La natura sembra aver giurato di dare scacco matto all’umanità.
1° Ottobre 2009 – Samoa. Una catastrofe si è abbattuta sulle isole Samoa, un terribile tsunami ha mietuto tante vite. E… pensare che la parola tsunami ha un significato innocuo e innocente, in lingua giapponese (“onda del porto”)/ che la parola che deve far paura è, in realtà, maremoto (e, cioè, terremoto)/ che occorrono varie concomitanze perché ciò che viene definito tsunami si verifichi. La tragedia immane delle Samoa è dovuta ‘solo’ (si fa per dire) al concorrere di varie sfortunate coincidenze ‘difficili’ da riscontrare tutte insieme: l’origine del movimento tellurico 1)in fondo all’oceano, 2)sulla crosta terrestre (e non in profondità) del fondo dell’oceano (perché è solo quando la frattura si crea in superficie che il movimento si propaga all’acqua, mentre il sisma di profondità non diviene mai maremoto e rimane terremoto), 3)in corrispondenza di una grandissima massa d’acqua soprastante (perché è solo quando l’acqua ha un volume ponderoso che si lascia imprimere dal sisma il ‘potenziale’ immane da tsunami). È accaduto, però: tutte le sfortunate ‘coincidenze si sono verificate ancora una volta nel mondo e hanno colpito, con un terribile maremoto, le isole Samoa.
Il primo tam tam della stampa ha parlato di quattordici vittime (di uno tsunami dovuto a un terremoto nel Pacifico). Il tam tam ha poi continuato ad aggiornare le notizie, portando il numero delle vittime a trentasei, a centoquaranta e a centoquarantotto. Erano tante le quattordici vite perdute, molte le trentasei, moltissime le centoquaranta… e sono troppe le centoquarantotto. Qualunque numero, da una vita in su, è un prezzo troppo alto, comunque e sempre; quando la furia degli elementi si fa falce indiscriminata e inarginabile e spazza via le vestigia umane, come foglie secche, non ci sono parole, per dare un nome allo sgomento. I numeri, però, non servono a definire la gravità dei fatti, in questi casi; sono sempre inadeguati e azzardati e lo sono anche in questo caso specifico. Le persone sfollate e, perciò, senza casa sarebbero 32.000, secondo la Croce Rossa. Tonga, nell'isola di Toputapu, ha perduto il 90% delle dimore della sua gente. La seconda isola dell'arcipelago delle Samoa, Upolu, ha perso completamente 70 villaggi (il che vuol dire che, solo lì, tra le duemila e le quattromila persone -a occhio e croce- stanno cercando di farsi entrare in testa che i loro focolari sono stati rasi al suolo e, sentendosi come inebetite, si stanno domandando se per caso non stiano sognando e non possano sperare di svegliarsi da un tale abnorme incubo).
Impossibile è, perciò, fare un ‘calcolo’ (che parola terribile!) attendibile del numero delle vite perite, in questo ennesimo disastro ambientale, anche perché il numero dei dispersi è ignoto (e ciò la dice lunga sulla disperante ‘elasticità’ dell’opzione-morte). Le sole cose certe sono che molte migliaia di persone (che siano 32mila, come dice la Croce Rossa o che siano di più o leggermente di meno non fa differenza…) hanno perduto (da un istante all’altro) le pareti-il tetto-i mobili-gl’indumenti-gli oggetti-il rifugio-il cibo-l’acqua-il riposo-la sicurezza-il futuro… di cui “la casa” era cassaforte-promessa; che non hanno più nulla; che si sentono sperduti-nudi-insicuri-disorientati-disperati (e che solo la solidarietà tempestiva e sincera può evitare che si sentano ‘abbandonate’). Errata corrige: non sono quelle le sole cose certe, ahimè: un’altra certezza è, come comunica l’ANSA, che i saccheggiatori sono usciti ancora una volta dalle loro tane infette, per aggirarsi tra i dolorosi ricordi dei morti e dei vivi, rubando quanto possibile alle macerie che erano la casa di qualcuno: Il capoluogo delle Samoa americane, Pago Pago, pullula di questi sciacalli (i peggiori esistenti sulla faccia della terra). Si trova sempre una giustificazione per gli errori dei propri simili, ma non credo possa esistere chi trovi giustificazione all’operato di tali saccheggiatori: come comprendere e, peggio, giustificare chi, invece di unirsi alla schiera dei soccorritori, si trasforma in minaccia da combattere per la forza pubblica (il cui tempo è prezioso per salvare le vite ancora salvabili)?
