10 Novembre 2009
Roberto, non so se è la pioggia che cade monotona tra fronde ingiallite e fiori nascosti negli spazi del mio giardino ad appannare i pensieri e le immagini, oppure è il tormento che scava dentro e si contorce senza posa. Certo è che non averti qui con me, non sciogliermi in te, nel tuo sorriso, è prova di un dilaniante sentire. Non posso evitare di chiederti: «Come stai?», «Come vivi il tempo dell’esistere?». Forse stai vivendo il tempo che ti porta oltre l’orizzonte consueto, in vista di traguardi sperati. Oppure il tempo del vagabondaggio, del wanderer romantico. È probabile che tu viva il tempo circolare, un po’ mitico, epico, visto quello che hai deciso per te, in quel tuo andare qua e là in libertà amorosa e creativa. Ma ricordo il tuo amore per le feste, la compagnia, il cinema, il teatro; eri innamorato della natura, dei monti, del lago e allora il tuo era, ma di certo lo sarà ancora, un tempo epocale, dinamico, armoniosamente simpatetico, un tempo frazionato in istanti pieni di voluttà e perfino di felicità. Invece io vivo le contraddizioni del tempo, fra il lineare e il circolare, generato dall’ansia del vivere, ma anche promettente una diversa comunione con gli eventi e con il destino. Nel naufragio del tempo che sconvolge ogni certezza c’è pur sempre la soluzione di un ribaltamento degli eventi, di un ringiovanimento; di una condizione che permette la possibilità di rivivere il tempo perduto non solo lungo i giri della memoria ma anche per circostanze apparentemente casuali, in realtà cariche di suggestione, come l’inscriversi nell’atmosfera di un appuntamento, di un incontro, nel silenzio dell’incontro, nella dolcezza dei momenti coralmente vissuti. Come vedi, almeno per me, ancora dura la favola bella che se un tempo illuse il poeta, oggi si converte nella certezza di un nuovo senso del vivere aldilà di ogni frammentazione esistenziale. Non so quanto attendere analoghi momenti, ma non ho dubbi che torneranno… |