e le autorità locali. Attraverso lo sviluppo di attività femminili di trasformazione dei prodotti alimentari questo programma tenta di creare un contesto per il recupero e il reinserimento dei bambini “piazzati”. Protagoniste di questo progetto sono circa mille donne contadine, riunite in 50 gruppi locali insieme a circa 20 mila minori. Per i bambini si sta allestendo un centro di accoglienza dove possano ricevere istruzione di base e trovare laboratori artigianali per imparare un mestiere. Alle donne sono offerti corsi di alfabetizzazione e fornite nuove macine per trasformare la manioca in farina, molto usata nella cucina locale. Inoltre grazie al microcredito queste donne possono ricevere piccoli prestiti a tassi favorevoli e senza garanzie monetarie per avviare piccole attività che diano sostegno economico almeno sufficiente al sostentamento familiare; poiché se una madre riesce a sfamare la famiglia, per nessun motivo si lascerà portare via i suoi figli.

 

Secondo l’intervista rilasciata all’Agenzia Fides dal missionario francese P. Claude, che da anni dirige un centro di accoglienza per i bambini di strada a Cotonou, sono oltre 4 mila bambini che ogni anno sono inviati a lavorare fuori dal Bénin. Si tratta di uno dei tanti traffici che fanno base in questo Paese come le “rotte” della droga e delle armi.

Altro progetto assistenziale è invece quello delle suore salesiane, che gestiscono un grande centro di accoglienza a Cotonou e che hanno aperto nel mercato di Dantkopa tre punti di ascolto per i vidomegons; li incontrano, li aiutano se hanno problemi di salute, propongono corsi di alfabetizzazione. In questo mercato, ci sono almeno 3 mila bambini che lavorano; chi vende cipolle, chi trasporta ceste, chi pulisce i banchetti, chi raccoglie la sabbia drenata dal fiume. A centinaia, poi, dormono nel mercato stesso, accalcati sopra i magazzini del riso; si può affermare che la loro vita “non esce” dai confini del mercato.


Altre realtà della tratta di bambini nell’Africa occidentale


Diversi sono i fattori responsabili dell'esistenza della tratta di bambini nella Costa d'Avorio e delle sue preoccupanti dimensioni. Da una parte c'è la pressione sui prezzi alla quale sono sottoposti i contadini, infatti agli alti costi d'investimento nelle piantagioni si contrappongono prezzi del cacao molto bassi, che costringono i contadini a ridurre i propri costi reclutando mano d'opera a buon mercato. Dall'altra parte c'è la dipendenza dei contadini da questa coltura (mancanza di alternative con cui guadagnarsi da vivere) e la mancanza di forza lavoro agricola, che li porta a reclutare bambini immigranti.

Un altro fattore che incrementa il traffico dei bambini è quello delle finte scuole coraniche. In quest’ambito opera l’associazione AMIC (Amicos das crianças), una ONG locale che si occupa dell’assistenza ai bambini talibé (talibé isignifica studente) sono chiamati così i ragazzini che vengono inviati dalle famiglie islamiche della Guinea Bissau a studiare nelle scuole coraniche in Senegal. Ma nella maggior parte dei casi i marabut, i maestri islamici, li mandano a mendicare nelle strade di Dakar e delle altre città del Senegal, o li impiegano come braccianti nei campi. Il fenomeno è in aumento, si parla di 20.000 bambini guineani sfruttati in questo modo. La religione è solo un pretesto e l’ONG AMIC sta lavorando in collaborazione con gli imam locali per spiegare alla gente che non è vero che le scuole coraniche in Senegal sono una buona opzione per i ragazzi, che invece spesso si tratta di truffe e false promesse. Ma molti ragazzi sono orfani di padre o di madre, o sono i figli più piccoli di famiglie povere e numerose, e mandarli in Senegal alla scuola coranica è un modo per ridurre le bocche da sfamare.

