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Pizzo del Salto, Pizzo dell’Omo e Pizzo del Diavolo di Tenda
21 Ottobre 2009
 

Partenza: Vedello (m 1034).

Itinerario automobilistico: Dal Campus scolastico di Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano fino alla fine della tangenziale. Poco prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la SP che unisce Montagna Piano e Piateda fino a Busteggia. 100 metri oltre l’ex canile si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all’arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in Val Vedello fino alla Centrale di Vedello (m 1000, 6 km ). Si lascia l’auto 2 curve sopra, dove c’è il bivio Ambria-Agneda.

Itinerario sintetico: Diga di Scais (m 1434) - Passo del Forcellino (m 2245) - Pizzo del Salto per la cresta O (via Messa, m 2665) - Passo dell’Omo - Pizzo dell’Omo per cresta N (m 2773) - Passo del Diavolo - Pizzo del Diavolo di Tenda per cresta N (via Baroni, m 2914) - discesa per cresta O - Bocchetta di Podavit (m 2624) - Val d’Ambria - Ambria – Vedello.

Tempo di percorrenza previsto: 12 ore per l’intero giro.

Attrezzatura richiesta: Scarponi, ramponi, corda, cordini.

Difficoltà / dislivello in salita: 5- su 6, oltre 2200 m di dislivello in salita.

Condizioni trovate il 23 settembre 2009: nebbia e rocce bagnate. Rare aperture lungo la giornata. Rientro in Val d’Ambria dalla Bocch. di Podavit difficoltoso x ritiro ghiacciaio.

Dettagli: PD+: difficoltà su roccia fino al III+.



Escursione 23 settembre 2009


La Val Vedello termina con un gigantesco paretone di gneiss, la N del Pizzo del Salto. Il Pizzo del Salto è una montagna che pare impossibile da salire, ma in realtà la sua cresta E è una via semplice. D’altra fattura è invece la cresta O che parte poco discosta dal Passo del Forcellino ed è caratterizzata da una lunga serie di torrette affilatissime (III+ max). Il primo a salirla fu Giancarlo Messa sul finire degli anni ‘20 e leggendo la sua relazione (e valutandola sul campo) ho concluso che si deve essere inflitto pene esagerate all’inguine per cavalcare le lame di roccia di questo versante.

Dalla vetta del Pizzo del Salto parte poi una cresta verso S che genera, dopo la depressione del Passo dell’Omo, un cupolone di roccia marcia prima e il Pizzo dell’Omo poi, con due vette d’altezza poco diversa, ma con colori opposti: l’elevazione settentrionale è bianca, la meridionale nera. Dopo il Pizzo dell’Omo la cresta prosegue ancora verso S e scende alle due torrette marce ed esposte che racchiudono il Passo del Diavolo. Con un guizzo finale la cresta s’impenna e genera il Pizzo del Diavolo di Tenda, una delle montagne più belle e imponenti dell’intero comprensorio valtellinese.

Queste tre cime per i versanti desueti che vi ho appena descritto sono state gli obbiettivi di questa mia giornata orobica.


Catturato dal caldo abbraccio delle coperte, finisco per partire dal fondo dal tornate su cui si diparte la strada per Ambria alle 9:30. Attrezzatura essenziale: pantaloncini, maglietta, scarpe da ginnastica e un ricambio nello zaino. Raggiunta Agneda, poi la sponda meridionale della Diga di Scais, seguo la rotabile per le ex-miniere d’uranio. Prima del sito estrattivo, prendo il sentiero segnalato della GVO (dx) che prima sale il versante occidentale della Val Vedello poi, passando appena al di sotto dei contrafforti rocciosi del Piz Ceréc, prosegue con poca pendenza verso la pietraia sottostante al Passo del Forcellino (m 2245, ore 2:30).

Il fondo della Val Vedello è coperto da tre grosse chiazze di neve che han ben resistito al caldo torrido dell’agosto appena passato. Sotto la parete N del Salto emerge, riempiendo quasi tutto il suo bacino, il Ghiacciao del Pizzo del Salto, un apparato da record vista la sua altezza mediana di circa m 2100. Anche nelle gole a E e a O del passo c’è ancora parecchia neve. Il laghetto a O del passo è quasi completamente ghiacciato e ricoperto di neve: uno spettacolo d’inizio autunno che mai avevo visto in vita mia.

