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Fabio Barcellandi trova Chiara Daino 
Cercando l'oro 32
Chiara Daino
Chiara Daino 
21 Ottobre 2009
 

Nel ringraziare il direttore Claudio di Scalzo e il poeta Fabiano Alborghetti per avermi coinvolto in questa brillante ricerca, accetto con entusiasmo l’invito a contribuirvi. Credo sia emozionante, nonché magico, sapere che [ci] sono in mezzo a noi, uno di noi. Ebbene, scopriamoli [insieme]… vivi [e vegeti]! Loro, i poeti, l’oro della poesia.

 

Esordisco partendo dall’Helldorado che ha nome Genova, mettendo le mani sul corpus inedito della poeta Chiara Daino, che tanto piratescamente mi ha concesso il suo beneplacito.

 

Come sempre “e come anche accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, autore a nudo e senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia”.

    

  

 

AUTOPRESENTAZIONE in forma di manifesto

di Chiara Daino

 

[Archi di] Pietra

 

Una giovene fiera a paro a paro coi nobili poeti va cantando, et ha un suo stil bruto e raro.

Ven colei ch'ha 'l titol d'esser belva: nudrita di penser non dolce, sciolta favella, tal che nessun sapea 'n qual mondo fosse.

 

Giunge la funesta: colei che 'l mondo chiama ostile – e sempre un stil, ovunque fusse, tenne.
Ven colei ch'ha 'l titol d'esser folle: ch’ella amante terribile e maligna; disdegnosa e dolente si richiama. Del più dotto(r) figlia è chiara la crudel fama! Et anco è di malor: sì nuda e magra, tanto ritien del suo primo esser BILE, che par dolce ma punge agra.

 

E veggio ardir quella leggiadra fera, dispietata. Donna, fiera ch'è oggi ignudo spirto e felice sasso che 'l bel viso serra; fu già quella: alta colonna di malor. Colei che con sua tela tutto 'l mondo atterra, tornava con onor da la sua guerra, allegra, avendo vinto. Vedi il gran nemico? Com'arde in prima, e poi si rode, d'amor, di gelosia, d'invidia ardendo: in grembo a la nemica il capo pone.

 

E vidi il gran nemico stanco già di mirar, non sazio ancora – gli occhi dal suo bel muso non torcea, gli occhi, già accesi d'un celeste lume. Femina vinse chi pareami tanto robusto [del qual più d'altro mai l'alma – e non sol quella

ebbe piena]

 

Dogliosa e secca fu principio a SÌ lunghi martiri: memoria di sospiri. Più salvatica che i cervi, non curando speme né pene, allegra giostra, avendo vinto la sua guerra. Costei non è chi tanto o quanto stringa: crudelmente scorza e rebellante suole – da le 'nsegne d'Amore andar solinga. Non fan sì grande e sì terribil sòno Etna qualor da Encelado è più scossa, non freme così 'l mar quando s'adira. Non bollì mai Vulcan, Lipari od Ischia, Strongoli o Mongibello in tanta rabbia: non già quanto lei a disfar tutto, così presto. Sia 'l nome: Chiara e chiamasi Fame – et è morir secondo; ragion contra lei non ha loco e poco ama sé chi 'n tal gioco s'arrischia.

 

Tutte le sue Virtuti eran chiare mosse [a chiosa glossa]: gente di ferro e di dolore armata.

Schiera che del suo nome empie ogni libro; e come Fortuna va cangiando stile! Duro letto, dama sente. Ma benché obliqua, so quale lama sovra la mente: rugge, so com'ode saetta e come vola, e so com'or rubea per forza e come invola, instabili sue note, le mani armate – percote [E non v'è chi per lei difesa faccia quand’ella

è sola]

 

E son gli occhi: rapaci e tenaci, son come sete. So come nell'ossa il suo foco di pesce e ne le vene vive occulta piega, onde morte e palese incendio nasce.

[E l’ira cresce]

 

E so come in un punto si dilegua e non v’è speme di trovarla, e so in qual guisa, fra lunghi sospiri e brevi risa, voglia color cangiare spesso; stando dal cor l'alma divisa. Seguendo 'l foco ovunque fugge; sa arder da lunge ed agghiacciar da presso.