 

Anche nell'Africa orientale cresce il traffico di esseri umani. In Africa orientale il traffico di esseri umani finalizzato al lavoro forzato o allo sfruttamento sessuale è in preoccupante aumento. È quanto emerge da un nuovo studio condotto dal Koinonia Advisory Research and Development Service (KARDS), un’agenzia cattolica di ricerca per lo sviluppo in Africa. Lo studio – riferisce l’agenzia africana CISA (Catholic Information Service for Africa) – ha preso in esame due Paesi: il Kenya e la Tanzania, avvalendosi delle informazioni fornite da una cinquantina di ONG, laiche e confessionali, impegnate nella lotta a questa piaga. Come altrove, le principali vittime di queste nuove forme di schiavitù sono i minori, soprattutto bambine, e le donne. In Tanzania i ragazzi vittime del traffico sono impiegati nelle piantagioni, nelle miniere, nel settore ittico e in altre attività dell’economia sommersa, mentre le ragazze sono destinate alle aree urbane dello Zanzibar, ma anche ad alcuni Paesi mediorientali e persino in Europa, dove vengono impiegate nei lavori domestici e spesso finiscono nel giro delle prostituzione. Molti uomini adulti finiscono invece in Sudafrica. Secondo l’indagine, in Kenya i bambini ridotti in schiavitù sono destinati ai lavori domestici o a lavorare come venditori ambulanti, nei campi, nella pastorizia o come inservienti nei locali. Una parte viene portata in altri Paesi africani, in Medio oriente, in particolare in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, ma anche in Europa e Nord America. Anche in questo caso molti sono costretti alla prostituzione, soprattutto le bambine. Il Kenya e la Tanzania sono anche Paesi di transito per bambine e donne provenienti dall’Asia e da altri Paesi africani e destinate al mercato della prostituzione in Europa. Una parte viene sfruttata anche nel mercato del sesso locale. Ad alimentare questo turpe traffico – spiega il rapporto – è come sempre la povertà, la disoccupazione, il fenomeno migratorio, la globalizzazione e la mancata registrazione all’anagrafe dei bambini che li rende particolarmente vulnerabili.


Fig. 2 – Indicatori sociali nei Paesi “interessati” dal traffico di minori (fonte: UNDP, 2008; Amnesty International, 2009; rielaborazione N. Varani)


PAESE

popolazione (milioni ab.

2006-2007)

PIL Pro capite

($)

2006-2007

% del PIL dall’agricoltura (2007)

Speranza di vita (2005-2010)

Mortalità infantile

ogni 1.000 nati vivi

(2005-2010)

alfabetizzazione

(% di adulti alfabetizzati)

Dimensione delle famiglie

(n. componenti –2006)

INDICE di SVILUPPO UMANO

(2007)

Benin

9,3

1.463

38,2

55,7

98,0‰

34,7

5,8

0,492

Ciad

11,1

1.806

21,5

50,7

119,2

25,7

n.d.

0,392

Costa d’Avorio

19,5

1.760

23,3

48,3

116,9‰

48,4

6

0,484

Gabon

1,4

7.500

5,2

56,7

n.d.

n.d.

6,2

0,755

Ghana

23,9

2.922

37,6

60,0

89

57,9

5,9

0,526

Mozambico

21,8

340

28,3

42,8

95,9‰

38,9

5,6

0,402

Nigeria

151,2

1.286

23,2

46,9

184,5‰

69,1

n.d.

0,511

Sierra Leone

6

250

46,4

41,9

270,3‰

35

n.d.

0,365

Togo

6,8

1.649

37,8

58,1

124,6‰

53

5,6

0,499


 

I bambini “rubati” del Ciad


In Ciad, uno tra i Paesi più poveri del mondo, nel 2007 alcuni volontari dell’organizzazione francese Arche de Zoé, hanno tentato di trasferire circa un centinaio di bambini dalla parte orientale del Paese alla Francia, per destinarli al mercato della pedofilia e a quello del prelievo di organi. In Africa si muovevano sotto le insegne di Children Rescue, ma a Parigi erano registrati come Arche de Zoé. L’associazione francese operava al progetto (mai avallato dal governo francese) “Salvare 10 000 bambini del Darfur”, e sotto tale copertura intendeva trasferire, per motivi umanitari, dal Ciad orientale alla Francia bambini definiti orfani originari del Darfur, che invece erano per la maggior parte, bambini ciadiani con genitori ciadiani.