Mi siedo sul valico e mangio un boccone. Le nebbie si contendono le vette delle Orobie e impediscono alle rocce di sbarazzarsi della rugiada.

Studiato il versante della montagna, mi incammino verso SE alla volta del ripiano detritico che anticipa la parete NO del Salto. Ho notato che pochi minuti sopra di me c’è un camminamento pianeggiante che raggiunge la cresta senza problemi.

Inizio su erba, sassi e sterco di stambecchi, per trovarmi la via sbarrata da un salto roccioso. Sono 10 metri di III+ che salgono nel centro un colatoio umidiccio, poi arrivato al ripiano superiore traverso a dx e vado verso l’intaglio della cresta che stavo puntando. Inizian le danze.

Prendo il filo che sale verso sx e che da subito mi mostra di che pasta è fatto: lame sottili ed esposte, qualche caminetto e licheni fioriti che non sono sinonimo d’aderenza.

Le difficoltà d’arrampicata non sono altissime (III), ma spesso la via è imprevedibile. Superato il primo tratto ripido con qualche appoggio appena a dx del filo, questo s’adagia e inizia una serie di torrette ben marcate. Faccio le prime, poi scorgo una cengia 20 metri sotto cresta a dx. La prendo e evito 50 metri di tribolare, poi salgo un canale e mi porto sul versante settentrionale da cui, per le rocce lubriche di un ripiano isolato, supero la successiva torretta e trovo una breccia che mi riporta sul versante S. Traverso per lame e rocce parallelo alla cresta, poi salgo un camino di roccia buona e, evitando di riprendere la cresta qui eccessivamente sottile, traverso ancora verso E per una trentina di metri. Altre rocce (III+) e riprendo il filo, poi smonto a N dove un camminamento mi porta ad una pioda verticale appoggiata. Tra la lastra e la parete c’è un piccolo pertugio, ma con lo zaino non ci passo, allora, spalle al precipizio, l’abbraccio e la aggiro.

Le difficoltà ora sono finite. Per il facile e intuitivo filo raggiungo il breve salto di rocce che si affronta anche dalla Normale da E (II). Pianeggio, una piccola breccia, e sono all’ometto di vetta (Pizzo del Salto, m 2665, ore 2).

Pranzo, dormo un’oretta e all’alba delle 14 inizio a scendere verso N. Rottami e terriccio fino al Passo dell’Omo, varco di comunicazione alpinistica fra la Val d’Ambria a O e la Val del Salto a E. Oltre il passo c’è una torre di roccia marcia che certo non invita all’arrampicata, specie perché può essere agevolmente aggirata da E. Faccio il mio incontro con un gruppo di stambecchi che, per nulla infastiditi dal mio odore, si lasciano fotografare anche da vicino.

Per un canale di detriti torno in cresta dopo la torre e per roccia inusualmente buona seguito a salire verso il S. La cresta è facile e molto panoramica, l’arrampicata piacevole e raramente esposta (II). Senza troppe sofferenze arrivo alla breccia che precede la cima settentrionale del Pizzo dell’Omo (m 2773) e che rappresenta l’unica difficoltà del versante (III). Scendo in mezzo e salgo tre metri verticali ma ben appigliati, quindi sbuco sui calcari della vetta. Una sella di detriti e rocce mi porta infine alla vetta meridionale, quella che in molti ritengono essere solo un’anticima (m 2758, ore 1:30).

Da quassù sia la cresta N Pizzo del Diavolo e anche la Bocchetta di Podavit paiono inaccessibili, protette da vertiginose pareti di roccia scura, ma l’apparenza inganna.

Scendo facilmente dal Pizzo dell’Omo verso il Passo del Diavolo (depressione fra le due torri di roccia che emergono dalla sella che unisce il Pizzo dell’Omo al Diavolo di Tenda) appoggiandomi al versante Seriano (rocce rotte e ciuffi d’erba).

Giunto alla prima torre la aggiro per una cengia lato valtellinese, quindi, toccato il Passo del Diavolo, aggiro la successiva torre per una cengia che s’abbassa a O, poi traverso su facili rocce e risalgo una rampa di scaglie instabili che mi riporta sul filo (passaggio non ovvio). Chi conosce questi posti si sarà accorto che sto omettendo spesso l’aggettivo “marcio”, ma dal Pizzo dell’Omo in avanti è caratteristica peculiare di tutte le rocce che si incontrano, perciò lo sottointenderò.

