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Mariaelisa Giocondo: Colloquio con Gregorio Scalise, il poeta dei sassi lucenti
31 Ottobre 2009
 

Una delle voci senz'altro più autorevoli e originali del panorama letterario italiano, è senza dubbio quella di Gregorio Scalise: un artista che con la forza dei propri sentimenti ha saputo creare un ponte tra la veridicità reale della storia e il folle parto, indomesticabile, dei sogni.

 

Lei è nato in Calabria, regione dalla quale è emigrato in giovane età. Che ricordi ha e soprattutto che immagine ha della sua terra d'origine, ora che vive fuori?

Papà era stato trasferito, francamente non ho mai pensato ad un fenomeno di emigrazione. Né mai negli anni successivi mi è venuto da pensare che mi trovavo in una terra non mia. Anche se in effetti ripensando a molte cose una quota di razzismo (soft) devo averla subita. A Trento, a Roverè della Luna, a Bologna, persino. Ricordi di infanzia pochi, a dir la verità. Il mare a Locri, azzurrissimo, gran sole e parecchie persone che mi scocciavano perché volevano mettermi in acqua. Anche della casa a Catanzaro non ho nessun ricordo... Per fortuna c’è qualche fotografia... mia madre con un viso bellissimo, come una diva di allora, un'immagine della Calabria me la sono fatta dopo, perché ovviamente mi è capitato di tornare. Qualche premio di poesia, un premio alla carriera, qualche convegno, proprio a Catanzaro che ho trovato bella, checché se ne dica, proprio per i suoi saliscendi, il gran ponte in entrata...

 

Nella sua vita ha svolto molte professioni. Una tra tutte: l'insegnante di sostegno. Com'è stato vivere quotidianamente a contatto con la disabilità?

In effetti ho dovuto gagner ma vie. Eravamo proprietari di un castello a Caulonia, non so come tutto sia sparito nella storia, diciamo. In famiglia sentivo dire che tutta la colpa era del nonno, andava spesso a Napoli, gli piaceva la bella Otero. Il bisnonno invece era attivo, spadaccino, avvocato, amministratore della Ferdinandea (una linea ferroviaria). Il nonno no, solo gaudente, (anche penalista, però). Era molto simpatico, l’ho conosciuto, non ho mai pensato che si era giocato i miei soldi... e se l’ha fatto, beato lui. L’insegnante di sostegno in effetti ho fatto anche quello... ma prima vorrei dire una cosa: per molti anni ho avuto in pratica due esistenze, la vita reale e la vita intellettuale... e per molto tempo la vita intellettuale era assolutamente preponderante, anche le seccature andavano in secondo piano, insomma chiudevo la porta, entravo in un’altra dimensione. Il contatto con la disabilità è stato drammatico. Difatti credo di aver retto qualche anno e poi ho dovuto chiedere di andar via... Mi spiego meglio: la mia era una classe di ragazzi con lesioni all'udito. C'erano le cuffie, il microfono, spesso non funzionavano. Ma il vero dramma era che ad un certo punto ci si dimenticava di quell'ostacolo e si parlava normalmente. Ovviamente non sentivano. Passai ai disegni, alle composizioni visive, lì andavamo meglio, ma la preside e i colleghi ebbero da ridire. Una volta -episodio curioso- mi arrabbiai, non so più perché e sbattei un pugno sul tavolo: un capello scese ondeggiando sulla cattedra e si posò su un libro. Stupitissimo lo raccolsi e lo osservai. Lo rimisi dove l'avevo preso... La classe scoppiò in una grande risata. “Non ti arrabbiare -disse una ragazza- che poi ti cadono i capelli”. Quando parlavano si sentiva la fatica che facevano a formulare una frase, le sillabe mangiate, i suoni gutturali. Il Comune, però aveva scelto, e non a torto, di tenerli inseriti in un ambiente normale. Non era sbagliato, avevano anche una logopedista. Ma ancora una volta dovetti prendere atto che non sempre i miracoli riescono: Erano gli anni in cui anche la follia veniva considerata in modo diverso dalla tradizione. Giusto, certo... Ma bisogna sapere che esistono dei veri limiti...