So come ogni ragione d’Amor discaccia, e so in quante maniere il cor distrugge. Insomma so che dama è alma ondivaga: rotto parlar con subito silenzio. E poi sparge mille volte il sangue: poco dolce molto amaro appaga, mal temprata con l'assenzio!

Donna involta in veste magra, con un furor qual io non so se mai: «co la mia lingua e co la forte penna» [rispose quella, che fu nel mondo

una]

 

Chiara: virtute accesa, quasi un scoglio. Et la boriosa impressa avea: sangue meschio, un singular suo proprio portamento, suo riso, suoi disdegni e sue parole. E poi un drappello di portamenti e di volgari strani: ch'ogni maschio pensier de l'alma tolle.

 

Pallida no, ma più che neve bianca che senza venti in un bel colle fiocchi, parea posar come persona stanca. Quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi, sendo lo corpo già da lei diviso, era quel che consumar chiaman gli sciocchi. A chi sa legger era condutta, a guisa d'un soave e chiaro lume – cui nutrimento a poco a poco manca, tenendo al fine il suo caro costume. Ecco colei che vien selvaggia, che di non esser prima par ch'ira aggia: ancor fa orror col suo dir strano e singolare. Poco era fuor de la comune strada, se, come dee, virtù nuda si stima. Era colei ch'Algòs sì leve afferra, et a Genova tolta, et a l'estremo cangiò per miglior patria, abito e stato [SOGNO D’INFERMI E FOLA

DI ROMANZI]

 

Ma pur di lei, che 'l cor di pensier m'empie, non potei coglier mai ramo né foglia, sì fur le sue radici audaci e purpuree le penne, né volle catene. Benché talor doler mi soglia [com'uom ch'è offeso] ecco quel che con questi occhi vidi: penitenzia e dolor dopo la pelle, la mia nemica Amor non strinse.

 

Tardi ingegni rintuzzati e sciocchi: qual greggia eran condutti; i cori e gli occhi fatti di smalto – la bella vincitrice, legarli vidi, e farne quello strazio che bastò ben a mille altre vendette! Tal si fe' quel giorno e disse:

 

«Io son colei che SÌ importuna, fera chiamata son da voi, sorda e cieca gente a cui si fa notte inanzi sera.Di gioventute e di bellezze altera, con la mia spada la qual punge e seca, e giugnendo quand'altri non m'aspetta, ho interrotti mille penser vani. Or a voi, quando il viver più diletta, drizzo il mio corso inanzi che Fortuna nel vostro amaro qualche dolce metta. Ben vi riconosco: so quando 'l mio dente vi morse e qui – conven più duro morso!».

 

Fiammeggiava a guisa d'un piropo: bella era, e ne l'età fiorita e fresca; quanto in più gioventute e 'n più bellezza, tanto par che sua forza accresca; nel cor femineo fu sì gran fermezza, che col bel viso e co l'armata coma fece temer chi per natura sprezza.

Io la vidi pien d'ira e di disdegno: ché già mai schermidor non fu sì accorto a schifar colpo, né nocchier sì presto a volger nave dagli scogli in porto, come uno schermo intrepido et onesto subito ricoverse quel bel viso: «la gran vendetta».

E 'n un momento – ammorba.

 

Io la vidi: scudo in man, arco e saette. E tal morti da lei, tal presi e vivi. Lei pensa, parla o scrive: «Per fictïon il ver non cresce, né scema», barbarica funesta. E ride.

[taccia 'l vulgo ignorante!]

 

Poi, col ciglio più torbido e più fosco, disse: «Piaga antiveduta assai men dole. Forse che 'ndarno mie parole spargo, ma non fate contra 'l vero al core un callo, come sete usi! Anzi: volgete gli occhi, mentre il vostro fallo, che sempre al vento si trastulla e di false opinïon si pasce, tremando scote. 'L tempo è breve, vostra voglia è lunga – e voglia in me ragion già mai non vinse!

