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Un risarcimento per lo scempio della Darsena!
20 Ottobre 2009
 

Chissà cosa pensano, i turisti, quando passano davanti a quel buco, a quell’immondezzaio che è attualmente la Darsena? Probabilmente quello che pensano i milanesi: è uno schifo.

Uno schi-fo!

E pensare che, di fronte a loro, a noi, un tempo si stagliava il Porto di Milano. «Un nodo di importanza storica» scrive l’autorevole Guida Rossa del Touring «nel sistema canalizio e fluviale milanese. Vi confluiscono l’Olona (oggi sotterraneo), il Naviglio Grande (proveniente dal Ticino), mentre la conca del Naviglio (oggi tombata) immetteva l’acqua dalla cerchia interna dei navigli; ne defluiscono il naviglio di Pavia e il Ticinello».

Questo spazio d’acqua, anticamente chiamato il “Laghetto di Sant’Eustorgio”, secondo Cesare Cantù era stato inizialmente concepito come elemento di difesa per la città. Qui, per secoli arrivarono i blocchi di marmo di Candoglia destinati al Duomo, che poi proseguivano verso il “Laghetto di Santo Stefano”, vicino all’attuale Università. Rimesso a posto nel 1603, in epoca spagnola, venne di nuovo modificato nel 1920 raggiungendo i 750 metri di lunghezza, per una profondità di un metro e mezzo e una larghezza che andava dai 19 ai 25 metri. Una riorganizzazione resasi necessaria dal continuo aumento dei trasporti (soprattutto ghiaia e sabbia), tanto che ancora nel 1953 la Darsena deteneva il tredicesimo posto nella classifica dei porti italiani per il ricevimento delle merci. Ma da essa partiva anche un barchett, erede di quello, famosissimo, di Boffalora, che portava le persone fino a Corsico, Trezzano, Gaggiano, Abbiategrasso.

Poi, con il trasporto su strada e la sua dittatura, iniziò il lento declino che vide arrivare quel 1979 in cui, per l’ultima volta, vi attraccò un carico di sabbia. E da quel giorno tutta la zona ha cominciato quella trasformazione che l’ha portata a perdere la propria identità popolare fino a diventare un luogo di divertimento serale, di happy hour e musica. Ma anche, per alcuni anni, della storica “Fiera di Sinigaglia” (documentata in città fin dal 1600), che proprio sulla Darsena aveva trovato approdo dopo il trasferimento dalla sua sede originaria.

Della Darsena “vecchia” (chiamiamola così, visto che non esiste più…), luogo scenografico per eccellenza, si possono ricordare immagini in tanti film e documentari. Tra i tanti, segnaliamo lo splendido Malamilano (1979) di Tonino Curagi e Anna Gorio che scelsero, per iniziare a parlare della liggera meneghina (la criminalità tradizionale e “alla buona”), proprio la Darsena come palcoscenico delle riflessioni di Primo Moroni, profondo conoscitore del Ticinese e della città. E mentre il grande Primo parlava, dopo essere passato sotto il Ponte del Trofeo (quello da cui prende il via il Naviglio Pavese), si vedeva l’acqua scorrere placida in una Milano avvolta da un’atmosfera invernale.

Bello, bellissimo. Esattamente il contrario dell’enorme fossa piena di rifiuti che si osserva attualmente. Una vergogna dettata da una folle idea che prevedeva di costruire piani sotterranei di parcheggi, decisione fortemente osteggiata dal solito e meritorio Comitato (rendiamo grazie ai Comitati Cittadini!) che ora pare aver raggiunto il suo scopo: la sospensione definitiva dei lavori. Già, la Moratti, nei giorni scorsi, ha annunciato che il Comune intende rigettare il progetto e restituire la zona ai cittadini. Una buona notizia (mitigata dal fatto che a fianco di Sant’Ambrogio si continuerà a scavare: forse aspettano che cada la Basilica in modo da poterci costruire un grattacielo…), anche se una persona del Comitato mi ha riferito che non vi è assolutamente nulla di scritto, e quindi di certo. Quindi, dovremo sperare che non via sia l’ennesimo cambio di rotta. E poi aspettare che un nuovo progetto di idee risistemi l’area…

Sperare e aspettare. Quanti anni? Oramai è dal nuovo millennio, più o meno, che il laghetto è stato distrutto, e chissà quanti altri ce ne vorranno. Praticamente, almeno una generazione di nuovi milanesi crescerà senza sapere cosa sia la Darsena. E allora, signori miei, io voglio un risarcimento. Certo, voglio che il colpevole di questo scempio, colui che mi ha impedito di fermarmi un attimo a guardare quello spazio d’acqua così eccezionale in una città di cemento, mi dia indietro quello che esteticamente, affettivamente, mi ha tolto. Lo pretendo. Dovremmo pretenderlo tutti! Anche perché chi ha approvato questa vergogna lo si può trovare, onorato e incensato, su molte televisioni. Richiesto come esperto di pubblica amministrazione (di condominio, forse…), talvolta persino definito da sudditi giornalisti senza memoria storica come uno dei migliori sindaci del dopoguerra.

E oltre a lui voglio che paghino l’assessore che ha sostenuto questa follia, i tecnici, i geometri, tutti quelli che l’hanno controfirmata: costoro ci hanno tolto quei “tramonti rosso oro” cantati dal poeta Erba (questo è uno dei rarissimi punti da cui, a Milano, si può ancora vagamente osservare l’orizzonte), ci hanno privato istanti di curiosità, di pace, forse anche di gioia.

Noi milanesi dobbiamo dire basta all’impunità di chi ci governa, denunciare a voce alta, ovunque e comunque, le falsità che quotidianamente ci vengono propinate dai mezzi d’informazione. E scrollarci di dosso quell’apatia che ci sta immobilizzando. Solo così Milano rinascerà. Solo ed esclusivamente grazie alla tenacia di noi che la viviamo (e la soffriamo) tutti i giorni, che ci siamo “calati” dentro. Di noi che, in fondo, l’amiamo, questa disperante città. Salùdi.


Mauro Raimondi


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