Tale copertura li ha resi a lungo imprendibili fino a quando una giornalista ha raccontato alla Croce Rossa di quel gruppo di francesi che voleva spostare bimbi dal Darfur al Ciad per farli giungere sino in Francia e in extremis le autorità ciadiane hanno bloccato all’aeroporto di Abéché l’aereo con a bordo i bambini e i responsabili sono stati arrestati e sei di loro condannati (tra questi il presidente dell’associazione) a 8 anni di carcere, abbinati a lavori forzati, per traffico di minori”. Dopo pochi giorni sono stati rimpatriati, grazie a una convenzione giudiziaria del 1976, che lega i due Paesi: sconteranno in Francia una pena corrispondente (anche se la legge francese non prevede i lavori forzati). Sono rimasti nelle carceri del Paese solo ciadiani coinvolti nell’operazione. Il governo francese aveva stabilito un risarcimento pari 6,5 milioni di euro da versare alle famiglie dei 103 bambini “rapiti”. Ma, se mai verrà versato, o se stato versato questo denaro non è dato sapere dove e a chi finirà, anche perché, come dichiarano gli operatori dell’UNICEF, è già complesso restituire i bambini alle famiglie poiché solo il 30% della popolazione ha un certificato di nascita.

Questo episodio è stato definito da volontari di Medici senza Frontiere che operano in Ciad “l’ultima frontiera dell’aiuto umanitario”!

 

Il traffico dei minori coinvolge anche l’Africa Australe. Il traffico di minori sta divenendo un fenomeno preoccupante anche in Paesi quali Mozambico e Sud Africa.

Nel 2008 oltre cinquanta casi di traffico di minori e donne sono stati denunciati in Mozambico, portando alla ribalta il problema in tutta l’Africa del Sud. Molti dei bambini venivano infatti “trasportati” verso i bordelli di Pretoria, in Sud Africa.

Sembrerebbe che migliaia di bambini ogni anno arrivino illegalmente in Sud Africa da Mozambico, Zimbabwe, Swaziland e Lesotho. Secondo uno studio recente già dal 2003 almeno 1.000 tra donne e bambini del Mozambico vengono fatti entrare illegalmente in Sud Africa ogni anno con la promessa di un lavoro o opportunità di studio, per finire invece a lavorare nel mondo della prostituzione.

In Sud Africa prospera anche il traffico di minori destinati esclusivamente al traffico di organi poiché nel Paese c’è mercato per questa “materia”. Ad esempio le città sudafricane di Durban e Pietermaritzburg risultano sedi di centri dove i trapianti vengono materialmente effettuati a vantaggio di quanti, dall’Europa e dalle Americhe, possono permettersi le spese per ottenere un organo su “commissione”. Alla fine del 2004 la polizia sudafricana ha sgominato una rete internazionale di trafficanti di organi che si “appoggiava” ad un ospedale privato di Durban.

 

Il traffico del Mozambico: strage di innocenti

 

Molti religiosi del Mozambico denunciano da tempo il continuo aumento del numero di minori che ogni anno finisce nella rete dei trafficanti di “merce umana” nel Continente nero, un fenomeno questo, che sta assumendo proporzioni spaventose, tanto da superare nei profitti lo stesso traffico di armi.

In Mozambico vengono rapiti e uccisi decine di bambini per alimentare un traffico clandestino di organi.

Da quasi una decina di anni la città di Nampula, capoluogo dell'omonima provincia settentrionale del Mozambico, situata duemila chilometri a nord dalla capitale Maputo, è il principale teatro di questa macabra vicenda,

Sembra che i vicoli di Nampula stiano inghiottendo orfani e piccoli mendicanti di strada. Sono decine, forse centinaia, i bambini scomparsi negli ultimi anni in questa grande città del Mozambico.

È un giallo dai contorni torbidi e inquietanti: i fanciulli svaniscono all'improvviso, senza lasciare traccia, oppure vengono ritrovati quando ormai è tardi: ai margini delle strade o sotterrati nei campi dove riaffiorano piccoli cadaveri abbandonati, corpi di bimbi squartati e sezionati orribilmente al solo scopo di prelevarne gli organi.

Sembra la descrizione di una sequenza di un film dell’orrore, ma è l’angosciante trama di una storia reale che ha portato sotto i riflettori uno dei Paesi più poveri del mondo.

Sono ormai alcune migliaia i casi denunciati alle autorità. Secondo alcuni missionari locali, i bambini di strada - indifesi, affamati e facilmente avvicinabili - sarebbero vittime di un traffico clandestino di organi verso il Sud Africa. Non molti anni fa alcuni medici chirurghi furono arrestati a Johannesburg perché non sapevano giustificare la presenza di un numero spropositato di organi nel loro ospedale, ma poi il pagamento di una cospicua cauzione ha fermato il procedere delle indagini con conseguente rilascio dei medici.