Io v'annunzio che voi sete offesi da un grave e mortifero letargo, ché volan l'ore, e' giorni, e gli anni,

e' mesi; insieme, con brevissimo intervallo, tutti avemo a cercar altri paesi. Qui non si stima la penna ch'oso ardita in versi o 'n rima. Ond'io fora più chiara e di più grido: (reci) Diva son io, e tu se' morto ancora e sempre sarai».

 

Così parlava, e gli occhi avea al ciel fissi devotamente; poi mosse in silenzio quelle labbra ch'io vidi rosse lampeggiar. Dinanzi a tutto 'l mondo aperta e nuda: mente vaga, al fin sempre digiuna. Pallida in vista, orribile e superba che 'l lume di beltà vermiglio avea: dolci sdegni e dolci ire, le dolci paci ne' belli occhi. I' vidi il ghiaccio, e lì stesso la rosa, quasi in un punto il gran freddo e 'l gran caldo: dinanzi agli occhi un chiaro specchio.

E NON chiaro si vede ch’è chiuso cor profondo in suo secreto: un duro prandio, una terribil cena, come fu suo piacer, volse e rivolse.

 

Nulla temea e con dolce lingua, con fronte serena uscì del foco: ignuda in cruda grazia, a parlar secco – a faccia a faccia. E quel che, come un animal s'allaccia, co la lingua possente legò 'l sole: la mia nemica Amor non strinse. E co la lingua a sua voglia lo vinse.

Un gran folgór parea tutta di foco: che quando il miri più tanto più luce; e di che sangue qual campo s'impingue. Empié la dïalettica faretra ma breve e 'scura; e' la dichiara e stende. E alzò ponendo l'anima immortale: mostra la palma aperta e 'l pugno chiuso; e per fermar sua bella intenzïone nulla forza volse ad atto vile. La lunga vita e la sua larga vena pone in accordar le parti [che 'l furor litterato a guerra mena]

 

Falcon d'alto a sua preda volando e più dico: non difalca! Né pensier poria già mai seguir suo volo, non lingua o stile, tal che con gran paura la mirai. Di lei o di sua rabbia par che più d'altri invidia s'abbia, che per se stessa è levata a volo, uscendo for della comune gabbia. E riprende un più spedito volo – la reina di ch'io sopra dissi.

 

Passan nostre grandezze e nostre pompe, passan le signorie, passano i regni; né MAI si sposa né s'arresta o torna, finché v'ha ricondotti in poca polve [perché umana gloria ha

tante corna]

 

Io dissi di quella che ’l ferro e ’l foco affina: la penna da man destra e ’l ferro ignudo tèn dalla sinestra. Invece d’osse la vidi indurarse in petra aspra, che del mar infamia fosse.

Disperata scriva, donna viva e chiara una volta: fia Chiara [in eterna

brama].


Chiara Daino

 

[thanks to Petrarca]



 

 

 

Testi inediti


Il primo è «uno dei testi performati a Monfalcone (“Absolute [YOUNG] Poetry 2009 & [Udine traduce]” Udine/Monfalcone, 5-10 ottobre 2009, ndr) che ha tirato giù il Teatro ed è più inedito degli inediti...» parola di Dama, questa è Metaliteracy:

 

*

Poeta

 

Ave Poeta! con forza Poeta la folla ti chiama – che cazzo! Poeta – Ave Poeta, m’inchino Poeta dai fammi godere – in gola Poeta ingoia Poeta la lama Poeta si rima di pietra di un finto Poeta

Poeta Poeta ti predica l’anima! Ansima ancora – masturba il Poeta!  la sega segreta sistema che spaccia Poeta Poeta: che prassi! che  piaccia!

