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Vittorio Giorgini. Nomadismo
03 Novembre 2009
 

È logica esistenziale di quasi tutti gli organismi viventi stabilirsi in un territorio di dimensioni atte a provvedere alle necessità vitali. Con l’aumentare del numero della popolazione, o col diminuire delle risorse del territorio stabilito, ecco che occorrerà iniziare la ricerca di uno nuovo luogo, adatto e sufficiente. La popolazione eccedente è sennò destinata a soccombere. La ricerca del territorio è stata chiamata in vari modi dallo sciamare (dal latino exigere: cacciar fuori, partire, allontanarsi in massa da un luogo ecc.) al migrare (dal latino me-àre: andar via dal proprio paese e recarsi in un altro per abitarvi). Ma forse il termine più adatto è quello che si è chiamato nomadismo avendo un carattere generico (dal greco nomàos: pascolante, errante per i prati, alla ricerca della migliore pastura, che non ha stanza fissa). Invece le migrazioni possono dirsi quel fenomeno che prende l’aspetto di un movimento più consistente. I primi ominidi si spostavano in gruppi, così come ancora oggi fanno i gitani (da gita), ovvero zingari (dalla stessa etimologia), di cui fanno parte varie etnie, che però stanno scomparendo, ultime testimonianze di quel nomadismo che era stile di vita. Con lo svilupparsi delle città ed ancor più degli imperi il nomadismo da fenomeno limitato diviene fenomeno di massa e prende il nome di migrazione. A partire dai tempi degli antichi condottieri fino alle colonizzazioni dei nostri ultimi secoli, queste migrazioni sono prodotte dalla ricerca di nuovi territori per procurarsi nuovi spazi, nuove ricchezze e nuovi poteri onde provvedere a sostentamenti più promettenti. Si sono prodotti così trasferimenti di intere popolazioni con le conseguenti lotte, battaglie e guerre nelle quali coloro che avevano sviluppato tecniche più efficienti (vedi strategie, tattiche belliche, mezzi di navigazione e armi da fuoco poi) riuscivano nelle loro rapine. Ancora gli abusi dei più forti. Le migrazioni odierne, sempre conseguenza dell’appropriazione di mezzi di arricchimento, presentano aspetti simili a quelle del passato, ma dato il cambiamento dei tempi avvengono in modi diversi.

Fin dai periodi delle colonizzazioni -come quelle delle Americhe, dell’Australia ecc.- si trattava di andare a popolare territori poco densi sfruttandoli e spesso sopprimendo gran parte delle popolazioni indigene. Le emigrazioni attuali avvengono con modalità altre in quanto sono prodotte da condizioni di miseria, che portano come conseguenze guerre, carestie e malattie. Il cambiamento delle migrazioni attuali consiste nello sfuggire appunto alle condizioni sopraddette per raggiungere promesse di vita migliori che paesi più affluenti sembrano rappresentare. La popolazione mondiale è passata nel XX secolo da 1 a 7 miliardi e tale crescita così spropositata ha in breve tempo determinato condizioni di grande pericolo per il pianeta. Il muoversi da un territorio all’altro può nascere dalla curiosità - l’esplorazione - ma nelle forme cui ci siamo sopra riferiti dalla disperazione. Si lascia il proprio habitat, la propria abitazione per cause di forza maggiore. Occorrono ragioni di vera necessità per affrontare l’ignoto e tutti quei pericoli che ciò può comportare. Per tale ragione dobbiamo riconoscere che le persone che hanno il coraggio di prendere la decisione e di affrontare i rischi di una partenza, sono sicuramente da rispettare per il coraggio e per tutte le ragioni che accompagnano tali decisioni. Perciò gli immigrati non solo sono da ammirare ma certo da capire, aiutare e quindi sostenere. Il problema nasce quando il numero, crescendo, nel suo determinare la massificazione delle genti arriva a superare certi equilibri causando conseguenze dannose. Non dobbiamo dimenticare che questi nuovi immigrati vengono per la maggior parte da paesi che le nostre cupidigie coloniali hanno negli ultimi secoli violentemente sfruttato, trasformando gli equilibri delle popolazioni indigene senza nulla dare loro in cambio e le cui condizioni disastrose dipendono in gran parte dalle nostre azioni. In una forma lenta, quasi impercettibile, il numero di questi emigranti da paesi difficili a paesi promettenti è andato con gli anni ad aumentare. La cosa ha cominciato a produrre squilibri prevedibili, perché i numeri hanno superato le condizioni strutturalmente accettabili per l’ambiente e le condizioni sociali. Le migrazioni hanno portato un aumento di popolazioni straniere le quali hanno significato, compreso il loro prolificare, un salto di crescita demografica, insieme ad altre conseguenze che potevano essere previste ma che per ragioni egoisticamente miopi non si sono volute-sapute prevedere. Il problema della tanto inappropriata sovrappopolazione - parallelamente agli sviluppi della scienza e delle tecniche - ha prodotto conseguenze dannose per il pianeta tra le quali causa prima è l’espansione demografica con tutte le sue nefaste conseguenze.