Tornato sul filo prendo il solco obliquo che sale verso sx 4 metri, poi attraverso un colatoio (E, II+). Sopra di me un roccione rossastro segna il S. Percorro la successiva, lunga e più marcata incisione obliqua (sx) che prende quota e raggiunge l’ampia cresta N della montagna (II+). Ora le pendenze scemano e con loro pure le difficoltà (I/II). Continuo a prender quota, per poi incontrare la via bollata che mi porterà fino alla vetta del Pizzo del Diavolo di Tenda (m 2914, ore 1:15).

Le nebbie non mi dan tregua neppure quassù e si rincorrono fra le numerose lapidi che addobbano questa cima. Sembra d’essere al cimitero. Sono le 16:30 e devo iniziare a scendere a manetta o prenderò buio.

A saltoni inseguo i bolli fino in fondo alla cresta rocciosa (I), poi li abbandono e costeggio il filo (O) dai prati lato Val Seriana finché, oltre la massima depressione della cresta, vedo la Bocchetta di Podavit (m 2634, ore 0:45) da cui scende il lungo cengione diagonale (da SO a NE) che termina su 4 metri di rocce marce e verticali. Fra le rocce e il ghiacciaio c’è un buco largo oltre un metro e mezzo. Utilizzando anche le nuove catene fisse in loco entro prudentemente nel buco: la roccia è fatta come a lamelle verticali taglienti ed è molto lubrica; benché io sia attaccato alle catene, se scivolassi mi ridurrei come una comparsa in un film splatter. Percorro l’intercapedine fra roccia e neve fino a che trovo un punto in cui poter saltare sul ghiacciaio e iniziare la mia lunga scivolata verso valle. Il terreno è scomodo e molto ripido: gande instabili e nemmeno una traccia. D’inverno è un attimo scender di qui: basta appoggiare il culo a terra e sollevare i piedi, ma ora è richiesta fatica ed attenzione per non farsi male alle caviglie. Ben presto, tenendomi nel centro della valle, mi lascio alle spalle il tetro regno racchiuso fra il Pizzo dell’Omo e quello del Diavolo e mi posso considerare definitivamente fuori pericolo.

Dopo una fascia di massoni, incrocio la GVO, ma la ignoro per puntare alla Val d’Ambria per la via più breve, cioè al dritto verso le Baite Dossello (m 1593, ore 3) per rada vegetazione e pascoli senza compiere - come fa la traccia bollata - un arco verso O in testa alla valle. Alle baite c’è ancora un trattorino e tutti gli infissi aperti, segno che il pastore non ha ancora transumato completamente il bestiame. In lontananza, infatti si sentono dei campanacci.

Un comodo sentiero mi porta sul letto del Lago Zapello, a inizio autunno praticamente sempre completamente asciutto. La cosa strana è che nel fondovalle ci sono ancora accumuli valanghivi del passato inverno e che si sono preservati perché protetti dal sottile strato di terra che li ricopre.

La discesa ad Ambria è piuttosto desolante: in questo tratto le valanghe hanno distrutto tutto, comprese le due baite appena a dx del torrente. Non sono divelti solo i tetto, ma anche spezzati i muri perimetrali. Una forza distruttrice incredibile. E pensare che queste antiche baite saranno state certamente costruite in posti non soggetti a valanghe. È un peccato vedere qui ruderi e presumere con malinconia che non verranno più sistemati.

Correndo Ambria è a 10 minuti dal lago Zapello e si risparmia quasi mezz’ora rispetto alla normale marcia.

Entro nelle viottole del paese. Il sole ha già dato la carezza della buona notte alle vette più alte e il fondersi d’ombre e penombre sigla l’arrivo della notte.

La consueta desolazione autunnale della Val Venina è interrotta dal rintocco dei campanacci delle mucche che brucano i prati all’ingresso di Ambria, quelli sopra il piccolo cimitero.

Una ragazza sta portando un secchio pieno di latte in una stanza da cui fuoriesce un sacco di fumo e odore di formaggio. La cromia è quella di un vecchio dipinto ad olio. Nessuno parla e quando mi volto Ambria è scomparsa alle mie spalle strofinata dai rami dei larici agitati dal vento.

Vedello (m 1034, ore 2).

Enrico Benedetti


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