Nel ringraziare il direttore Claudio di Scalzo e il poeta Fabiano Alborghetti per avermi coinvolto in questa brillante ricerca, accetto con entusiasmo l’invito a contribuirvi. Credo sia emozionante, nonché magico, sapere che [ci] sono in mezzo a noi, uno di noi. Ebbene, scopriamoli [insieme]… vivi [e vegeti]! Loro, i poeti, l’oro della poesia.
Esordisco partendo dall’Helldorado che ha nome Genova, mettendo le mani sul corpus inedito della poeta Chiara Daino, che tanto piratescamente mi ha concesso il suo beneplacito.
Come sempre “e come anche accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, autore a nudo e senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia”.
AUTOPRESENTAZIONE in forma di manifesto
di Chiara Daino
[Archi di] Pietra
Una giovene fiera a paro a paro coi nobili poeti va cantando, et ha un suo stil bruto e raro.
Ven colei ch'ha 'l titol d'esser belva: nudrita di penser non dolce, sciolta favella, tal che nessun sapea 'n qual mondo fosse.
Giunge la funesta: colei che 'l mondo chiama ostile – e sempre un stil, ovunque fusse, tenne.
Ven colei ch'ha 'l titol d'esser folle: ch’ella amante terribile e maligna; disdegnosa e dolente si richiama. Del più dotto(r) figlia è chiara la crudel fama! Et anco è di malor: sì nuda e magra, tanto ritien del suo primo esser BILE, che par dolce ma punge agra.
E veggio ardir quella leggiadra fera, dispietata. Donna, fiera ch'è oggi ignudo spirto e felice sasso che 'l bel viso serra; fu già quella: alta colonna di malor. Colei che con sua tela tutto 'l mondo atterra, tornava con onor da la sua guerra, allegra, avendo vinto. Vedi il gran nemico? Com'arde in prima, e poi si rode, d'amor, di gelosia, d'invidia ardendo: in grembo a la nemica il capo pone.
E vidi il gran nemico stanco già di mirar, non sazio ancora – gli occhi dal suo bel muso non torcea, gli occhi, già accesi d'un celeste lume. Femina vinse chi pareami tanto robusto [del qual più d'altro mai l'alma – e non sol quella
ebbe piena]
Dogliosa e secca fu principio a SÌ lunghi martiri: memoria di sospiri. Più salvatica che i cervi, non curando speme né pene, allegra giostra, avendo vinto la sua guerra. Costei non è chi tanto o quanto stringa: crudelmente scorza e rebellante suole – da le 'nsegne d'Amore andar solinga. Non fan sì grande e sì terribil sòno Etna qualor da Encelado è più scossa, non freme così 'l mar quando s'adira. Non bollì mai Vulcan, Lipari od Ischia, Strongoli o Mongibello in tanta rabbia: non già quanto lei a disfar tutto, così presto. Sia 'l nome: Chiara e chiamasi Fame – et è morir secondo; ragion contra lei non ha loco e poco ama sé chi 'n tal gioco s'arrischia.
Tutte le sue Virtuti eran chiare mosse [a chiosa glossa]: gente di ferro e di dolore armata.
Schiera che del suo nome empie ogni libro; e come Fortuna va cangiando stile! Duro letto, dama sente. Ma benché obliqua, so quale lama sovra la mente: rugge, so com'ode saetta e come vola, e so com'or rubea per forza e come invola, instabili sue note, le mani armate – percote [E non v'è chi per lei difesa faccia quand’ella
è sola]
E son gli occhi: rapaci e tenaci, son come sete. So come nell'ossa il suo foco di pesce e ne le vene vive occulta piega, onde morte e palese incendio nasce.
[E l’ira cresce]
E so come in un punto si dilegua e non v’è speme di trovarla, e so in qual guisa, fra lunghi sospiri e brevi risa, voglia color cangiare spesso; stando dal cor l'alma divisa. Seguendo 'l foco ovunque fugge; sa arder da lunge ed agghiacciar da presso.