Le avidità umane tanto dal punto di vista dei “padroni” che da quello degli “schiavi”, hanno portato appunto alla “cultura della crescita” dal momento che più consumatori avrebbero generato più produttori e quindi più consumi, con maggiori profitti in una spirale di crescita vergognosamente suicida.

I Grandi della storia, nelle loro ignoranti cupidigie egoistiche, pare non abbiano mai capito o voluto capire ciò che si stava preparando con le manie di grandezza sviluppatesi con le nostre culture, tanto dal punto di vista delle religioni che da quello dei poteri economici col supporto di quelli militari. Le differenze economiche si sono ampliate in quanto abbiamo solo saputo pensare con egocentrismo, dimenticando completamente i più importanti equilibri delle genti, tutte, e della vita sul pianeta. Mentre dall’antichità (e ancora oggi) i raccoglitori e poi pastori, cacciatori e pescatori si muovevano alla ricerca del proprio sostentamento in modi che di poco deprivavano il pianeta, o lo avvelenavano, ma anzi più spesso le loro limitate attività potevano produrre piuttosto benefici che danni. Mi piace qui ricordare che un viaggiatore incontrò un vecchio indo-americano mentre questi stava sotto il sole sudando e faticando nel piantare un alberello. Domandandogli il perché facesse questa fatica dato che probabilmente non avrebbe potuto beneficiare dei frutti di quell’albero, il vecchio rispose: “quando arrivai su questa terra trovai acqua, bestie e frutta di cui potei beneficiare per una vita intera, ed è ora tempo che mi dedichi a lasciare qualche cosa a coloro che verranno dopo di me”. Le popolazioni di pastori, raccoglitori e agricoltori bene conoscevano il valore delle cose utili a sostenere la vita, mentre oggi piante, animali acque ecc. hanno solo significato relativo al loro valore monetario che è il solo che conosciamo. Il significato della terra, dell’acqua, delle piante e degli animali lo abbiamo perso, non sappiamo più cosa sono. Voglio ricordare a questo proposito la lettera che il capo indiano Seattle scrisse nel 1854 in risposta all’offerta di acquisto di terreni da parte del presidente USA Franklin Pierce. Questa lettera è splendida e vale la pena di cercarla su internet sotto la voce “lettera del capo indiano Seattle”. Egli risponde alla richiesta d’acquisto con un linguaggio poetico nel quale esprime concetti tanto attuali quanto importanti. Mostra l’assurdità del concetto di acquistare beni naturali che gli indiani considerano fratelli ed anzi più importanti o per lo meno altrettanto degli umani. Dice che la terra non appartiene agli uomini, ma gli uomini alla terra e così via. Questa lettera andrebbe stampata a grandi caratteri e affissa ovunque. Questa, con la storia del vecchio, ci dice che abbiamo dimenticato radici più antiche e più sagge di quelle che vantiamo e che da queste ancora oggi potremmo imparare, mentre le scienze e le conseguenti tecniche sono strumenti il cui uso dipende dalla nostra capacità di porci su questo pianeta. Dovremmo progredire recuperando tali saggezze antiche piuttosto che proseguire con quelle nocive determinate da presunzioni dogmatiche nate dall’illusione di essere di generazione divina e perciò i padroni del mondo come male suggerisce la Genesi dell’Antico Testamento.

