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Doriana Goracci: L’archivio di Dario Bellezza all’asta e dire poesia gay offende e basta…
20 Ottobre 2009
 

Martedì 27 ottobre il martelletto dalla casa Bloomsbury a Roma, in Palazzo Colonna, batterà all’asta l’archivio privato e per buona parte inedito dello scrittore e poeta Dario Bellezza, morto a 52 anni, nel 1996, stimato complessivamente tra 10.000 e 12.000 euro.

«Si tratta di un’impressionante mole di documenti che testimoniano la febbrile attività letteraria di Dario Bellezza», ha dichiarato Fabio Bertolo, specialista del dipartimento manoscritti di Bloomsbury. Amico di Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini e Sandra Penna, Bellezza esordì nel 1970 con il romanzo breve L’innocenza, per poi dedicarsi prevalentemente alla poesia. Di lui Pasolini disse nel 1971, nel risguardo del libro Invettive e licenze: «Ecco il miglior poeta della nuova generazione!». All’asta andrà anche una serie di 45 fogli dattiloscritti con poesie, senza numerazione e senza titoli, in alcuni casi recanti correzioni autografe. Un’altra cartella custodisce 105 pagine fotocopia con un unico testo dattiloscritto, con numerose correzioni e interventi autografi, il cui incipit recita: «La luce appena accesa mi colpì in tutta la sua crudeltà, allucinandomi. Ero lì, davanti alla mascherina, come imbambolata; e sapevo che quella donna ossuta e ossigenata, ormai vecchia..

 

Morì in solitudine il 31 marzo del 1996 a Roma dopo una lunga malattia, così la biografia: morì di Aids il poeta Dario Bellezza. L’omosessualità, stando sempre alla biografia, venne vissuta «con un sofferto atteggiamento maledettista, nella ricerca ossessiva di un 'bellissimo assassino' fra drogati e prostituti, risentendo inizialmente dell’influenza dei poeti simbolisti e dell’opera di Sandro Penna».

 

Uscì nel 2006 Il Male di Dario Bellezza, scritto da Maurizio Gregorini, di cui allego una intervista, che tenne un diario «trasformato in un libro-ricordo, che non ha nulla di agiografico e neppure di sciacallesco, come avrebbe potuto essere in mani meno equilibrate delle sue»: così scriveva Giovanni Dall’Orto in CulturaGay.it.

 

Lo stesso Giovanni dall’Orto nel Libro di Poesia (1990) di Dario Bellezza, spiegherà che «un grande e sicuro “mestiere”, acquisito negli anni, aiuta Bellezza a superare la perdita dell’ispirazione dei primi libri, ma non certo a ridarci l’intensità di canto perduta. Qui in particolare il lettore fa fatica a sopravvivere al filosofare piuttosto scontato e banale che appesantisce il libro. Ancora una volta le poesie più sincere, immediate e riuscite sono quelle per i ragazzi (tranne laddove l’autore pasolineggia con quindici anni di ritardo!)»:

 

Non te ne fregava niente di essere uomo o donna o cerbiatto inseguito da mille lupi che hanno ferito la tua vita folle e cara ai miei pensieri. Perdonami di averti ucciso dentro di me. Perdonami di ancora vivere una vita non più rischiarata dal tuo sorriso mendico di corrotto affamato.

 

Che devo dirvi, questo confinamento nella cultura gay, mi agghiaccia: non è cultura per tutte e tutti?

Vorrei qui spiegare che eravamo nei primi anni ‘70 quando ascoltai alla radio una poesia di Sandro Penna, e ne rimasi folgorata. Quando chiesi la tesi su di lui, alla Sapienza di Roma, sarebbe stata la prima… mi pregarono di non fare una ricerca sociologica su questa “diversità”: non l’avrei fatto mai. L’amore emergeva da quei versi, senza storia e tempo: non certo la “diversità” mi aveva catturata. Era la musica delle parole che rotolavano da fuori a dentro. Ma anche Dario Bellezza è diventato “noto” per questo amare diverso, fu per così anche per Pasolini, e stanno lì, tutti in un ghetto perverso, di amici strani.

 

Dario Bellezza era uno che scriveva sotto febbre perenne così simile a Sandro Penna in Un po’ di febbre: «Si fa tutto con quella lenta angoscia che sta in fondo, ma la cosa più triste è appunto quel sapere che non c’è altro da fare che le solite cose».

 

E in solitudine, o meglio in compagnia di poche amiche e amici come quelli che lo ricordano nel 2008, hanno vissuto Bellezza e Penna, fino ai limiti dell’indigenza.

La poesia mi ha sempre sostenuta con la sua sintesi di parole e vita, breve e folle dipinto di emozioni e musica, a volte rabbiosa e stanca, più raramente felice e leggera. Mi viene in mente una poesia di Gesualdo Bufalino, morto anche lui nel 1996 ma a 76 anni, “La vita non sempre fa male”:

 

La vita non sempre fa male.
Può stracciarti le vele rubarti il timone,
ammazzarti i compagni ad uno ad uno,
giocare ai quattro venti con la tua zattera,
salarti, seccarti il cuore
come la magra galletta che ti rimane,
per regalarti nell’ora dell’ultimo naufragio
sulle tue vergogna di vecchio
i grandi occhi, il radioso
innamorato stupore di Nausicaa.”

 

E in questo gioco di giorno e notte, ecco Sandro Penna nella sua modestissima e confusa casa, spiegare ad una telecamera, senza acrimonia e intolleranza ma con tanta ironica rassegnazione, iniziando con un “Ti ricordi?” per poi dire «la gente compra… speriamo meglio per il futuro… mi nasconda la notte».

Mi viene rabbia e malinconia, il futuro oggi presente, cosa ha reso a questa poesia? L’asta che quantifica una vita?

 

«Goditi il presente e fai secco il futuro», tradusse Orazio Dario Bellezza e poi cominciò a recitare certe sue poesie inedite… “La poesia è merce o merda?” E lui, a chi lo ascoltava, disse concludendo che la poesia è scappata via…

Se mai Dario mi legge (io gli ho creduto…) se Sandro c’è nell’aria di questo autunno freddo come fosse già inverno, dedico quanto scrisse Nazim Hikmet, Alla Vita, perché ci sono certi gattini che stanno appollottolati in tre, fuori dalla mia porta in una cassetta, aspettando il sole di domani, proprio come quelli in casa, quelli che loro amavano tanto. Il capo non è stanco di guardare anche se è notte. Buongiorno Vita.

 

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non é uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla é più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.”
Nazim Hikmet

  

Doriana Goracci

 


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