 

Nella tesi di Giovanna Lambiase dal titolo: “Le ironie metafisiche nella poesia di Gregorio Scalise” lei sostiene che la normalità per un poeta non esiste. A suo parere un poeta come vive la realtà?

No, non credo possa esistere. Non mi ricordo più chi, forse in Scritti Inediti, si parla di Scalise che ci introduce in una inquietante normalità, o qualcosa di simile. Il poeta vive la realtà con difficoltà, come tanti, del resto. Solo che il poeta non si diverte a leggere la realtà nei termini circoscritti (e reali) con cui deve essere letta. D’altra parte una persona che dia molta importanza alla vita dell’immaginazione come potrebbe appassionarsi alla realtà? La quale, diciamocelo, se è vista nella sua forma, nella sua spettralità, è povera assai. Eppure bisogna conoscerla e fare i conti con lei. Da qui un insanabile conflitto. La vita tutta immaginaria è follia, la vita nella realtà è intellettualmente depauperante. Si tratta quindi di trovare una linea di equilibrio. Nel poemetto Segni mi sembra di aver detto: (...) oggi anche gli alberi// potrebbero trovare l’equilibrio// fra realtà e sogno//. Naturalmente è detto in senso utopistico, incoraggiante. Nei fatti la conflittualità fra immaginazione e realtà è continua e rinnovabile. Da qui una specie di “emigrazione interna” anche se non c’è la dittatura, la frase è di Pasternak e lui sapeva cosa diceva e perché. Ma sempre in Segni: mentire// follemente mentire// sarebbe folle // guardare la gente senza parlare. Spero che ci si intenda qui per mentire cosa per altro a volte divertente.

 

La sua produzione riguarda molti generi: poesia, teatro e pamphlet. Oggi, alla luce di quello che stiamo vivendo, la poesia può essere vissuta come un pamphlet, cioè può rappresentare uno strumento di contestazione e impegno civile?

Si, lo fanno, è stato fatto, lo faranno ancora. Ma per me non è più poesia. La poesia è lirica. Lirica moderna,contemporanea, quindi fortemente diversa dalla lirica ottocentesca o del primo novecento. E questo per una comprensibile ragione dell’evoluzione della lingua. Ho fatto diverse considerazioni su questi temi in un libro di riflessione critica, La contraddizione iniziale. La poesia civile è facile se si dimentica il primo termine, cioè “poesia”. La quale poesia certamente può essere impiegata e piegata a e per diverse esigenze. Ma riguardo a questo problema in genere ho una risposta molto semplice: perché non dire le stesse cose in prosa? Esiste la prosa o no? Inoltre proprio su certi temi mi sembra molto più adeguata. Permette un dispiegamento del discorso, una razionalizzazione, anche un atteggiamento caustico, anzi. Perché spacciare per poesia una prosa versificata, anche per nobili scopi, come, appunto l’impegno civile?

 

Cosa pensa Gregorio Scalise delle nuove avanguardie poetiche, crede che l'ermetismo si sia veramente concluso?

Le nuove avanguardie politiche... e poetiche... e in realtà il gesto di avanguardia era anche un gesto politico... certamente possono svolgere il loro lavoro. Anche e soprattutto oggi. Dovrebbero però prendere atto di una posizione fatalmente epigonale. Cosa che ovviamente non vogliono fare... altrimenti che avanguardie sarebbero mai? È difficile farsi capire su questi punti. Ma esiste il tempo, il suo scorrere, l’orizzonte culturale, la decontestualizzazione delle idee... cioè i motivi per cui sono nate... certo si può sempre rispondere che i problemi sono sempre gli stessi e quindi anche le risposte artistiche hanno il diritto di non cambiare... francamente sono questioni estenuanti. In politica, in poesia... sono questioni “reali”, appunto. Lo stesso discorso riguarda l’ermetismo. Immagino sopravviva. Così come sopravvivono tante cose e non tutte piacevoli. Il discorso sui livelli di attualità della lingua, del pensiero è forse -e credo che sia proprio una peculiarità italiana- un discorso difficile se non impossibile da far capire. Giorni fa persino il conduttore tv di “Ballarò” l’ha capito: azioniamo la macchina del tempo e torniamo al 2009, ha detto ad un politico che se ne andava a spasso nel recente passato. Si pensa e si risponde spesso con la testa rivolta all’indietro. È quasi impossibile attualizzare il pensiero. È un discorso lungo ed irritante. Non giungere mai alla contemporaneità.