 

PoetaPoeta! Poeta il Profeta Poeta l’amico/il mago/l’esteta Poeta PoetaPoeta! ognuno Poeta la vacca Poeta la strega Poeta chirurgo? Poeta! la nonna Poeta il capo Poeta il matto Poeta la santa Poeta la stronza Poeta il gatto Poeta il figo Poeta la merda Poeta – chiunque Poeta

 

Poeta di strada Poeta che vada Poeta più dada Poeta che rida Poeta di moda Poeta che vana Poeta puttana Poeta mignatta Poeta mignotta Poeta la muffa Poeta la mischia Poeta qualunque Poeta comunque Poeta – la vena  che munge la scena di sperma la sirma Poeta che schiuma che spuma la firma Poeta che sborra stronzate di lusso Poeta che lecca dei culi con gusto! Poeta di gesso di polvere grasso! Poeta più spesso la triste bambina Poeta l’ostile che ancora si ostina Poeta la vittima – la più vicina Poeta che pena! succhiar la sestina

 

Poeta il poema e Poeta di Crono Poeta tutto – il tuo quotidiano Poeta giallo rosso Poeta Cirano! Poeta in greco latino e quale! fottuto destino? Poeta ignaro Poeta più piano Poeta sì no Poeta Figaro Figaro! Poeta di corte Poeta la morte Poeta del sesso Poeta pupazzo Poeta che in metro – ti misuri il cazzo….

 

Poeta che palle che versi che stelle Poeta la luna la donna la mamma Poeta fantasma Poeta che dramma! l’alba la gemma l’alma la strenna Poeta la crisi di letto di lemma Poeta che palla che parla che palle Poeta che basta! friggere l’aria diaria per dire Poeta per dirti Poeta rivolta la sacca: tintinna moneta? rivolta la secca che munta ti mieta Poetapoeta ti mangia la lupa Poeta minuto m’al Poeta cazzuto non serve che un dito! Poeta del gesto nel gesto ti dico Poeta mi basta: esto tierzo dito! Poetapoeta al volo ti dico ‘fanculo Poeta ‘fanculo Poeta ‘fanculo – che sono


Heavy Metal

 

*

I testi che seguono, sempre rigorosamente inediti, provengono invece dalla raccolta VIRUS 71 [diagnosi differenziale del parassita obbligato: godi del morbo glorioso del principio del piacere della fine della filosofia o: della fisiologia del dolore e altre affezioni a carattere congenito: turpissimi auctoris contagio] che Chiara Daino mi ha affidato lasciandomi libero di prelevarne il morbo… e che sia rigorosamente contagioso!

 

*

All’Armata dei Drudi

 

[tribute to The Hill by E. L. Masters, Spoon River Anthology]

 

IL LETTO

di Chiara Daino

 

Dove sono Marco, Carlo, Simo,

              Massi e Rudy,

l’ambiguo, l’ameba, il trucido,

                  l’elfo, il bugiardo?

Uno bruciò la chitarra,

uno si è sposato in chiesa,

uno è in cerca di una dose,

uno l’ho perso per strada,

uno restò chiuso nella torre navigando

per i suoi mari –

Tutti, tutti dormono, dormono,

           dormono nel mio letto.

 

Dove sono Paolo, Ale, Richy, Giuse e Didi?

il gigante, il cinico, il vacuo, l’efebo, il poeta?

Tutti, tutti dormono nel mio letto.

 

Uno finì per marchiarmi a fuoco,

uno per cancellarmi i sogni,

uno dietro un vetro annerito,

uno col dar retta a suo padre, quando c’era quasi

uno girando cartine e città, in treno in volo in moto

ma fu ritratto nel piccolo corpo con Paolo con Ale, e Richy

Tutti, tutti dormono, dormono, dormono nel mio letto.

 

Dove sono il Matte e lo Sciama,

e quel puerile vecchio Capitano e il buon Barabba,

e quel demente di Bullìco che aveva conosciuto

la più grande cerchia parassita della Repubblica?

Tutti, tutti dormono nel mio letto.

Si ripresero, sensi cadaveri, dalla nebbia,
e purezze infrante dalla realtà,
e la mia parola orfana, lacrima –
Tutti, tutti dormono, dormono, dormono nel mio letto.

Dov’è quella bambina saggia, Key
che giocò con la vita per tutti i Mille Anni,
fronteggiando la neve minuta a petto nudo,
bevendo, facendo segnali, senza curarsi di sé
né del diaccio, non del desco, né del dolore?
Eccola! Ciancia delle tante ferite di tanti anni fa,
di tante corse, in Vico dei Librai, dei tanti anni prima
di quello che azzurro le disse
una volta che tutto il mondo sembrava dormisse

 

*

l’Arte è Fàtica!

