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Nuovi incontri/ Daniele Dell'Agnola intervista Fabio Pusterla
06 Novembre 2009
 

Musibiasca, la rassegna musicale promossa dall’omonima associazione culturale attiva nel territorio delle Tre Valli, propone in questa nuova edizione una serie di incontri dedicati al tema della voce, intesa come canto, recita, lettura. Tra gli ospiti Riccardo Tiraboschi con letture accompagnate dal liuto (21 novembre), un recital con Zara Dimitrova alla voce e Claudia De Natale al pianoforte (12 dicembre), il progetto di Pietro Viviani dedicato ad Alfonsina Storni (16 gennaio) e il Coro Scam, diretto da Giotto Piemontesi (30 gennaio).

Aprirà la rassegna Fabio Pusterla (foto) che sabato 7 novembre 2009, alle 20:30, nella Casa Cavalier Pellanda di Biasca, leggerà sue poesie edite e inedite, accompagnato dal giovane chitarrista milanese Andrea Manafra. Incontriamo la voce poetica e quella del prof per parlare dei testi, quelli letti in classe e quelli letti in pubblico…

 

– Fabio Pusterla, il dibattito su come presentare i testi letterari nella scuola è ricorrente. C’è chi ritiene sia importante “attualizzare l’opera”: Inferno XXVIII può così essere letto per capire lo “scisma” religioso e culturale tra mondo musulmano e cristiano. Altri ritengono sia fondamentale affrontare il testo con metodo scientifico. Italo Calvino diceva che i classici conservano un rumore di sottofondo che li rende sempre attuali. Come si pone la voce del prof. Fabio Pusterla?

Premesso il fatto che ancora oggi, se qualcuno per strada mi dice “Buongiorno professore” istintivamente mi giro per vedere con chi sta parlando, perché non mi sento a mio agio in questi titoli un po’ pomposi, provo a rispondere. A me non pare proprio che ci sia molto da dire su questo punto: che Dante, o qualsiasi altro testo classico, vada prima di tutto letto, capito e possibilmente amato, e che per far questo sia necessario ascoltarlo, comprenderlo, imparare il suo linguaggio, mi pare cosa ovvia. Non si tratta di metodo scientifico: la letteratura e la critica letteraria non sono una scienza, anche se della scienza condividono alcuni aspetti, alcuni atteggiamenti e una parte almeno del metodo. Semplicemente, se voglio leggere un autore devo accettare di riconoscerne la voce, di seguirne lo sguardo con attenzione e umiltà; devo ammettere che quell’opera abbia qualcosa da dirmi e possa risuonare dentro di me. Ma se quel testo è davvero un testo importante, un classico, come si dice, è inevitabile che la sua voce parli anche di me, del mondo attuale, gettando sul presente un po’ della sua luce. Dante, per riprendere la domanda, non sta evidentemente parlando della situazione politica, culturale o religiosa odierna; ma avere letto Dante, Omero, o Dostoevskij ci permette di guardare alla nostra dimensione contemporanea con occhi più lucidi, più distaccati e forse anche più pietosi. Dante, per restare con lui, di solito piace molto agli studenti, e non è affatto difficile farli entrare nella Commedia; e nello stesso tempo, non c’è dubbio che un’opera come la sua non possa mai essere anestetizzata in una lettura puramente museale o archeologica. Dante, come tutti i grandi autori, continua a turbarci, ad affascinarci, a porci domande che noi traduciamo nel nostro attuale modo di essere, di sperare o di avere paura.

 

– Leggere le proprie poesie pubblicamente significa dare rappresentazione sonora alla parola scritta. Il testo viene ascoltato dalla gente. E si va alla radice della poesia. Oggi la poesia è più letta o ascoltata? È vero che per farsi ascoltare è sempre più necessario rendersi multimediali, nel proporsi, nel vendersi?

Non so cosa debba fare oggi chi vuole farsi ascoltare; immagino che, come e forse più di sempre, debba alzare la voce e sovrastare gli altri. Ma non è quello che mi interessa, e non è quello che interessa alla poesia. Allora: lasciamo stare la multimedialità, il vendersi, per l’amor del cielo; se la poesia cercasse di far questo, risulterebbe patetica. Quello che si può dire è che la poesia, e più in generale la letteratura che non vuole vendersi, sono state tendenzialmente esiliate dallo spettro del visibile; se un venusiano leggesse i giornali (compreso quello che ora ospita questa intervista) e guardasse la televisione, non sospetterebbe neppure che possano esistere “la poesia” o “la grande letteratura”. Esistono invece i passatempi, i prodotti commerciali e gli “eventi”, cioè le cose di cui parlano quelle che un tempo si chiamavano “pagine culturali” e che oggi a me sembrano più spesso pagine pornografiche. In simili condizioni, la poesia sta imparando a stabilire un nuovo territorio, un nuovo habitat; e le letture pubbliche sono forse un modo per stabilire un rapporto diretto con un pubblico che esiste ma è disperso e a sua volta quasi invisibile. Difficile dire se oggi la poesia sia più letta o ascoltata; intanto direi che è più letta di quel che si pensa. Poi che leggere con gli occhi una poesia sulla pagina significa anche, e forse soprattutto, ascoltarne il suono nella mente, perché solo quando quei versi echeggiano dentro di noi cominciamo a capirli e ad ascoltarli davvero. E allora la lettura pubblica materializza in qualche modo questa lettura mentale, e forse può talvolta accentuarne il fascino e il valore.

 

– Questa multimedialità sta entrando nella scuola, grazie alla tecnologia. Ci sono ricercatori che lanciano nelle scuole progetti pilota attorno al tema della narrazione (disegnata in sequenza, raccontata oralmente, ma non scritta, se non in modo collettivo, dalla classe). Oppure ci sono proposte di insegnamento della storia attraverso il videogioco. Potremmo insegnare la poesia con modalità multimediali? Virgilio che fuoriesce dallo schermo e ci accompagna per le vie del pensiero?

Io insegno da molti anni. Uso la voce, i libri, qualche fotocopia, il gesso e la lavagna (e le ultime due cose assai parcamente). Non avverto il bisogno di nuovi strumenti, e nel complesso sono non di rado infastidito quando qualche oratore li utilizza, di solito per rendere più ovvie e più banali le cose ovvie e banali che già sta dicendo. Credo che, se avessi l’età dei miei studenti, un’icona di Virgilio che esce dallo schermo mi farebbe ribrezzo o mi muoverebbe alle risate. C’è una mitizzazione a mio avviso ridicola di questi strumenti tecnologici; che possono essere utili, naturalmente, ma che sono semplici strumenti. Gli studenti, oggi come ieri, non sono affatto sciocchi o ingenui, e sono i primi a distinguere la pura e semplice coreografia dalle cose che contano davvero.


Daniele Dell'Agnola

(da La Regione Ticino, 4 novembre 2009
Titolo originale: «
Entrando nell'aula vedrete Virgilio fuoriuscire dallo schermo?
La voce del poeta: intervista a Fabio Pusterla, autore di “Terre emerse” (Einaudi, Torino 2009)»)


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