Le tecniche di cui sia i viventi che questa terra potrebbero beneficiare, male utilizzate da masse non più controllabili, significano la distruzione del pianeta. I Grandi continuano a predicare i propri interessi e non si rendono conto che il mondo orwelliano è già in atto e non saranno le ronde o la militarizzazione del territorio a salvarci, anzi.

I Grandi si occupano dei propri interessi anche se a volte hanno ideologie con le quali credono – o fingono di credere – di poter migliorare la società. Spesso come i religiosi pensano di essere depositari di grandi verità, senza rendersi conto che queste non sono se non il prodotto di un pensiero sviluppatosi in tempi arcaici. La crescita demografica produce danni più gravi di quanto finora si sia voluto riconoscere. A proposito della massificazione vorremo consigliare quell’importantissimo libro di Erich Fromm Anatomia della distruttività umanaper i Tipi di Mondadori e in particolare agli esperimenti di Steiniger e Calhoun (da pag. 159).

Gli esperimenti di questi due ricercatori insieme ad altri seguono studi che già aveva iniziato Konrad Lorenz e dai quali è apparso evidente che le popolazioni poco dense si comportano in modi equilibrati, tranquilli, civili, mentre con l’aumentare delle densità i comportamenti peggiorano e degenerano proporzionalmente se non esponenzialmente. La situazione può peggiorare quando si svolge in un territorio straniero per l’ovvia considerazione che l’azione violenta e/o distruttiva non è a danno dei propri simili ma di altri, alieni. Ecco quindi che l’aumento incontrollato di popolazioni straniere porta in quei paesi ove sono immigrate, gravi problemi di salute, di sicurezza e di tante altre cose che appaiono già oggi evidenti. Tali problemi non si sanno (vogliono) riconoscere per le ragioni di interessi tanto dei religiosi (i quali bene accolgono questi poveri emigranti che servono anche a colmare i vuoti che si sono prodotti nei monasteri, nei conventi e nelle parrocchie, per la nota diminuzione delle vocazioni) quanto dei produttori (più schiavi si hanno e più ci si guadagna). Fra queste cose non teniamo conto di tutti quegli effetti collaterali difficili a quantificarsi e mai contabilizzati. Il costo di una strada e della sua manutenzione è conoscibile, ma sono difficilmente prevedibili e visibili i costi di tutte quelle opere atte a correggerne e a regolamentarne l’uso. Tali sono cavalcavia, sottovia, segnali di stop, strisce pedonali, segnali di precedenza e quanto altro ancora. Questi pseudo-rimedi sono costi successivi che aumentano enormemente quelli della viabilità mal programmata, degli incidenti e dei tempi consumati delle attese. Anche nel caso delle immigrazioni pur dicendo che queste aumentano il nostro PIL non prendiamo in considerazione la grande quantità di spese che ne derivano. Per quei tanti che lavorano legalmente ne rimangono tanti altri il cui lavoro è illegale. Del resto lo fanno anche gli italiani, ma questi molto di più data l’impossibilità a controllare i tanti irregolari. Grandi quantità di questi stranieri divengono manovalanza per il crimine ed aumentano conseguentemente le spese per la sicurezza interna. A ciò dobbiamo aggiungere gli elevati costi delle detenzioni, dato che le nostre prigioni stanno scoppiando e il 30% dei loro ospiti è fornito da stranieri. Al costo dei crimini e tutto ciò che gli sta intorno aggiungiamo i costi del ricevimento, comprese le ricerche, i controlli e i salvataggi per mare. Per non parlare di previdenze, alloggi, cure sanitarie e tutti quei servizi che questi pretenderanno senza avere a suo tempo prodotto i necessari contributi. Di tutto ciò e molto di più non si parla.

