26.
appello di cortecce stare al mondo,
per l’ilarità del picchio che si fa casa
ben dentro ed oltre di noi.
per ben morire di distacco accomodo
la faccia e la ciliegia del sedurre
è senza caccia. il remare è un apologo
di rondine in cialda di speranza.
non fa per me la lenza di abboccare
dove le cicale avventano l’estate.
in mano al coraggio della letizia
c’è il presagio di buttare la noia
dove si attacca il calvario dell’arcistato.
27.
stenti del pane rivedere Ottobre
sulle lacrime del basto.
28.
dunque io sono in un rosario di stenti
dove le stigmate approdano alle rondini
nel cordone del sale si fa dannoso il vento.
29.
metamorfosi del sale stare al mondo
allibiti presagi giacche inutili
dentro le giostre degli abiti vanesi
nell’alibi del sogno farsi allegri
coriandoli di stoppie fuoco buono.
il cuoco delle nuvole ha l’eco debole
pianto di fiaccole a venire
nel leggio del gioco i bimbi lesi.
allarme di coriandoli capire
quale dolore voglia la scommessa
della resistenza. la stanza è scomoda
come un’arringa contro. dove il dominio
strega il gran chissà quasi a vincita
sul lutto del muro di cinta.
30.
aspettami dove inciampano le lumache
queste graziose tarde, e se il despota
che suona le campane imporrà dazio
alla lentezza di morire… aspettami dove
il panico è retroguardia e la regina è
integra tovaglia per la più affettuosa
delle cerimonie. non guardarmi il petto
che non si salva né mi vale un essere
di meno. convogliami sul greto d’ultimo
schedario, sconvolgi l’ordine alfabetico
bisbetico verso il caos, chiama a casaccio
la sberla del sogno in fiamme. le reti
del talismano fioriscano ebetudini,
una discesa in bicicletta senza botto
con la farfalla dietro e davanti.
31.
il soffio sull’inguine come preghiera
maretta anonima di sfinge.
così un amoretto in fasto con se stesso
come a dire vieni con me presso
le rondini cicale più che indefesse
per ridere la gioia e la chimera avere
verso la rendita del tocco del felice.
imbastito un sodalizio vermiglio
voglio restarti tifo di gran baci
e singole vogliette per non piangere.
32.
marette di coriandoli vederti
senza tiro di ruggine. in collo
alla stoppia voglio morire
senza indice di fuoco. attore
di voragine la notte
svuota l’esempio di resistere
così con le cibarie senza zucchero.
in mano alla gioia della serra
i fiori seducenti sacerdoti
carezzano la terra le doti
accese delle canzoni ai piedi
dell’altare tale e quale al tuo viso
sognante ascesa verso il sapiente.
in te avvinghierò la via
per una linfa di faro.
33.
torna al cielo in un vagito d’antro
cerca chi trovi in prossimità del buio
lucertola spiegazzata vano del male.
in un ritrovo di torti il tuo cocciuto spalto
capriccio del petto sole d’altri.
invece di gettare le padronanze in briciole
vuoi il trono di una voce collera
sapienza di una nomea più forte.
intruglio e cacciavite spingono il tuo talamo
verso la rena che innamora calda
e resta svestita per l’incontro all’amo.
in palio alla mestizia del sillabario
ti crederò morente, milizia dello spigolo
che uccide. coi rimorsi delle giacche appese
resta la scuola che non seppe niente
neppure raccontare quale tara
uccise la ginnasta ben che brava
sulla trave della statica vendetta.
34.
la penuria del delta non scapperà
la mia prigione. mille rivoli una sola
mattanza. quale distanza spezzò la nostra
sfera? non vedo più nulla che foglie
sfarinate sul selciato di ogni via.
il bambinello del ritmo smuore
lontana eco cattiva. dove sei
madre del lentamente quando si cresceva
per grandi abbracci liberi.
ora la gerla è scalcinata foggia
di una regìa balorda. baraccopoli
d’innesto stare a guardare quale
libertà aspettare. hanno malie del silenzio
i boccoli del sabato mattina quando si attende
che vada via il despota con la sporta di segatura.
ora è la sabbia che ci sbilancia i piedi
per l’eresia della corsa di non più tornare
né arrivare.