«Non c’è alcun dubbio: c’è un traffico di minori che punta ai loro piccoli organi per trapianti e per rituali tribali», afferma Alice Mabota, presidente della ”Lega dei Diritti Umani” del Mozambico. Giornalisti mozambicani con più cautela dichiarano che non si ha la certezza che ci sia un vero e proprio traffico di organi anche se esistono indizi significativi: molte famiglie hanno denunciato la scomparsa di bambini piccoli e alcuni medici dell'ospedale hanno testimoniato di aver visto cadaveri a cui mancavano degli organi e c’è anche chi parla di membri di qualche setta che si servono dei cadaveri per le loro cerimonie.

La polizia locale sta indagando con pochi mezzi e poca convinzione e i risultati tardano ad arrivare. L'unico punto fermo è la misteriosa sparizione di numerose persone, soprattutto bambini. Secondo alcune indiscrezioni, pubblicate dal giornale "Noticias", alcuni degli arrestati avrebbero confessato il crimine spiegando di aver agito su commissione e di essere stati pagati per asportare alle vittime organi destinati a rituali magici. Mancano però conferme ufficiali.

In particolare a Nampula è esploso un caso a livello internazionale: quello di alcune missionarie presenti sul posto, le Monache Serve di Maria del convento - orfanotrofio Mater Dei, che nel 2003 hanno denunciato alla stampa la scomparsa di decine di bambini e il ritrovamento di cadaveri segnati da profonde e inspiegabili amputazioni. Le denunce delle religiose sono supportate dalle testimonianze di ragazzini fuggiti fortunosamente ai sequestratori e da uno sconvolgente dossier fotografico che è stato consegnato alla polizia, composto da decine di foto di cadaveri privi di organi, scattate da una laica brasiliana, Elida Dos Santos, collaboratrice per lungo tempo delle suore, e costretta a lasciare il Paese a causa delle minacce di morte che le sono pervenute.

Doraci Julita Edinger, missionaria della comunità evangelica luterana del Brasile che opera nel Paese, è stata uccisa barbaramente nel febbraio 2004 perché insieme alle suore del monastero Mater Dei, con ogni mezzo a disposizione (molto pochi) aveva richiamato l’attenzione internazionale su casi sempre più frequenti di sparizione di bambini e adolescenti denunciando altresì il silenzio della stampa internazionale. Poiché la vicenda della morte della religiosa è stata riportata dalla stampa internazionale, soprattutto portoghese, ma anche quella spagnola (El Pais), francese (Le Monde) e britannica (Bbc) hanno dato spazio alla notizia (in Italia la grande comunicazione sembra ignorare il caso. Unica eccezione, l’inchiesta pubblicata sul Resto del Carlino), le autorità di Maputo sono state costrette ad ammettere che erano avvenute "strane sparizioni", da ritenersi però casi isolati, per cui hanno respinto la collaborazione di polizia e intellingence di altri Paesi.

Alcuni dei bambini che riescono a scappare ai rapimenti raccontano di essere stati portati in celle buie dove stavano altri bambini, tra i 10-15 anni, tenuti come polli all’ingrasso. I sequestratori davano loro da mangiare quattro volte al giorno, cosa che per un bambino africano è molto rara. Quando uno dei loro compagni di sventura veniva fatto uscire con la scusa di essere portato ad una festa, non faceva più ritorno.

Testimonianze simili si raccolgono numerose oggi a Nampula. E tutte ruotano attorno al medesimo interrogativo: cosa c'è dietro questi misteriosi rapimenti? Chi è il regista oscuro della strage di decine di bambini mozambicani?

Le religiose del Mater Dei hanno fatto riferimento a persone “bianche” giunte in città e il cui arrivo sarebbe coinciso con l'inizio delle sparizioni. Ma nessuna prova finora ha dato consistenza ai sospetti: ci sono solo misteri e fatti che possono esser definiti “particolari”.

Molti attivisti mozambicani per i diritti umani dichiarano apertamente che la lentezza e l’imprecisione che caratterizzano le indagini costituiscono una prova chiara sia della potenza dell’organizzazione che gestisce questo tipo di traffico sia degli interessi che coinvolgono uomini di potere.