 

Crede che corrispondono al vero i versi di Dario Bellezza: “I poeti animali parlanti/ sciagurano in bellezza versi/ profumati – nessuno li legge,/ nessuno li ascolta. Gridano/ nel deserto la loro legge di gravità”.

Bellezza aveva momenti di autentica disperazione. Stranamente su questi punti risulto più “realista” io... forse meno poeta, sicuramente più scettico. Non ho mai pensato che le persone apprendessero motivi e informazioni dalla poesia. Ci si rende presto conto che la poesia ha un suo posto nobile e marginale. È un braccio di ferro col mondo, un gioco, anche drammatico, e si può anche perdere. E in genere si perde. Penso inoltre che la felicità inventiva di un poeta dipenda proprio da questo scontro frontale. E da lì, da questa prevedibile sconfitta, che il poeta prende la rincorsa per scrivere ancora... per anticipare i nuovi passaggi, le nuove “resistenze” della società. “Sciagurare in bellezza”, Dario trasforma in un verbo una parola, sciagura, con cortocircuito ammirevole.

 

La parola per un poeta un po' ciò che fa nascere il poeta stesso. Oggi si avverte nel mondo della poesia un'ossessione per la semplicità della parola. Lei crede che questa insistenza sia positiva?

Ossessione per la semplicità della parola? Non me ne sono mai accorto. Naturalmente l’insistenza... non so se il poeta, poi, nasca dalla “parola”... Che ci vogliamo fare, esiste anche la testardaggine... tutte le insistenze... Vi sono comunque ossessioni di tutto rispetto, sto pensando ancora a Dario Bellezza... Naturalmente quando un poeta parla di poesia pensa alla sua esperienza, alle cose che ha letto, alle persone che ha incontrato... come e perché ha scritto i primi versi... e li ha scritti poi o li ha recitati al vento... «che rapisce agli uomini i sospiri» (un gran bel verso di Carducci, “Davanti a San Guido”) il suo forse è un raptus che viene dalla tradizione orale... una gran voglia di trasformare le cose e le parole che gli affiorano alle labbra in qualcosa di ritmico... una preghiera, un canto... si forse la parola fa nascere, a ripensarci, e forse per questo la parola non può essere semplicemente semplice... per essere semplice (e poetica) bisogna che provenga da una storia, che abbia a lungo camminato lungo i sentieri dell’aria... che sia come... l’esempio che mi viene, che sia come un sasso lucente, visto attraverso l’acqua del mare...

 

Il suo ultimo lavoro è Opera-opera Poesie scelte 1968-2007 edito da Luca Sossella Editore. Cosa mi può dire in merito?

È stata una buona occasione per fare il punto. Ho raccolto biografie critiche, bibliografie, e con la “lettera al nuovo lettore” ho cercato di svolgere non in poesia un discorso di spiegazione e di incontro. Al solito la difficoltà di scelta. Sapevo che il poemetto “Segni” era ineludibile, per quanto nella prima versione... l’avevo esiliato. È stato l’editore a chiedere di rimetterlo. Io sono un poeta con particolarità anche “auto-esegetiche”, ma i momenti delle scelte credo che siano dolori per tutti. Noi non sappiamo mai esattamente chi amiamo diceva con bell’aforisma un poeta della mitteleuropa, e così, penso, noi poeti non sempre sappiamo quali siano le cose migliori. Si può anche aggiungere che molti testi del proprio passato suonano in modo... cioè, non suonano per niente. Il passato è un paese straniero. Ingentiliamo: il passato è un giardino straniero, e il giardiniere stenta a trovare le rose.

 

In questo periodo è tornato fortemente in auge il tema della libertà di stampa e di parola. Qual è il suo pensiero in merito e partendo da questo come vede l'Italia di oggi?

