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Andrea Papini. La misura del confine 
Alberto Figliolia incontra la troupe sul set al Rifugio Vigevano
02 Novembre 2009
 

Per salire al Rifugio Vigevano - costruito nel 1914 come Albergo Stolenberg Grober e posto come un'aquila di legno, pietra e vetro a 2870 metri, sul lato est del Corno del Camoscio, a brevissima distanza dal Col d'Olen, il Monte Rosa (4634 metri nella Punta Dufour) a fargli da ombra e protezione - devi prima transitare, sotto, per Alagna Valsesia, patria del famoso pittore Tanzio da Varallo, e le sue spettacolari case walser, eredità ed emblema culturale di quella popolazione nomade di origine germanica che “colonizzò” l'arco alpino. Di là sono il Vallese e Zermatt. Sono, queste, magiche zone di confine.

Compiuti i 1800-1900 metri circa di dislivello con cabinovia e funivia (condotta da un milanese “pentito”) e giunti alla fatidica quota dei 3000 metri, basta farsi quindici minuti - comodi, a piedi, in leggerissima discesa - per giungere al magnifico Rifugio Vigevano. Puoi scorgere nella meravigliosa distesa di monti tutt'intorno anche la cuspide del Monviso da cui nasce il Po. Sei nel cuore sentimentale e fisico del massiccio del Monte Rosa la cui imponenza all'orizzonte si può ammirare anche da Milano quando le brume, con l'inquinamento, si diradano.

Al Rifugio Vigevano alloggia tutta la comitiva di un progetto cinematografico: La misura del confine. Il film si sta girando a quest'altezza, nel formidabile, splendido e talora terribile, come ci narrano gli storici libri dei rifugi, ambiente alpino. Il Vigevano, con la montagna, è la principale location dell'opera.

Andrea Papini, una laurea in ingegneria, è il regista de La misura del confine, nonché autore di soggetto e sceneggiatura con Monica Rapetti, e ha voluto aprire con tutta la sua troupe il set ai giornalisti. Un Papini entusiasta: «Sta andando benissimo. Il rifugio è il set di questo strano film, fra l'intimità dell'interno e la maestosità dell'esterno. Si ritrova fra le nevi un cadavere mummificato: appartiene all'Italia o alla Svizzera? Vengono allora chiamati due topografi dalle rispettive nazioni per ristabilire i confini. La mummia non risale a 5mila anni fa, come quella dell'uomo di Similaun, ma è in realtà la vittima di un efferato delitto del dopoguerra».

Questo è l'incipit. «Le montagne restano meravigliose» prosegue il regista, «con gli stambecchi che girano intorno e una stambecca che allatta – ma la tecnologia (telefonini e Internet) non è esclusa. Chi ha accettato il progetto ha rischiato... abbiamo iniziato difatti con la neve – e dal punto di vista pratico questo è stato il momento più difficile, con una traversata su di essa con una processione da fila egizia, come operai che costruivano le piramidi, per portare il materiale necessario – e stiamo terminando con il sole. Un'esperienza comune che è andata molto bene. Spunto di partenza è, come detto, il confine, e il ritrovamento della mummia. Nell'Europa del 2000 ristabilire i confini è come dire... l'apparente inutilità delle cose che facciamo. Il sindaco e il piccolo Comune che rappresenta nel film hanno nomi di fantasia. Non riesco a dare una definizione della pellicola se non che è un film corale e una commedia poetica decontestualizzata dalla civiltà moderna».

Sul Monte Rosa... «Un Grande Padre, simbologia enorme per la gente del posto; da tutta la valle abbiamo avuto un grandissimo abbraccio (con due giorni di scene anche a Varallo, dove il sindaco rappresenta se stesso e l'Italia contemporanea). Cercheremo di fare le mosse migliori affinché il film – uscirà nell'autunno 2010 – sia distribuito nel modo migliore e cercheremo di partecipare ai festival più importanti. Ero commosso nel veder lavorare gli attori, con un clima felice che favoriva il fiorire di battute e invenzioni».

Tutti sono estremamente disponibili e di buon umore, desiderosi di comunicare l'eccezionalità di tale esperienza professionale e umana, come risulta palese dalla miscellanea che segue.

Paolo Bonanni – un background teatrale di tutto rispetto, già diretto da Marco Tullio Giordana ne La meglio gioventù e in Sangue pazzo, e una discreta carriera anche sul piccolo schermo –, che interpreta il topografo svizzero Mathias Valletti: «Abbiamo girato stamattina delle bellissime scene sul ghiacciaio, in elicottero. Per quanto riguarda il mio ruolo, ho chiesto consulenza a un amico topografo. Il mio personaggio all'inizio è, in apparenza, un po' freddo e severo».

Thierry Toscan – pittore, scultore, scenografo e fotografo francese dallo stupendo italiano -, che interpreta la guida svizzera Ulrich: «Non dovrei essere qui perché non mi piace la montagna... ma i registi italiani mi fanno fare solo montagna! Mi piace essere qui; mi piace il copione. Mi sto divertendo in quest'impresa un po' folle in cui cerchiamo di fare miracoli. Se si pensa ai soldi, questi film non si fanno. Ne Il vento fa il suo giro ho speso un anno, è stato molto difficile. Qui si lavora molto più in fretta. La cosa che mi piace è che non c'è nemmeno il tempo di entrare nel personaggio. Arrivo vuoto, poi Andrea mi riempie. Io sono una busta vuota, dico sempre... “Arrivare vuoti”: il regista con la sua sensibilità ti riempie, altrimenti l'attore sarebbe troppo personaggio, troppo lui... Il film è un sogno».

