Un fugace incontro in aeroporto, un improbabile scambio di battute (quel: «Le porto i saluti del presidente Obama» è fuffa per gonzi a cui far credere un’intimità con la Casa Bianca che non c’è; e con un misto di indifferenza e diffidenza che l’amministrazione americana guarda a palazzo Chigi), sono sufficienti per far tornare al sereno i rapporti tra Vaticano e Berlusconi? In molti hanno accreditato la velina della “pace ritrovata”, merito soprattutto del Grande Mediatore Gianni Letta; che certo molto si è adoperato, ma ancora più dovrà lavorare.
Al di là dei sorrisi di convenzione, il Vaticano pragmaticamente ha posto precise condizioni: la legge sul testamento biologico e il fine vita così come è uscita da palazzo Madama; l’opposizione alla pillola RU 486; ulteriori, consistenti, finanziamenti alle scuole private, che in Italia sono quelle cattoliche. Questi sono i “doni” che Berlusconi deve portare all’altare di Ratzinger, se vuole sperare che sia rinnovato il patto simoniaco che lo lega al Vaticano. Una “santa” alleanza più che mai indispensabile a un Berlusconi, screditato come mai a livello internazionale, e ridotto ad aver timore perfino di una trasmissione come l’“Anno Zero” di Michele Santoro. Del resto, il Vaticano, oltre alle condizioni peraltro dettate fin dal primo incontro tra Ratzinger e Berlusconi, in questi giorni ha inviato precisi segnali senz’altro recepiti: i due incontri degli esponenti della Lega prima con monsignor Bagnasco, poi con monsignor Bertone hanno fatto capire che già in occasione delle prossime elezioni amministrative i vescovi potrebbero volgere la loro “attenzione” verso il partito di Bossi; e le parole di esponenti di primo piano della CEI alla vigilia dei lavori del sinodo, hanno fatto intendere che anche altri attori sulla scena politica potrebbero essere individuati come possibili, più affidabili interlocutori.
Al di là delle battute da Bagaglino sull’«abbronzatura» di Obama e consorte, domenica scorsa Berlusconi ha sostenuto che riconoscere legittimi diritti agli extracomunitari che in Italia lavorano, producono e portano ricchezza, fa parte di un ordito della sinistra: che così spererebbe di captarne il voto e rovesciare gli equilibri politici favorevoli al centro-destra. Una tesi non nuova, e che certamente è il risultato delle libagioni del lunedì sera ad Arcore con lo stato maggiore leghista. Battuta per battuta, si potrebbe dire che se questi sono gli effetti di quelle cene, c’è da augurarsi che Berlusconi dedichi più tempo alle feste a palazzo Grazioli con le sue escort. In realtà il discorso è serio: parlando del “piano” della sinistra, Berlusconi ha scagliato un siluro contro il presidente della Camera accompagnato ad un messaggio preciso, quel “non ci lasceremo mai”, rivolto alla Lega. Il tutto a poche ore dal fragilissimo armistizio stipulato proprio con Fini, che nei giorni scorsi aveva posto con chiarezza la questione del rapporto preferenziale con Bossi, senza nascondere tutta la sua insofferenza e ostilità.
Una partita delicata. Fini è ben consapevole che non c’è solo l’asse Berlusconi-Lega. Il presidente del Consiglio da tempo si è dedicato in una fruttuosa campagna acquisti nel partito stesso che era di Fini. Gli Ignazio La Russa, i Maurizio Gasparri, gli Altero Matteoli da tempo guardano con attenzione ad Arcore, sensibili alle ragioni e agli umori del Cavaliere. Se è vero che Berlusconi ha garantito che su questo fronte non ha nulla da temere, Fini ha tutte le ragioni per essere, proprio per questo, sospettoso e inquieto.
È evidente che il chiarimento definitivo ci sarà dopo le elezioni regionali, con i risultati sul tavolo a fare la differenza. Nel frattempo si schierano pedoni e pedine; e qui si torna al ruolo che gioca e giocherà il Vaticano. Nelle passate elezioni regionali in Sardegna e a quelle per il comune di Roma, la mobilitazione di vescovi e curie furono determinanti e decisivi per la vittoria del centro-destra. Berlusconi lo sa, la Lega lo sa, il Vaticano lo ricorda ogni giorno; e tutti sanno che Berlusconi, nonostante i patetici lifting, i capelli tinti e i tacchi rialzati, è un signore che la mattina guardandosi allo specchio non può ignorare gli anni che ha, e soprattutto non può nascondersi la differenza d’età tra lui, Fini e Giulio Tremonti.
Ilvo Diamanti, autore di un recente e interessante Sillabario dei tempi tristi, osserva che «una delle pochissime organizzazioni che dispone ancora di una rete di relazioni fondata su valori condivisi e sulla fede è la Chiesa. Ecco la ragione dell’attacco a Dino Boffo. Si voleva dire: anche la Chiesa è come tutti gli altri, in questo paese non ci sono santi né maestri. L’assenza di progetto si rispecchia nel ‘realismo’, nella cultura del fare immediato: io (ndr: Berlusconi) in poche settimane vi darò le case, in pochi giorni risolverò la questione della spazzatura. Siamo un popolo che ha fretta, e non ha tempo di aspettare il futuro. Il progetto vincente è l’assenza di progetto: reagire allo stimolo immediato senza costruire un avvenire. Ci vuole troppo tempo». Discorso di ampio respiro, che merita attenzione e su cui converrà tornare, soprattutto su quel “Ci vuole troppo tempo”. Sono in molti a non averne. La chiave del doppio “realismo”, quello Vaticano e quello berlusconesco, è qui. Un “doppio realismo” che produce (e ancor più produrrà) effetti letali. Ce ne accorgeremo presto.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 28 settembre 2009)