2 Ottobre – Samoa. La furia dell’oceano si è placata. Le acque (come quelle del diluvio universale) si sono ritirate. Il numero dei morti pare essere 150. I segni dell’evento mostruoso, che è passato sulla terra, agghiacciano chi si aggira nella desolazione. (ed è il tempo di ‘raccogliere’, come frutti ammaccati, escoriati e privi di vita, i cadaveri restituiti dalle onde omicide/ è il tempo del riconoscimento-del pianto squassante-della disperazione e delle sepolture -hic et nunc e senza cerimonie- nella terra scura). I riflettori del mondo si spegneranno. Lo stupore delle menti disturbate resterà e viaggerà nell’etere, domandando all’imponderabile: “Tornare e ricostruire l’eden degli affetti e delle spiagge fascinose (sul ricordo del terrore giunto dal mare) o fuggire su alture (arroccate nel rifiuto dell’orrore patito)?
1° Ottobre – Indonesia. Il terremoto tragico si è trasformato in terribile ecatombe, a Sumatra. La stampa ha attivato i suoi canali e i ponti d’informazione a distanza. Notizie e interviste si sono ‘snodate’ e sovrapposte, come accade sempre, in occasione di tali eventi. Qualcuno ha domandato a un esperto se ci fosse un collegamento tra il terremoto indonesiano e lo tsunami alle Samoa. L’esperto ha risposto di no, “perché il sisma è avvenuto talmente in profondità” da non avere ripercussioni-maremoto. Devo dire che la domanda mi ha sorpreso (perché Sumatra è l’isola indonesiana più lontana/ perché, prima di arrivare così lontano, la forza del sisma avrebbe dovuto, in qualche modo, ‘disturbare’ Borneo-Celebes-Molucche-Nuova Guinea-altra infinità di arcipelaghi/ Perché Salomone-Guadalcanal- Ebridi- Caledonia-Figi-ecc. sarebbero state ‘bypassate’ e proprio le Samoa avrebbero fatto da bersaglio) e la risposta pure (perché mi sarei aspettata che scartasse la cosa come impossibile). Lasciamo stare i misteri delle interviste (a ognuno il suo, in ogni caso, e a noi poveri mortali il diritto ai quesiti e ai dubbi).
Il Sud Est asiatico pare essere la zona del pianeta più soggetta ai movimenti tellurici. È lì che avvengono i terremoti più forti della Terra.
La gente scava, in Sumatra, a mani nude, perché gli aiuti non riescono neppure a raggiungere le zone colpite. Le dimensioni del disastro sono gigantesche. Intere famiglie sono sotto le macerie e scolaesche al completo sono rimaste sepolte. Le vite salvate sono un conforto, ma quelle che ancora respirano tra calcinacci e detriti (e che non potranno essere raggiunte ed estratte vive) sono disperanti. Che morte orribile è quella che sopravviene lentamente, mentre i pensieri lucidi passano da un barlume di speranza e di disperazione all’altro e la spossatezza s’impossessa inesorabilmente del corpo e… del cuore. La gente ‘normale’ che scava tra le macerie proprie e altrui, tendendo l’orecchio ai rumori anche flebili, nella speranza di trovare ancora gente viva, di accorciare l’elenco dei dispersi e allungare quello dei vivi, è commovente; i mezzi di cui dispone (qualche zappa, al massimo) sono sconfortanti…
Non resta altro che pregare (a chi è lontano fisicamente dai luoghi colpiti) e lasciarsi avviluppare da un insopportabile senso di impotenza, mentre la vicinanza della mente e quella del cuore si stringono alla gente colpita dal maremoto e a quella martoriata dal terremoto (ai soccorritori armati soltanto di coraggio e di braccia volenterose/ a chi ha perso le persone care/ a chi cerca i suoi affetti e non sa ancora se annoverarli tra i vivi o tra i morti/ a chi è ancora vivo e ancora spera di essere trovato/ a chi ancora respira e presto smetterà di farlo/ a chi ha perso tutto e non sa come puntellare il suo cuore/ a chi oltre ogni devastazione vuole ancora sperare). Vorrei mandare un abbraccio di conforto (mio-di Tellusfolio-dell’Italia e del mondo) ai fratelli sfortunati (delle Filippine, delle Samoa e di Sumatra) che si sono trovati faccia a faccia con le forze assassine della natura e che non potranno mai dimenticare le sensazioni provate un attimo prima-durante-dopo che la devastazione imprevedibile spazzasse via il loro mondo, le loro certezze, i loro averi, i loro ricordi, i loro affetti e buona parte del loro futuro…