35.
sillabario in spada il mio concerto
badato dalle rendite del fuoco
per il datario che non sa attendere
le cresime del giunto. in meno di un
salario le ginocchia frangono lo specchio
per uno spicchio buono di lenzuolo
dove poter risolvere il sudario
in un diario di gioia. qui la fanga
sgomitola dagli angoli e le goliardie
dei passeri non bastano né le rondini
soccorrono. dammi un passo invernale
una conversazione rotta dallo spavento
di esistere. ogni tegola si muove in un ballo
bacato dal coma della vela. la sella bara
su come sorreggere la nuca gravemente
bassa per lo sguardo basso. in tema di
veliero il sesto senso torna naufrago.
36.
fu felice il mio tiro con l’arco
mannaia asciutta senza vita
e ben contenta la nazione d’asma
che cerca nel respiro il continente
il globo della rendita di ossigeno.
ingenuo il fatturato del ladro
che esporta le radici verso dove
la petulanza del mare turba la stanza.
il fatuo ordigno del nostro amore
ha le membra dilaniate dallo sfarzo
della gioia. a ciuffi a ciuffi l’erba
si scatena ordinanza di nascita.
37.
ero un giovane apolide chiuso nel sacco
della lira con poca musica. mi accompagnavano
il livido e l’eclisse in una mattanza di lune
quasi ad essere felice nel nulla.
un nodo scorsoio annullò la frottola
del sonno. da solo come un orfano
fantasticavo la venia del burrone
la faccenda in stinco d’inciampo.
volli l’elemosina di tutti
in una stoviglia di premio
in un apologo di gola.
dammi un bacio ultimo verdetto
contro questo destino di stile
nerissimo subbuglio d’anima.
38.
la notte della voce
tra stratagemmi e esequie
così un cataclisma è uguale a un neo
nella vicina eclissi nella cialda del fato.
nel quadro del soqquadro chiedo venia
di una domanda frequente quale perché
il buio faccia rendita di resina del tutto.
in veste di premessa non so dirti
quale persiana erutti fiele
e non sappia del volo il modo.
in vista di una gioia senza messa
vado a cavalcioni di una spada
con l’abaco che incontro a far cortese
il conto. tu amerai il diletto della freccia
che sotto vanti di respiri incede
verso la rotta che si spunta su chiunque.
esequie blande come a non dire
omelia del tragico.
39.
un’ombra di storiella ha preso mano
nello spogliatoio. sono io che invento
una mangiatoia d’eclisse. una pace nuda
lontana dai dadi del probabile. il ballatoio
degli uomini è bile che infiamma le rotte.
le unghie che graffiano gli angoli
per figurarsi vivi. ma è ben terribile
la fiaccola del trono. il pianto ripido
del sale temporale alle ferite.
dove s’insinua l’abaco
nulla ritorna vivo. le staffette
del concavo divieto sono perfette
doglie del perdente. tu che credi
alunno il mistero non impari la lingua
né il traguardo. a termine le giostre
il giro sfanno, rompono i cardini
e le fosse non bastano.
40.
qui si consuma il rito del bivio
questo paese in epoca di fango
tra la via genesi e il baccano.
purtroppo sta qui la paura d’ascia
la pomice d’inciampo in piena eclissi
la sicumera giovane della bellezza.
la mèta senza scampo della cintura
accentua le rotte del vanesio
come una scuola rotta. lo scatto
del diluvio attenta le cimase
per il lutto di nidi appena intenti
a reggere la vita. qua la persiana
arresa qua rimane aperta per la cesta
delle uova inguaribili ragioni
di sospetto.
41.
in mente ho un focolaio di lamiere
una stanchezza d’abaco sul numero.
un torto immacolato mi perseguita
verso un muretto adorno di camelie
e le cicale libertarie impazzano.
intorno un verdetto senza indice
una parola sola: morte sùbito
dentro l’incastro in colla di meandro.
così quando credevo alla pagella
nel gesto del vedovo maniaco
intorno al collo della mia vicenda.
l’amara rotta di cadere in pasto
all’avvoltoio in giacca da cerimonia.
morì la logica di spartirsi il mito
quando da qui non vedi più nessuno
né il brevetto avvera avvenimento.
qui sotto pressa di credere la cerchia
gioca alle sberle il minimo sedotto
da sotto il tiro di vergare il bilico.
42.
va via la vita che comunque è tutto
da sotto il gelo del martirio muto
che comunque rattoppa le gimcane
per fare la vita da rifare.
parecchio indietro il gioco delle fonti
quando zampillio di vivere era il trofeo
la festa senza stadio di condotta.
in mano la repubblica del sacro
la gioia tutta di guardare intorno
le lumache e le cicale di baldoria.
va sotto l’abaco di scontare inferno
questa nomea tragica
maschera mortuaria e posi il vento
chi non cerca appoggi. le male storie
del fracasso d’assi non amano le vedovanze
né gl’incassi superbi delle rendite.