So come ogni ragione d’Amor discaccia, e so in quante maniere il cor distrugge. Insomma so che dama è alma ondivaga: rotto parlar con subito silenzio. E poi sparge mille volte il sangue: poco dolce molto amaro appaga, mal temprata con l'assenzio!
Donna involta in veste magra, con un furor qual io non so se mai: «co la mia lingua e co la forte penna» [rispose quella, che fu nel mondo
una]
Chiara: virtute accesa, quasi un scoglio. Et la boriosa impressa avea: sangue meschio, un singular suo proprio portamento, suo riso, suoi disdegni e sue parole. E poi un drappello di portamenti e di volgari strani: ch'ogni maschio pensier de l'alma tolle.
Pallida no, ma più che neve bianca che senza venti in un bel colle fiocchi, parea posar come persona stanca. Quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi, sendo lo corpo già da lei diviso, era quel che consumar chiaman gli sciocchi. A chi sa legger era condutta, a guisa d'un soave e chiaro lume – cui nutrimento a poco a poco manca, tenendo al fine il suo caro costume. Ecco colei che vien selvaggia, che di non esser prima par ch'ira aggia: ancor fa orror col suo dir strano e singolare. Poco era fuor de la comune strada, se, come dee, virtù nuda si stima. Era colei ch'Algòs sì leve afferra, et a Genova tolta, et a l'estremo cangiò per miglior patria, abito e stato [SOGNO D’INFERMI E FOLA
DI ROMANZI]
Ma pur di lei, che 'l cor di pensier m'empie, non potei coglier mai ramo né foglia, sì fur le sue radici audaci e purpuree le penne, né volle catene. Benché talor doler mi soglia [com'uom ch'è offeso] ecco quel che con questi occhi vidi: penitenzia e dolor dopo la pelle, la mia nemica Amor non strinse.
Tardi ingegni rintuzzati e sciocchi: qual greggia eran condutti; i cori e gli occhi fatti di smalto – la bella vincitrice, legarli vidi, e farne quello strazio che bastò ben a mille altre vendette! Tal si fe' quel giorno e disse:
«Io son colei che SÌ importuna, fera chiamata son da voi, sorda e cieca gente a cui si fa notte inanzi sera.Di gioventute e di bellezze altera, con la mia spada la qual punge e seca, e giugnendo quand'altri non m'aspetta, ho interrotti mille penser vani. Or a voi, quando il viver più diletta, drizzo il mio corso inanzi che Fortuna nel vostro amaro qualche dolce metta. Ben vi riconosco: so quando 'l mio dente vi morse e qui – conven più duro morso!».
Fiammeggiava a guisa d'un piropo: bella era, e ne l'età fiorita e fresca; quanto in più gioventute e 'n più bellezza, tanto par che sua forza accresca; nel cor femineo fu sì gran fermezza, che col bel viso e co l'armata coma fece temer chi per natura sprezza.
Io la vidi pien d'ira e di disdegno: ché già mai schermidor non fu sì accorto a schifar colpo, né nocchier sì presto a volger nave dagli scogli in porto, come uno schermo intrepido et onesto subito ricoverse quel bel viso: «la gran vendetta».
E 'n un momento – ammorba.
Io la vidi: scudo in man, arco e saette. E tal morti da lei, tal presi e vivi. Lei pensa, parla o scrive: «Per fictïon il ver non cresce, né scema», barbarica funesta. E ride.
[taccia 'l vulgo ignorante!]
Poi, col ciglio più torbido e più fosco, disse: «Piaga antiveduta assai men dole. Forse che 'ndarno mie parole spargo, ma non fate contra 'l vero al core un callo, come sete usi! Anzi: volgete gli occhi, mentre il vostro fallo, che sempre al vento si trastulla e di false opinïon si pasce, tremando scote. 'L tempo è breve, vostra voglia è lunga – e voglia in me ragion già mai non vinse!