Del resto, l'ipotesi del traffico internazionale di organi non è l'unica pista seguita dagli inquirenti. L’agenzia di stampa MISNA fa notare che le sparizioni dei minori potrebbero essere legate alla diffusione dei riti tradizionali di anziani guaritori e feticeiros locali che, nella preparazione delle loro pozioni, utilizzerebbero anche parti del corpo umano. Si tratta comunque di riti diffusi da sempre in Mozambico, così come in molte altre zone del Continente, un fatto che non aiuta a spiegare il numero insolitamente alto di cadaveri mutilati.

Ancora oggi dopo cinque anni, si attende che sulla vicenda venga fatta piena luce mentre la gente di Nampula continua a vivere nel terrore. I genitori hanno paura a lasciare incustoditi i figli e quando cala il buio in pochi si arrischiano ad uscire per le strade. Il clima è tutt'altro che rilassato e per il momento la strage silenziosa di Nampula resta avvolta nel mistero.

 

Atti e progetti internazionali per prevenire e ridurre il fenomeno. Agenzie governative ed internazionali e ONG hanno messo in atto una campagna di informazione e sensibilizzazione che ha puntato a far conoscere all’ opinione pubblica le modalità e i rischi dello sfruttamento dei minori mettendo in luce anche le informazioni riguardanti i loro diritti, espressi nelle principali Convenzioni Internazionali sui diritti dell'infanzia.

La strategia di sensibilizzazione ha assunto forme diverse, utilizzato differenti approcci e canali di diffusione così da poter toccare il maggior numero di utenti possibili. Sono state prodotte diverse tipologie di materiale divulgativo, come manifesti, calendari, cd musicali, articoli di stampa e anche fumetti per bambini costituiti di sole immagini così da poter catturare l'attenzione anche delle fasce non alfabetizzate. Sono infine stati utilizzati canali mediatici locali quali reti radiofoniche e televisive pubbliche e private.

I progetti e i programmi internazionali sono finalizzati in primo luogo a risvegliare la consapevolezza del pubblico; approfondire la conoscenza del fenomeno è uno dei mezzi più importanti per combattere il traffico di minori e al fine di ridurre questo fenomeno è utile il confronto sui metodi più adatti per prevenire le cause del traffico dei minori e di identificare e proteggere bambini a rischio.

Tra gli atti ufficiali compare il “Piano d’azione contro il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del lavoro minorile” sottoscritto nel luglio 2006, da 26 Paesi africani,5 ad Abuja in Nigeria. È la prima volta che un così gran numero di Paesi, rappresentanti gli Stati di origine e di destinazione delle persone vittime del traffico, si riuniscono e riescono a trovare un accordo.

L’accordo, promosso dalla CEDEAO (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) e dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEEAC), prevede di migliorare il controllo e la gestione delle frontiere, di adottare una legislazione che punisce severamente la tratta degli esseri umani, di migliorare la distribuzione dei documenti d’identità ai cittadini degli Stati interessati, di creare programmi informativi a favore della popolazione e di avviare programmi di sviluppo.

Per quanto riguarda i progetti, molto importante è proprio quello dell’UNICEF mirato ai bambini vittime del traffico in Bénin:“ Progetto UNICEF - Ridurre il traffico dei bambini e reintegrare quelli già vittime in Bénin”.

Gli interventi sostenuti dall'UNICEF hanno come obiettivo principale, tra il 2009 e la fine del 2010, la riduzione del traffico di minori del 55%, la reintegrazione in famiglia e il ritorno a scuola di almeno il 65% dei bambini vittime del traffico.

L'impegno dell'UNICEF sarà finalizzato a garantire protezione adeguata a 7.000 bambini dai 6 ai 17 anni. Altri 4.000 bambini beneficeranno invece di assistenza, ricongiungimento familiare e reinserimento sociale. Inoltre, sul piano della sensibilizzazione e della formazione, verrà offerto sostegno ai centri specializzati che si occupano di protezione di minori, con particolare attenzione proprio a quelli che offrono accoglienza e terapie mediche a bambini vittime del traffico, con l'obiettivo di favorire il rientro di questi bambini presso le rispettive famiglie. Saranno tra l’altro rafforzati i controlli nelle zone di transito e frontiera, anche attraverso la creazione di “spazi a misura di bambino”, per l'accoglienza immediata dei bambini vittime del traffico. Sul piano istituzionale l'UNICEF, si è già impegnata per la promozione di una legge nazionale sul traffico di minori, si impegnerà ancor più perché venga raggiunto un accordo tra i Paesi limitrofi, contro il traffico di minori.

