Secondo L'Osservatore Romano, il Nobel per la pace assegnato al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, «ha colto tutti un po' di sorpresa» perché «sarebbe difficile definire il presidente un pacifista a tutto tondo». Le perplessità sarebbero anche da attribuire alla politica di Obama «oscillante nei confronti dei grandi temi bioetici», a partire dall'aborto.
Ora, si può essere d'accordo sul fatto che assegnare il Nobel per la pace al presidente di un Paese che spende in armamenti quasi quanto spendono tutti i Paesi del mondo messi insieme, possa suscitare perplessità, ma che cosa c'entra mai con la pace la posizione di Obana nei riguardi dell'aborto? Gli aborti clandestini, la morte di tante donne costrette a ricorrere a paramedici e a “mammane” sono la pace? Il carcere per chi fa abortire e per chi abortisce è la pace?
L'autore dell'articolo ricorda poi le ripetute vane candidature al premio di Giovanni Paolo II. Ma non sarà che il premio a Karol Wojtyla non fu assegnato proprio per le sue posizioni nei riguardi dei temi bioetici e segnatamente dell'aborto? Giovanni Paolo II aveva sostenuto la sua brava “guerra” contro la legalizzazione dell'aborto. Così scriveva nell'Enciclica Evangelium vitae: «Il fatto che le legislazioni di molti Paesi... abbiano acconsentito a non punire o addirittura a riconoscere la piena legittimità di tali pratiche contro la vita è insieme sintomo preoccupante e causa non marginale di un grave crollo morale». Il Papa si lamentava per il fatto che lo Stato non «punisse», e che addirittura fornisse gratuitamente strutture sanitarie. Ma non basta. Nella stessa Enciclica metteva sullo stesso piano l'omicidio, il genocidio, l'aborto e l'eutanasia. Dimenticava che ricorrere all'aborto o all'eutanasia per necessità o per disperazione non significa odiare la vita né il prossimo, perpetrare omicidi e genocidi, significa odiare la vita e odiare il prossimo.
Forse la differenza sfugge anche all'autore dell'articolo sull'Osservatore.
Renato Pierri