Io v'annunzio che voi sete offesi da un grave e mortifero letargo, ché volan l'ore, e' giorni, e gli anni,
e' mesi; insieme, con brevissimo intervallo, tutti avemo a cercar altri paesi. Qui non si stima la penna ch'oso ardita in versi o 'n rima. Ond'io fora più chiara e di più grido: (reci) Diva son io, e tu se' morto ancora e sempre sarai».
Così parlava, e gli occhi avea al ciel fissi devotamente; poi mosse in silenzio quelle labbra ch'io vidi rosse lampeggiar. Dinanzi a tutto 'l mondo aperta e nuda: mente vaga, al fin sempre digiuna. Pallida in vista, orribile e superba che 'l lume di beltà vermiglio avea: dolci sdegni e dolci ire, le dolci paci ne' belli occhi. I' vidi il ghiaccio, e lì stesso la rosa, quasi in un punto il gran freddo e 'l gran caldo: dinanzi agli occhi un chiaro specchio.
E NON chiaro si vede ch’è chiuso cor profondo in suo secreto: un duro prandio, una terribil cena, come fu suo piacer, volse e rivolse.
Nulla temea e con dolce lingua, con fronte serena uscì del foco: ignuda in cruda grazia, a parlar secco – a faccia a faccia. E quel che, come un animal s'allaccia, co la lingua possente legò 'l sole: la mia nemica Amor non strinse. E co la lingua a sua voglia lo vinse.
Un gran folgór parea tutta di foco: che quando il miri più tanto più luce; e di che sangue qual campo s'impingue. Empié la dïalettica faretra ma breve e 'scura; e' la dichiara e stende. E alzò ponendo l'anima immortale: mostra la palma aperta e 'l pugno chiuso; e per fermar sua bella intenzïone nulla forza volse ad atto vile. La lunga vita e la sua larga vena pone in accordar le parti [che 'l furor litterato a guerra mena]
Falcon d'alto a sua preda volando e più dico: non difalca! Né pensier poria già mai seguir suo volo, non lingua o stile, tal che con gran paura la mirai. Di lei o di sua rabbia par che più d'altri invidia s'abbia, che per se stessa è levata a volo, uscendo for della comune gabbia. E riprende un più spedito volo – la reina di ch'io sopra dissi.
Passan nostre grandezze e nostre pompe, passan le signorie, passano i regni; né MAI si sposa né s'arresta o torna, finché v'ha ricondotti in poca polve [perché umana gloria ha
tante corna]
Io dissi di quella che ’l ferro e ’l foco affina: la penna da man destra e ’l ferro ignudo tèn dalla sinestra. Invece d’osse la vidi indurarse in petra aspra, che del mar infamia fosse.
Disperata scriva, donna viva e chiara una volta: fia Chiara [in eterna
brama].
Chiara Daino
[thanks to Petrarca]
Testi inediti
Il primo è «uno dei testi performati a Monfalcone (“Absolute [YOUNG] Poetry 2009 & [Udine traduce]” Udine/Monfalcone, 5-10 ottobre 2009, ndr) che ha tirato giù il Teatro ed è più inedito degli inediti...» parola di Dama, questa è Metaliteracy:
*
Poeta
Ave Poeta! con forza Poeta la folla ti chiama – che cazzo! Poeta – Ave Poeta, m’inchino Poeta dai fammi godere – in gola Poeta ingoia Poeta la lama Poeta si rima di pietra di un finto Poeta…
Poeta Poeta ti predica l’anima! Ansima ancora – masturba il Poeta! la sega segreta sistema che spaccia Poeta Poeta: che prassi! che piaccia!