Proprio in tale contesto l’UNICEF, ha favorito la conclusione dell’Accordo di cooperazione tra Benin e Nigeria, e sta ripercorrendo il medesimo processo con Gabon e Togo, per realizzare un’alleanza regionale contro il traffico di minori.

 

Sempre l’UNICEF nel giugno 20076 a Roma, in occasione della “Giornata del bambino africano”, ha fatto un appello congiunto con l’Unione Africana (UA) per prevenire il traffico di bambini. L' Organizzazione si appella a governi, comunità e famiglie per lavorare insieme e porre fine al traffico, punendo innanzitutto i trafficanti, ma avviando anche un'azione contro i fattori economici e sociali che lo alimentano. Il traffico degli esseri umani rende 9,5 miliardi di dollari l'anno, attraendo bande di organizzazioni criminali e portando la corruzione su scala globale. La povertà è un elemento centrale per il traffico. UNICEF Italia è impegnata a sostenere, anche grazie al contributo della polizia di Stato italiana, due progetti specifici di contrasto al traffico dei bambini in Africa occidentale, in Benin e in Guinea Bissau.

Questo fenomeno non aggettivabile, poiché qualunque sia l’aggettivo negativo considerato più pertinente risulta sempre banale e inadatto, può essere in parte ridotto nel suo dilagare solo attraverso progetti locali e mirati, al contempo condivisi dai governi dei Paesi implicati e colpiti e con il sostegno prima etico - morale e poi anche finanziario di Organizzazioni umanitarie concrete.

Là dove qualcuno resiste senza speranza, è forse là che inizia la storia umana e la bellezza dell'uomo.

 

 

Letture consigliate per approfondire

 

Chatterjee, Sumana and Jaan Elias, Cadbury. An Ethical Company Sturggles to Insure the Integrity of its Supply Chain. Yale SOM Case Study Research Team, Yale University, New Haven, 2008.

L. Diane Mull, S. R. Kirkhorn, Child Labor in Ghana cocoa Production: Focus upon Agricultural Tasks, Ergonomic Exposures, and Associated Injuries and Illnesses, in: Public Health Reports, Volume 120, 2005.

International Labour Organization and Bureau for Worker’s Activities, Bitter Harvest. Child Labour in Agriculture. Developing national and international trade union strategies to combat child labour, 2002.

Raghavan, Sudarsan, Sumana Chatterjee, A Taste of Slavery, in: Knight Ridder Newspapers, June 24, 2001.

The Southern African Catholic Bishops Conference, The Trafficking in Women and Children, febbraio, 2006.

 

Nicoletta Varani

 

 

1 In questo contesto, nel marzo del 2006 Yayi Boni è stato eletto presidente del Benin. È finita così l'era di Mathieu Kérékou, che ha dominato la vita politica del Paese per vent’otto anni. Nonostante qualche irregolarità, gli osservatori internazionali hanno definito le elezioni sostanzialmente regolari, segno che la democrazia, introdotta in Benin nel 1996, si è radicata nella società.

2 Rapporto annuale dell'UNICEF sulla condizione dei bambini nei Paesi in emergenza intitolato Action humanitaire de l'UNICEF 2007/Humanitarian Action Report 2007.

3 Secondo l’ONG Action Plus che opera nel Benin i trafficanti per portar via il bambino usano forme intimidatorie oppure offrono alle famiglie dai 10 mila ai 15 mila franchi cfa (circa 15 euro).

4 Comunità Impegno Servizio Volontariato è un'associazione laica di volontariato internazionale.

5 I Paesi firmatari sono i seguenti: Angola, Burundi, Camerun, Repubblica Centrafricana, Gabon, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale, Rwanda e Sao Tomé e Principe per la CEEAC. Bénin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, la Guinea, la Guinea Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, le Senegal, Sierra Leone e Togo per la CEDEAO.

6 La Giornata del bambino africano cade il 16 giugno, in ricordo del giorno in cui, nel 1976, migliaia di bambini neri in una scuola di Soweto, in Sudafrica, protestarono per le strade contro il livello d'istruzione inferiore a loro destinato e per chiedere un'istruzione nella loro lingua madre. Centinaia di giovani ragazzi e ragazze vennero colpiti con armi da fuoco e in due settimane di protesta oltre 100 persone rimasero uccise e più di 1.000 rimasero ferite.


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