Sottolineiamo, aggiungendo che i modi per risolvere questi pericolosi problemi in atto non sono certamente quelli altrettanto gretti e miopi-provinciali suggeriti da Bossi e dalla sua banda. Fin dai tempi di Aldous Huxley col suo libro Il Mondo Nuovo (The Brave New World, 1932) si era accennato a molti cambiamenti in atto. All’opera di Huxley sono seguite molte pubblicazioni fra le quali George Orwell 1984 (1948) e Kurt Vonnegut Jr. col suo libro Player Piano (1952). Non dimentichiamo l’importante saggio di Roberto Vacca Il medioevo prossimo venturo (1971, l’unico del genere scritto in Italia e non recepito). Seguito di questa letteratura furono fatti film che sono passati anch’essi per fantascienza, ma in effetti sotto spoglie mimetiche rappresentano analisi e critiche delle nostre società. Fra i più noti in Italia ricordiamo il primo film della trilogia, Guerre Stellari George Lucas (1977). Fra l’altro notiamo le scene ambientate in quel bar i cui avventori rappresentano figure fantasiosamente diverse, così come si componevano le divinità più antiche (testa di donna, corpo di rettile ecc.), aggregando personaggi stranieri (strani). E non soltanto Lucas, sebbene pochissimi altri, aveva capito il mescolarsi delle genti strane-stranieri. E poi oltre a Mad max (1979, 1982, 1985), Blade runner (1982), Waterworld (1995) e Fuga da New York (1997), per non dire di molti altri mai conosciuti in Italia. Tali opere rappresentano esempi di Distopia, quale termine si intende una anti-utopia, ovvero l’ipotesi di una società indesiderabile sotto tutti i punti di vista. Tanto libri simili o film andrebbero visti non come amenità ma come letture importanti e drammatiche di quanto stiamo facendo a noi stessi e all’ambiente. L’idea della crescita sostenuta dagli illustri accademici dell’economia era accettabile nei secoli scorsi, dove la comprensione di queste faccende non era neppure iniziata ed ancora oggi all’inizio del terzo millennio fa fatica a farsi capire. Consigliamo il lavoro fatto verso la fine degli anni sessanta per Aurelio Peccei che nell’ambito del suo “Club di Roma” pubblica I limiti dello sviluppo (1972 Mondadori, riedito per lo stesso col titolo rinnovato I nuovi limiti dello sviluppo), cui seguirono altri importanti studi. A questi segue lo studio di Serge Latouche La scommessa della decrescita per i Tipi di Feltrinelli (2007). L’idea tradizionale secondo cui l’economia è sana solo se il PIL è in crescita altrimenti si produce la crisi deve essere rovesciata. Ora il PIL, come la popolazione sono troppo cresciuti a beneficio di alcuni ed a scapito di tutti gli altri, ma specialmente del pianeta.

Pare offensivo all’intelligenza umana, anzi addirittura criminale, il fatto che si mantenga quell’idea antica che più braccia significavano più capacità di produrre, e più spade per combattere, difendersi, offendere. Mentre oggi più braccia significano aumento di rifiuti, di veleni chimici, etc. È incosciente l’aver mandato verso le popolazioni in difficoltà il messaggio che avevamo bisogno di mani per i lavori che non potevamo (volevamo) più fare e persone per badare (i badanti) coloro di cui non volevamo più occuparci. Di nuovo omettiamo le cause degli effetti, in questo caso l’incremento dei badanti necessari a badare i badanti. I primi arrivati, hanno inviato a casa messaggi che raccontavano come erano stati bene accolti, curati, nutriti e che potevano addirittura inviare denari. Cosa ottima che ripete la storia già passata dai nostri progenitori, che seppure in modi di appropriazione indebita andavano ad occupare territori poco popolati. Oggi dovremmo essere coscienti del fatto che la popolazione in Italia – per esempio – supera di oltre quattro volte il limite sostenibile. Nei nostri paesi la densità non dovrebbe superare i 50 capi per Km², e questo è già un numero alto se lo dovessimo trasferire a tutti i territori del pianeta. Per queste ragioni il messaggio mandato dai paesi europei è stato deleterio perché i paesi così detti sviluppati, lo erano già così tanto da dover mandatoriamente iniziare un’operazione di decrescita. Ciò è evidente dalla necessità di gestire le questioni dei rifiuti e di tutti gli avvelenamenti delle arie, delle acque e dei terreni invece di continuare a sostenere la crescita demografica, invece di premiare quei paesi che come l’Italia non avevano sviluppo demografico. Il nostro comportamento ha prodotto l’apertura di cateratte, di un’alluvione per la quale le genti tanto indigene quanto straniere si trascineranno a fondo reciprocamente come fanno quelli che affogando si aggrappano a chi cerca di salvarli, quindi affogandosi a vicenda.


Vittorio Giorgini


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