PoetaPoeta! Poeta il Profeta Poeta l’amico/il mago/l’esteta Poeta – PoetaPoeta! ognuno Poeta la vacca Poeta la strega Poeta chirurgo? Poeta! la nonna Poeta il capo Poeta il matto Poeta la santa Poeta la stronza Poeta il gatto Poeta il figo Poeta la merda Poeta – chiunque Poeta…
Poeta di strada Poeta che vada Poeta più dada Poeta che rida Poeta di moda Poeta che vana Poeta puttana Poeta mignatta Poeta mignotta Poeta la muffa Poeta la mischia Poeta qualunque Poeta comunque Poeta – la vena che munge la scena di sperma la sirma Poeta che schiuma che spuma la firma Poeta che sborra stronzate di lusso Poeta che lecca dei culi con gusto! Poeta di gesso di polvere grasso! Poeta più spesso la triste bambina Poeta l’ostile che ancora si ostina Poeta la vittima – la più vicina Poeta che pena! succhiar la sestina
Poeta il poema e Poeta di Crono Poeta tutto – il tuo quotidiano Poeta giallo rosso Poeta Cirano! Poeta in greco latino e quale! fottuto destino? Poeta ignaro Poeta più piano Poeta sì no Poeta Figaro Figaro! Poeta di corte Poeta la morte Poeta del sesso Poeta pupazzo Poeta che in metro – ti misuri il cazzo….
Poeta che palle che versi che stelle Poeta la luna la donna la mamma Poeta fantasma Poeta che dramma! l’alba la gemma l’alma la strenna Poeta la crisi di letto di lemma Poeta che palla che parla che palle Poeta che basta! friggere l’aria diaria per dire Poeta per dirti Poeta rivolta la sacca: tintinna moneta? rivolta la secca che munta ti mieta Poetapoeta ti mangia la lupa Poeta minuto m’al Poeta cazzuto non serve che un dito! Poeta del gesto nel gesto ti dico Poeta mi basta: esto tierzo dito! Poetapoeta al volo ti dico ‘fanculo Poeta ‘fanculo Poeta ‘fanculo – che sono
Heavy Metal
*
I testi che seguono, sempre rigorosamente inediti, provengono invece dalla raccolta VIRUS 71 [diagnosi differenziale del parassita obbligato: godi del morbo glorioso del principio del piacere della fine della filosofia o: della fisiologia del dolore e altre affezioni a carattere congenito: turpissimi auctoris contagio] che Chiara Daino mi ha affidato lasciandomi libero di prelevarne il morbo… e che sia rigorosamente contagioso!
*
All’Armata dei Drudi
[tribute to The Hill by E. L. Masters, Spoon River Anthology]
IL LETTO
di Chiara Daino
Dove sono Marco, Carlo, Simo,
Massi e Rudy,
l’ambiguo, l’ameba, il trucido,
l’elfo, il bugiardo?
Uno bruciò la chitarra,
uno si è sposato in chiesa,
uno è in cerca di una dose,
uno l’ho perso per strada,
uno restò chiuso nella torre navigando
per i suoi mari –
Tutti, tutti dormono, dormono,
dormono nel mio letto.
Dove sono Paolo, Ale, Richy, Giuse e Didi?
il gigante, il cinico, il vacuo, l’efebo, il poeta?
Tutti, tutti dormono nel mio letto.
Uno finì per marchiarmi a fuoco,
uno per cancellarmi i sogni,
uno dietro un vetro annerito,
uno col dar retta a suo padre, quando c’era quasi
uno girando cartine e città, in treno in volo in moto
ma fu ritratto nel piccolo corpo con Paolo con Ale, e Richy
Tutti, tutti dormono, dormono, dormono nel mio letto.
Dove sono il Matte e lo Sciama,
e quel puerile vecchio Capitano e il buon Barabba,
e quel demente di Bullìco che aveva conosciuto
la più grande cerchia parassita della Repubblica?
Tutti, tutti dormono nel mio letto.
Si ripresero, sensi cadaveri, dalla nebbia,
e purezze infrante dalla realtà,
e la mia parola orfana, lacrima –
Tutti, tutti dormono, dormono, dormono nel mio letto.
Dov’è quella bambina saggia, Key
che giocò con la vita per tutti i Mille Anni,
fronteggiando la neve minuta a petto nudo,
bevendo, facendo segnali, senza curarsi di sé
né del diaccio, non del desco, né del dolore?
Eccola! Ciancia delle tante ferite di tanti anni fa,
di tante corse, in Vico dei Librai, dei tanti anni prima
di quello che azzurro le disse
una volta che tutto il mondo sembrava dormisse
*
l’Arte è Fàtica!