...Oggi c’è una nuova professione: l’italiano indignato. Ce ne sono molti e hanno tutti ragione. Se si fossero svegliati 15 o 20 anni fa quando tutto questo è cominciato sarebbe stato meglio... Adesso l’indignazione manda quel particolare odore che in genere si chiana conformismo. Sicché mi tocca dare una risposta, come dire, tradizionale: da un certo punto di vista, con atteggiamenti e parole mutate, l’Italia di oggi assomiglia terribilmente a quella di ieri, a quella che indignava Pasolini. Bisogna dare pienamente atto al poeta regista di non essersi risparmiato. Non è che i suoi scritti e le sue profezie non contenessero vistosi errori, ma il coraggio civile di caricare a testa bassa e contro tutti... quello non gli è mancato di sicuro. Come stanno andando le cose con la libertà di stampa? Stanno andando circa così: il premier si è fatto sorprendere con le mani nel sacco (ogni frase su questa questione diventa inevitabilmente un doppio senso), si è scatenata una bella campagna stampa, i giornali esteri non vedevano l’ora di poter parlare contro con dati di fatto... e il premier si è innervosito, diciamo, ha cominciato a pronunciare frasi fuori dal protocollo, ha dovuto dichiarare guerra anche lui... e così ci troviamo in una situazione di “soppressione della libertà di stampa” con tv che hanno non so quanti programmi di approfondimento (“Infedele”, “Exit”, “Annozero”, “Ballarò”, “Niente di personale”) la sinistra con circa una decina di giornali (Unità, Manifesto, Liberazione, Il Fatto, Il Quotidiano, Il Riformista...) due programmi di indagine a distanza ravvicinata, “Report” e l’altro di Iacona, più in circolazione i classici, cioè La Stampa, Corriere, Messaggero, La Repubblica. Se si entra in una libreria del centro si prende paura... scrivono biografie e romanzi, politici, sottosegretari, chiunque abbia avuto il suo quarto d’ora di celebrità. Tutti parlano, rumoreggiano, si indignano, appunto, e, naturalmente, poco incidono. Ci si dovrebbe essere accorti che fra predicato e oggetto c’è uno iato, ormai si parla apertamente di eserciti schierati, cosacche, libri paga... ecco qui forse si può vedere un cambiamento. L’aumento impressionante di uomini e donne di parte, il partito preso. Spiriti liberi, tendenti all’oggettività... non è che abbiano mai avuto vita facile, ma oggi il pericolo di andare in esilio... senza “emigrazione interna” è molto presente e possibile. Per non parlare delle frasi del tipo: “Basta, l’Italia non è più vivibile, vado all’estero”. Naturalmente restano qui e continuano come prima. Tutto questo non avviene senza stravolgimenti e stranezze. Santoro che ormai, absit iniuria verbis, aveva fatto il suo tempo, oggi è la vedette della libertà di stampa e di pensiero. Lucarelli, che è un buon scrittore, è assurto a padre della patria. Gli scrittori di noir hanno un incredibile successo, credo che avranno un incontro ad alto livello in Cina nei prossimi giorni. In epoca di antiberlusconismo militante dire che il premier ha dato di che lavorare a tanti che altrimenti non avrebbero saputo dove sbattere la testa, è sicuramente pericoloso, ma facendo uno più uno, lo si può negare?

 

Qual è la domanda che non le è stata mai fatta e che vorrebbe sentirsi fare?

Questa è la domanda più divertente e sbarazzina. Forse ce ne sono tante di domande ineluse, sarà bene sceglierne una soltanto. Ecco la domanda: “Avrebbe voluto far soldi, guadagnare, con la sua poesia?” La risposta ovviamente è sì, anche se ho sempre saputo che era quasi impossibile. Speravo molto negli Stati Uniti, poi una volta ho sentito che stavano, in poesia, peggio di noi... readings, sì, letture fra amici, nei bar, nei sottoscala... ma mi hanno detto che non vendono mai più di mille copie. Possibile? Forse è una calunnia. So di un noto e apprezzato poeta italiano che in una edizione francese non ha venduto quasi niente. Tutto questo è stato per me per anni una scommessa. Che ho regolarmente perso, è chiaro. “È un mestiere da rimetterci le penne” disse una volta, anni ’80, Zanzotto a chi gli chiedeva notizie del “mestiere del poeta”. Meglio non pensarci più di tanto, ci si immalinconisce. Non potrei auto-rivolgermi la domanda di riserva?


Mariaelisa Giocondo



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