[pronuncia forte le parole della funzione]

 

*

Ti dirò tutto, tutto – del corpo sciolto

di ogni incubo scelto, ad uno ad uno…

ti dirò che confesso proprio il nome proprio che cerchi – proprio quello, quel nome

piretico che prude per le papille pulcinelle cupide cloache le cronache del carname

quelle secrete –  fregole esatte dallo stato sceriffo scandalo solletico, ti dico il crimine

Mia Maestà il Palco mi qualifica – nel processo tutto è pubblico! mi metto agli Atti

mi Marchio il motto: «vietato il transito! o sopra o sotto – il Palco» è varco il Sacro

non scendo non smonto mai il sipario e seguo e stendo la Regia ribalta o scena che

non faccio qualcosa, sono quel qualcuno ogni quando respiro – è a passo di Dramma

 

 

Ti dirò che ti lascio – tutto

il quotidiano [ leggi tra le righe ]

dentro fuori sopra sotto dietro

di lato – ti dico: sono in scena!

 

sempre ti dico col gesto:

lasciami nell’atto di dare

la mia natura alle croste

 

alle piaghe da programma

chi ti comanda? devi capire?

la vendetta non prova pietà

 

e rivendico la santa che sputa

in calce al vecchio filosofo

non recito perché recrimino

 

il corpo del miracolo, il senso

del ridicolo cercare quel grigio

perla è morbo, non un calcolo

 

Ti dirò che ho perso il conto,

ti dirò lo so esattamente: dirò 

le cose di me che non so

ora che ho rotto il vetro

 

ti dirò la voglia di dire

Basta! cercare le parole

non mi chiamare, non

 

ti dirò che la carne umana puzza

ti dirò che trema la mente sobria

ti dirò come vede chi non vede ti dico

quanto male si vende bene: lo noti

quanto frutta molto miele la favola del lieto fine morbo di masse

non c’era chi vede con occhi chiari mette mano all’occhio chiuso

ti dirò che un eroe morto è un eroe – piaccia o meno è sempre solo

chi calcia l’anima davvero si dedica al popolo futuro: a corpo morto

ti dirò che ho bevuto e tanto

per non sentirmi più dire che

ti dirò tutto quello che ti serve

per sentirti il migliore amante

il maschio più potente, forte braccio di Suina prestanza – Onorevole obelisco

come comandi presto parole presto servizio presto servigi presto spoglie e salma

 

ti dirò: tutto si può dire, se sai

dire di tutto a te stesso, non è

detto come uscirne un domani

 

*

vomitare, l’anima –

in una virgola riposa la distanza

separa chi risorge da chi rimette

 

*

Mette i maschi in metro

Ai piedi, ai posti, al palo

Spinte di lombi in limbo

Trito di ghiande e glande

In riga! in posa in cerchio

Concio le pelli – passate

Addio e andate: e ancora

 

Ecatombe emotiva

 

Siete stati. nodi e nastri

Patiboli privati: vi lascio

Un bacio – uno per uno

Tra poco non vi chiamo

Amore – tronca le corde

 

*

[ Silenzio! Dormo… ]

 

 

 

*

Chiara Daino, Genova, 5 marzo 1981.

Attrice, autrice. Tra le pubblicazioni: Lulù (drammaturgia, in Rac-Corti, Perrone Editore, 2007), La Merca (romanzo, Fara 2006), Permis de traduir (commedia, in Animaelegentes, Cantarena, 2006), inversiOn (traduzioni da Massimo Sannelli, Dusie, 2007). È presente nell’antologia Genovainedita (Galata, 2007). Tra gli spettacoli: Il baule di Viv (one woman act, per i testi di Massimo Morasso), Su un Io Colonna (one woman act, per le poesie di Emily Dickinson), 11.30 non ho preso l’Optalidon (cut-up da Pasolini e altri, in Pagine Corsare, 2007). Cura in esclusiva per Kinematrix lo spazio Al Moulin Rouge (on-line). Traduttrice, songwriter.

 

In rete: www.chiaradaino.it


Foto allegate

La Merca, Fara Editore
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