Adriana Ortolani, che interpreta la fidanzata di Giovanni: «L'esperienza della montagna è meravigliosa. Come essere in capo al mondo, con il paesaggio che cambia in continuazione».

Beatrice Orlandini – pianista provetta, una lunga esperienza con Giorgio Albertazzi –, che interpreta il ruolo della compagna del gestore del rifugio: «La prima impressione che ho ricavato dalla sceneggiatura è stata quella di uno spaccato sulla montagna e con personaggi veri. C'è stato un margine d'improvvisazione. Una bella esperienza».

Peppino Mazzotta, uomo di teatro nonché Ispettore Fazio nella serie TV “Montalbano": «Film fortunato per la generosità concessaci dalla montagna che voleva essere fotografata e filmata. Io sono cresciuto in montagna e ne conosco il paesaggio, anche se con il tempo sono diventato un animale di mare».

Lorenzo Degli Innocenti, tanto Pirandello, Brecht, Ibsen e non solo alle spalle: «In dodici giorni abbiamo visto tutte le possibilità del paesaggio montano: pioggia, neve, sole. Un'esperienza unica fra persone, in cui il rifugio è il set, luogo di pasto, dove si dorme insieme. Spero che, anche quando si vedrà il film, si percepirà questa forma di cameratismo venuta spontaneamente. Le guide rappresentano la memoria».

Giovanni Guardiano - Jacomuzzi in Montalbano -, che recita nel ruolo del topografo italiano Giovanni: «Vengo dall'Etna, la montagna, anche se di origine sono ragusano. Questi luoghi sono come un'isola. Quando siamo circondati dalla nebbia, sembra di essere in un dirigibile».

Tommaso Spinelli, livornese uso a parlar tedesco, uscito dal Centro Sperimentale di Cinematografia, quest'anno impegnato anche con Paolo Virzì: «Io interpreto un assistente che tenta disperatamente di essere all'altezza di tutto. Una sfida, questo film, che come attore non si poteva non accettare, in un ambiente che ti cambia la condizione corporea e ti fa entrare in un'altra dimensione».

Massimo Zordan, che interpreta Bangher, guida di Carcollo, il paese immaginario: «Sono veneto e ho vissuto in montagna. Si pensa di trovare con la mummia la soluzione al problema dello spopolamento della montagna. Un problema che io ho conosciuto veramente nella mia terra originaria e che è stato un problema anche per la Sardegna, dove abito da quindici anni, anche se ora si sta verificando la tendenza contraria. Ho colto dunque nel film un fatto molto reale».

Luigi Iacuzio - artista di estrema versatilità e un cursus honorum teatrale di tanti classici -, che veste i panni di Osvaldo, guida italiana: «È il sesto film indipendente che faccio. Voglio dare un contributo al cinema italiano. Andrea Papini mi ha chiamato e io sono corso. C'era la sfida nella sfida: ciò che ho detto prima e il fatto di non essere un uomo di montagna. Ho potuto scoprire come gli abitanti della valle sappiano convivere con la montagna e con la morte, come, per esempio, le guide che recuperano i morti nella tempesta. Voglio inoltre sottolineare lo spirito di gruppo e la coralità del film».

Insomma, pur con le infinite sfumature di personalità, una convergenza di opinioni e stati d'animo.

Il film può contare anche sulla partecipazione straordinaria del grande alpinista Silvio Gnaro Mondinelli, ovviamente nella parte di un alpinista. Mondinelli – lo ricordiamo – è uno dei sei alpinisti che al mondo, il secondo italiano dopo Reinhold Messner, abbiano scalato i quattordici 8000 del pianeta senza bombole d'ossigeno.

Dopo questo colloquio individuale e collettivo, quasi festoso, con i protagonisti del film si assiste in diretta a un ciak. Emozione, sospensione e silenzio. Soltanto il vento a sibilare, poi parole e grida che spezzano il movimento dell'aria, il rumore delle pale dell'elicottero... è una scena drammatica e convulsa. L'intrusione della finzione nella realtà. Un'altra realtà. Mentre le montagne intorno incombono con la loro mole senza tempo, così dura e struggente.

Poi... si va tutti a mangiare! Giornalisti e cast del film. L'atmosfera è conviviale e informale, e al Rifugio Vigevano si mangia benissimo. Non manca la polenta. E i pizzoccheri, anche se siamo lontani dalla Valtellina, troneggiano fumanti sulla tavola come primo piatto.

Un po' straniante sarà il ritorno serale a Milano, in pullman: dalle vette incontaminate e dalle nevi immortali alle autostrade e al traffico urbano; dall'aria pura alla calura d'asfalto e cemento.

Nel momento in cui quest'articolo sarà letto, il film avrà visto la conclusione delle riprese essendo in piena fase di post produzione. Siamo impazienti di vederlo nelle sale.


Alberto Figliolia


Foto allegate

Regista e attori all
Tommaso Spinelli, Adriana Ortolani, Giovanni Guardiano e Betarice Orlandini
 
 
 
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