43.
tra le ruberie una mansuetudine di acrobata
imparai senza rubare. così la scala mi fece
festa quando le toccai l’ultimo gradino.
il discolo ecumenico del fato
non ebbe pietà per rantoli fiabeschi
né per le gare dove tutti perdono.
in mano al festino della regola
ridono i piccoli che non sanno niente
né i chicchi dentro i doni delle gioie.
invano il precipizio mormora la rettitudine
del chiodo. qui è ormai sabato sconnesso
senza domenica. apprezzo il botto del cristallo
credulo sotto i fantasmi delle nuvole.
44.
utilità del fango stare all’erta
con il viso camuffato da rondine
per disubbidire al caos della cella.
imbrunire la spocchia del sole
per la retata delle ceneri
e l’allegria del pane, finalmente.
smisurato comignolo la notte
dove è costretto il mare nella siepe
e la ferita del pettirosso è la catastrofe.
tu se senti un idolo venire
corri lontano dove si desertifica
la soglia della logica. l’illogico
le è gemello con un gerundio addosso
per entrambi. la rovina si strazia
alla cimasa. l’ordine d’ufficio un sale
sparato dalla gronda della ruggine.
fai di me un sacco senza fondo
così per aggirare la scommessa
dell’intingolo velenoso. so da adesso
somigliare al faro senza ascolto.
45.
incontro un posto
stonato netturbino
bambino sotto il buio
io in un tronco di coma.
baciami in fretta
con il dolore della cialda
senza festa.
46.
in più se posso darti un abito da sposa
sarà felice il passo della rendita
arcobaleno senza temporale
suolo senza tonfo.
amarezza della tombola quando
si affossa il mare: era così che piangevo
da bambina in uno sgabuzzino di
binario stortignaccolo. vieni con me
a ridere la nebbia con la gitana bella!
annullami il calvario della tana
e quello strofinaccio senza fine
né polo con la luce. qui le carte
del varo del poeta conoscono
il calvario del longevo. in meno
di una resina boschiva vorrò
il sudario il nome del brio di chi
comanda sulle darsene a divieto.
dimmi di te e portami sul pianto
delle badate regole a morire.
47.
mitologia del cencio sonno della ruggine
stare a casa con le mani in mano
dove alla noia si affretta l’esule.
in mano alla baracca della lupa
questa carcassa d’ascia per strattoni
di pietra. l’elegia del sangue
fa sempre le scale a piedi
per giostrare l’encomio con la rondine
discola e spartana. con il disordine
del lutto l’amore si fa pezzente
ormeggio dentro darsena e silenzio.
da zero in zero la foggia della gerla
bivacca d’altitudine e perturbamento.
48.
rovina e guasto stare imputati
dentro la bolgia della girandola
sorella del vento tata di ventura
con la bambina in argine di cielo.
imparato a memoria il breviario
sotto le unghie per sopravvivenza.
verrà nel lutto il traffico cannibale
la bara fatta di ciliegio in fiore.
incudine e martello la bramosia del sia
quando il sosia della sosta accanto
studia le rovine della rotta.
così l’impegno del salario stanco
avvera le proteste del gabbiano
rimasto senza pesce. scende la giostra
un’ira al protocollo. qui non si fa
più lezione di meraviglie.
49.
in un buco di elemosina ho visto il sole
partecipe del lusso di una perla
a ruzzoloni tragica. attorno alla ventura
del crisantemo temo chi sono
e lo spreco d’anima. paese di soqquadro
starti a guardare ragazzo della mia
solitudine. un imbarazzo di rotta
apprese quale calvario disimparare.
anni del panico il sogno disumano
quando rappreso il gomito salino
attorcigliò la gola rese testamento.
la storia vuota senza cipresseta
inquina questo orizzonte. da domani
la fiaccola del sale lascia lo zaino
dorme nuda il faro ben lontano, cieco.
50.
accorri con me a monte
chiamami con la mente del riscatto
sì che possa capire le lunatiche
frodi. indaga con me quale
occorrenza possa stordire
l’assassino per scappare in piena
uccisione scampare. ho paura
di non farcela su niente e le campane
suonano a morto. il torto della luce
è la baldoria del caos di macete.
la mela del dolore non si può mordere
né sotto il cielo logorare stelle
per la saccoccia bella delle sorprese.
in coda al giramondo non sentire
la voglia di fuggire, è un cortile il giro
e la giacca sulla madonna non dà guarigione.
Marina Pizzi
....Continua