Beatrice Niccolai nasce a Borgo San Lorenzo (FI) nel 1967.
Autrice di Sans Papier – Reato d’esistenza di una buona a nulla (Ennepilibri 2006) e di Gramigna (Ennepilibri 2008).
Madrina di un premio di poesia itinerante “Premio Piera Micheli Rossi” (LO).
Le sue parole accompagnano artisti in Italia e dal 2008 anche oltre oceano. Le sue poesie sono state tradotte ad oggi in quattro lingue. Ex tante cose, ora oltre ad essere una donna e una madre, è uno spazio vuoto in mezzo alle parole.
Excerpt da Gramigna
di Beatrice Niccolai
LA MIA ABBAZIA
Inspiro pensieri senza filtro
nel vuoto d'un momento.
Se Dio esiste,
sta nel delirio degli abusati dalla vita,
sta in un peccato.
Dietro cespugli di carezze e dolori,
scorge come un castello abbandonato anche da Dio
la mia Abbazia.
ROSSO PECCATO
Non chiudesti porte dietro Te,
nell'indecenza di un Amore dichiarato
alla frontiera d'un destino già occupato.
- Fermo per giacenza -
vociferano ancora gli angeli
hanno messo radici anche le ali,
nel rosso peccato
del melo.
L'INFERNO DEGLI ANGELI
La sera restituisce le poche,
improbabili certezze.
Dev'essere così
l'inferno degli angeli.
CROCE
Vivo una vita senza pareti
né Cristi appesi.
L’ultimo Cristo ch’è passato di qua
m’ha lasciato la croce
LE ALI
C’è una leggerezza infinita
in ogni macigno che mi doni.
Sopravvivendo l’inferno
mi sono spuntate come germogli,
di me,
le ali.
Gramigna
Prefazione di Beppe Costa
Non avrei mai pensato, dopo tanto tempo, di potere piangere e urlare di gioia e meraviglia.
Una sorpresa di fine maggio, la pioggia, e, quasi all'alba, una riga, una voce, quasi un grido la notte del 31 maggio:
«Grazie per lo straordinario blog
e grazie per avere Cura delle Parole
e di esserne saggio e premuroso guardiano».
Beatrice
Così, semplice, come fosse niente, un tumulto e mi ritrovo con immagini ed emozioni composte di parole. Sì parole come tante com'è d'uso come in uso. Ma con quale forza, dignità, passione, che altrove non avevo incontrato.
Dove la differenza? Dove l'inganno? Nella misura, nella drammaticità, o brevità dell'immagine che appare immediata come una foto scattata senza preavviso che coglie la smorfia, l'ombra che non c'è, il vago chiarore o la luce di Caravaggio.
E che si scomodino i poeti maledetti, Rimbaud in testa o Pasolini, cos'è tanto per non aver altro da dire? Cos'è se non ciò che non abbiamo mai incontrato? Ovvero ciò che non abbiamo avuto la fortuna d'incontrare.
Quale forza che ha velocità d'un fulmine in una frase che in due, tre o anche quattro righe ci narra un dramma che richiede poi qualche decina di pagine di spiegazione?
Qualcosa mi ricorda Beatrice Niccolai, qualcosa ch'è facile controllare: frasi brevi e all'apparenza monche di una Anna Maria Ortese in alcune lettere a me o a Dario Bellezza nel descrivere la propria solitudine, ma anche il disincanto o la spesa per i farmaci.
La stanza della Ortese in Liguria è buia, la pioggia si sente, profuma, la voce mai perduta, mai triste, anzi più ferma che mai dell'una minuta e fragile all'apparenza e dell'altra in Toscana, di opposta corporatura ma entrambe a squarciare la letteratura, a dirci ciò che c'è non è rispetto a ciò che loro scrivono.
Anni di silenzio e di oblio trascorsero, senza che lei potesse avere aiuti o riconoscimenti, anni terribili, bui, che solo una donna forte e coraggiosa affrontava badando ad una sorella (Maria), debole e ammalata.
«Faccio una fatica indicibile a scrivere qualunque cosa - anche le lettere, che un tempo erano libertà e felicità, mi sono oggi sofferenza. Il mio unico lavoro è ricopiare cose del passato, per renderle leggibili». Anna Maria Ortese
Beatrice qui, come lei allora, vivono di letteratura, un atroce delitto inammissibile, per alcuni che talora urlano loro di andare a lavorare. Questo era accaduto e accade e ci si chiede ancora se esista, nel nostro paese o altrove, il mestiere dello scrittore, del poeta.
Certo mettere righe, l'una accanto l'altra, comporre in un vortice di parole e di concetti può essere fin troppo facile. Ma non dove abita la poesia, dove si fa sangue e carne, dove attacca, ferisce, s'impiglia, annega, risorge, ferisce, intrappola, fino a farti urlare per dire: ti ho stanato infine, vieni fuori Poesia, vieni ancora Beatrice. Sei un sogno davvero!
Lo stile, il linguaggio, il contrasto, la contraddizione, insieme: l'uno verso e contro l'altro:
«Su queste labbra
Io ho inventato uno spazio muto
Dove perdermi per ritrovarti
E ancora disegnarti
Per raccontarmi una bella novella illustrata»
Solo su queste cinque righe si potrebbero scrivere pagine per spiegare la struttura del sogno e dell'inganno. Poeta che si maschera, che finge ed è sincero allo stesso tempo.
Non paragono, malgrado abbia voglia di farlo per accenno, Beatrice Niccolai a nessuno dei Poeti ma, semmai per alcuni aspetti ai molti “inganni” di Fernando Pessoa, anche perché questo presentato è un libro che ne anticipa ad oggi almeno altri due.
Grazie di avermi ridato la “Poesia”
Beppe Costa
N.B. – Beatrice Niccolai sarà presente al “Teranova Festival” di Roma
i prossimi 28, 29 e 30 ottobre (in calce correlazione al Programma)