2 Ottobre- Indonesia- Padang è uno spettacolo desolante. Sumatra pare essere reduce da una guerra persa. Gli effetti del terremoto sono stati avvertiti almeno fino a 200 chilomatri da Giacarta. Il numero dei morti, al momento accertati, pare essere 1100. Il terrore continua. C’è stata una nuova scossa! Alcuni intrepidi si arrischiano tra le proprie macerie e cercano di strappare pezzi delle loro identità, oggetti importanti, qualunque cosa alla distruzione e poi si allontanano, in fretta (e in catalessi ancora incredula). I più deboli e vulnerabili si stringono attorno alle lattine di acqua potabile (in qualche modo ‘arrangiate’), cercando appigli contro il ‘crollo’ (materiale e spirituale) disperato che minaccia la parte più dolente dei loro affetti e delle loro certezze sbaragliate. I primi aiuti sono riusciti a farsi strada, infine (e finalmente). L’aereo degli aiuti italiani partirà a giorni (perché non ‘ieri’? Quella gente è allo stremo e lo è adesso). C’è ancora vita sotto le macerie… (!!!). La speranza è davvero dura a morire, per fortuna… /la vita è più forte della morte(?).
28 Settembre – Filippine. Una tempesta tropicale ha sconvolto le Filippine. La capitale è in uno stato di caos. Si parla di 100 morti e di 30 dispersi. 450.000 persone hanno abbandonato le loro case (prelevate dai tetti, ove si erano rifugiate). Il passaggio del tifone Ketsana (è disturbante pensare a una forza così immane come a un’entità con un nome) ha portato con sé decine e decine di ore ininterrotte di piogge torrenziali (come se non bastasse la sua furia devastatrice). Si tratta, per questo arcipelago, della peggiore sciagura degli ultimi 40 anni.
29 Settembre – Filippine. Le vittime del tifone e dell’alluvione sono 500.
2 Ottobre – Filippine. Il dramma delle Filippine continua. Le autorità sono in grosse difficoltà. L’emergenza ha assunto dimensioni preoccupanti. Gli ultimi della catena, i più umili e diseredati, sono le vittime eccellenti (come sempre e come ovunque) e mancano di tutto (e sicuramente non hanno ancora risposto ‘tutti’ all’appello-censimento dell’individuazione dei ‘caduti’).
2 Ottobre – Italia. Messina piange i suoi morti (prima si è parlato di sei, poi di quattordici e ancora non si sa effettivamente il tragico ammontare dei morti); anche la nostra italiana Sicilia, purtroppo, è in stato di chock. La violenza imprevedibile di un incredibile nubifragio ha scatenanto un allarme senza precedenti. Le frane hanno isolato Messina. Le autorità sono sconcertate e in stato di allerta. Sei famiglie italiane sono piombate nel dolore (e nello sbalordimento tipico di chi venga colpito a tradimento e abbia bisogno di tempo per rendersi conto della direzione del colpo, del perché e del come). Invio loro la partecipazione commossa del mio cuore (e la solidarietà spirituale-la vicinanza affettuosa e il conforto dell’Italia tutta, insieme alla speranza dell’aiuto solerte e materiale dell’autorità costituita).
Dicono che i mostruosi eventi geofisici modifichino l’assetto dell’asse terrestre (e che l’indimenticabile-mai dimenticato-terrificante maremoto indonesiano del 2004 lo abbia spostato di 6 centimetri). Gli eventi (sia pure piccoli e appena rilevabili) che si verificano sul pianeta sicuramente modificano l’equilibrio della Terra e altrettanto sicuramente ciò fa parte dell’evolversi del mondo. L’uomo (che fa le guerre e le stragi/ ordisce congiure contro il suo stesso habitat e la vita/ lucra sulla pelle dei fratelli non ancora nati-appena partoriti e di ogni sesso o età), se ricordasse (ogni tanto) che non è altro che inerme e indifeso (ancora e sempre) contro le forze della natura, forse sarebbe una creatura migliore…
Terra, mare e cielo, in ogni caso, si rivoltano contro l’uomo (o proseguono lungo l’invariato disegno millenario dell’arcano che l’uomo dimentica di ‘consultare’ ed, eventualmente, ‘decifrare’)…?
Bruna Spagnuolo