[pronuncia forte le parole della funzione]
*
Ti dirò tutto, tutto – del corpo sciolto
di ogni incubo scelto, ad uno ad uno…
ti dirò che confesso proprio il nome proprio che cerchi – proprio quello, quel nome
piretico che prude per le papille pulcinelle cupide cloache le cronache del carname
quelle secrete – fregole esatte dallo stato sceriffo scandalo solletico, ti dico il crimine
Mia Maestà il Palco mi qualifica – nel processo tutto è pubblico! mi metto agli Atti
mi Marchio il motto: «vietato il transito! o sopra o sotto – il Palco» è varco il Sacro
non scendo non smonto mai il sipario e seguo e stendo la Regia ribalta o scena che
non faccio qualcosa, sono quel qualcuno ogni quando respiro – è a passo di Dramma
Ti dirò che ti lascio – tutto
il quotidiano [ leggi tra le righe ]
dentro fuori sopra sotto dietro
di lato – ti dico: sono in scena!
sempre ti dico col gesto:
lasciami nell’atto di dare
la mia natura alle croste
alle piaghe da programma
chi ti comanda? devi capire?
la vendetta non prova pietà
e rivendico la santa che sputa
in calce al vecchio filosofo
non recito perché recrimino
il corpo del miracolo, il senso
del ridicolo cercare quel grigio
perla è morbo, non un calcolo
Ti dirò che ho perso il conto,
ti dirò lo so esattamente: dirò
le cose di me che non so
ora che ho rotto il vetro
ti dirò la voglia di dire
Basta! cercare le parole
non mi chiamare, non
ti dirò che la carne umana puzza
ti dirò che trema la mente sobria
ti dirò come vede chi non vede ti dico
quanto male si vende bene: lo noti
quanto frutta molto miele la favola del lieto fine morbo di masse
non c’era chi vede con occhi chiari mette mano all’occhio chiuso
ti dirò che un eroe morto è un eroe – piaccia o meno è sempre solo
chi calcia l’anima davvero si dedica al popolo futuro: a corpo morto
ti dirò che ho bevuto e tanto
per non sentirmi più dire che
ti dirò tutto quello che ti serve
per sentirti il migliore amante
il maschio più potente, forte braccio di Suina prestanza – Onorevole obelisco
come comandi presto parole presto servizio presto servigi presto spoglie e salma
ti dirò: tutto si può dire, se sai
dire di tutto a te stesso, non è
detto come uscirne un domani
*
– vomitare, l’anima –
in una virgola riposa la distanza
separa chi risorge da chi rimette
*
Mette i maschi in metro
Ai piedi, ai posti, al palo
Spinte di lombi in limbo
Trito di ghiande e glande
In riga! in posa in cerchio
Concio le pelli – passate
Addio e andate: e ancora
Ecatombe emotiva
Siete stati. nodi e nastri
Patiboli privati: vi lascio
Un bacio – uno per uno
Tra poco non vi chiamo
Amore – tronca le corde
*
[ Silenzio! Dormo… ]
*
Chiara Daino, Genova, 5 marzo 1981.
Attrice, autrice. Tra le pubblicazioni: Lulù (drammaturgia, in Rac-Corti, Perrone Editore, 2007), La Merca (romanzo, Fara 2006), Permis de traduir (commedia, in Animaelegentes, Cantarena, 2006), inversiOn (traduzioni da Massimo Sannelli, Dusie, 2007). È presente nell’antologia Genovainedita (Galata, 2007). Tra gli spettacoli: Il baule di Viv (one woman act, per i testi di Massimo Morasso), Su un Io Colonna (one woman act, per le poesie di Emily Dickinson), 11.30 non ho preso l’Optalidon (cut-up da Pasolini e altri, in Pagine Corsare, 2007). Cura in esclusiva per Kinematrix lo spazio Al Moulin Rouge (on-line). Traduttrice, songwriter.
In rete: www.chiaradaino.it