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Gaspare Serra. La prostituzione e l’ipocrisia comune… 
Dalla “legge Merlin” al “d.d.l. Carfagna”? Regolamentare la prostituzione “volontaria” è l’unica alternativa possibile!
27 Settembre 2009
 

Nella speranza sia di vostro interesse, propongo alla vostra attenzione un saggio dedicato al tema della prostituzione in Italia, che (numeri e normative alla mano) cerca di analizzare i mille risvolti del problema.

Una premessa “imprescindibile” per una corretta valutazione delle considerazioni svolte è la seguente: la necessità di distinguere tra una prostituzione “volontaria” ed una prostituzione “coatta” (e, di conseguenze, di approntare politiche diverse per problemi diversi).

L’analisi svolta arriva così ad una personale conclusione:

a- nell’ambito della prostituzione volontaria, il “proibizionismo” non ha pagato negli anni: l’unica alternativa possibile è una “parziale regolamentazione” (o legalizzazione) dell’attività di prostituzione

b- nell’ambito della prostituzione coatta, invece, occorre rafforzare i mezzi e gli strumenti con cui perseguire lo sfruttamento della prostituzione.

Gaspare Serra



La prostituzione e l’ipocrisia comune…



LA “LEGGE MERLIN” SULLA PROSTITUZIONE


In Italia il fenomeno della prostituzione è disciplinato dalla “legge Merlin” n. 75 del 1958, che 51 anni fa rese illegali le “case di tolleranza” (o “case chiuse”), vietando la prostituzione indoor.

La prostituzione viene così definita come un’attività che prevede «atti sessuali prestati dietro pagamento» (non necessariamente in denaro ma anche in natura: l’offerta di un luogo dove abitare, di qualcosa da mangiare, di sostanze stupefacenti…).

La legge Merlin:

1 - rende legale la prostituzione (salvo, ovviamente, quella minorile)

2 - ne vieta, però, l’esercizio in «forma organizzata» o «al chiuso» (è tollerata, dunque, la prostituzione outdoor: per tale ragione gran parte delle prostitute esercitano per strada, pur col rischio di essere multate per il reato di adescamento)

3 - punisce, invece, l’adescamento, il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione (che costituiscono reato).



LE NOVITÀ PROPOSTE NEL “D.D.L. CARFAGNA”


Uno dei primi provvedimenti adottati dal Governo Berlusconi è stato la presentazione di un disegno di legge (a firma del Ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna) per perseguire la prostituzione di strada.

Il provvedimento mira ad introdurre le seguenti novità:

1) introduzione del «reato di prostituzione in luogo pubblico o aperto al pubblico».

Viene vietato prostituirsi in strade, parchi, aperta campagna o in luoghi aperti al pubblico (come locali pubblici o posti accessibili al pubblico) in quanto ciò desterebbe “allarme sociale”. Si prevede l’arresto da 5 a 15 giorni, con ammenda da 200 a 3mila euro.

2) persecuzione dei clienti.

I clienti delle prostitute outdoor diverranno penalmente perseguibili, rischiando le stesse pene previste per le “professioniste” (da 5 a 15 giorni di arresto ed una ammenda da 200 fino a 3.000 euro).

3) inasprimento delle pene nei casi di prostituzione minorile.

4) semplificazione delle procedure per il rimpatrio dei minori.

Sono previste procedure semplificate ed accelerate per il rimpatrio dei minori extracomunitari non accompagnati che si prostituiscono.

5) inasprimento delle pene per l’associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.

Si prevede la reclusione da 4 a 8 anni per i promotori e organizzatori dell’associazione e da 2 a 6 anni per i partecipanti.



ANALISI CRITICA DEL D.D.L. CARFAGNA:


I - Vietare la prostituzione in strada sposterà semplicemente le prostitute in casa!


Il d.d.l. Carfagna non vieta la prostituzione tout court ma solo quella outdoor. È probabile, allora, che il mercato della prostituzione più che venire smantellato sarà semplicemente costretto a “riorganizzarsi al chiuso”.

Siamo convinti che spingere le prostitute ad esercitare “clandestinamente” la loro professione tra le mura domestiche sia un modo più efficace per combattere il racket della prostituzione?

Siamo sicuri che il modo migliore per affrontare il problema prostituzione sia “criminalizzare” le donne che si prostituiscono (in luogo dei loro aguzzini!)?

Il problema della prostituzione:

- non può essere affrontato solo come una questione di tutela dell’“ordine pubblico” e del “buon costume”

- ma, al contrario, impone anche la tutela della dignità, salute e sicurezza di chi volontariamente si prostituisce!

Spostare la prostituzione (ed il racketannesso) all'interno di appartamenti chiusi (all’oscuro per forze dell’ordine ed operatori sociali)renderà ancor più difficile contrastarla!

Come se non bastasse, il d.d.l. governativo non ha nemmeno tentato di contenere tali conseguenze prevedendo aggravanti per il reato di sfruttamento della prostituzione esercitata al chiuso.


II - Espellere i minori che si prostituiscono metterà a repentaglio la loro sicurezza!


Il d.d.l. Carfagna prevede il “ricongiungimento familiare” nel paese di origine (in pratica, l'espulsione!) per le prostitute extracomunitarie minorenni senza permesso di soggiorno (ossia clandestine).

In questo modo, però, si finisce soltanto per colpire “due volte” la prostituta vittima del racket della prostituzione:

- prima “obbligata” con l'inganno e con la forza al meretricio

- poi espulsa in maniera “coatta” nel suo paese di origine (esponendola sia alle vendette delle organizzazioni che l'avevano schiavizzata sia al rischio di essere rimandata sulla strada in un altro paese europeo!).



LA REGOLAMENTAZIONE DELLA PROSTITUZIONE COME UNICA PROSPETTIVA POSSIBILE:


1- Perché non consentire la prostituzione (salvo che minorile!) “libera e volontaria”?


Occorre sfatare una “comune ipocrisia”: non tutte le donne che si prostituiscono sono “schiave” costrette a farlo!

Accanto alla prostituzione “coatta” (che costituirebbe non più del 20% delle 70.000 prostitute che operano in Italia, secondo i dati forniti da organizzazioni come il Censis ed il Parsec) esiste anche una prostituzione “volontaria”; la “non prevalenza” della costrizione nella prostituzione, del resto, è stata affermata anche dall'Osservatorio sulla Prostituzione del Ministero dell'Interno (composto da molte tra le più reputate organizzazioni di assistenza).

Personalmente giudico la prostituzione come un’attività “immorale” e umiliante la “dignità umana” (sia di chi la esercita sia di chi ne beneficia!). Il legislatore, però, non è chiamato ad esprimere “giudizi morali” nell’esercizio della sua funzione di legislazione: dovrebbe assumere un approccio il più possibile “laico”, rispettoso delle diversità di opinioni e delle minoranze.

Ciò comporta il dovere di riconoscere e rispettare pienamente la “libertà di espressione sessuale” di ogni persona, finanche se quest’ultima scelga di prostituirsi! Prostituirsi sarà pure un “peccato” o una condotta immorale per la generalità dei cittadini: questo, però, non basta a trasformare tale comportamento in un reato!

Vendere” il proprio corpo rientra -piaccia o non piaccia- tra quelle libertà personali garantite dalla Costituzione (art. 13) e meritevoli “sempre” di tutela nei limiti in cui non incidano sulla “pari libertà” degli altri!

Perché, allora, non tollerare (e regolamentare) la “libera e consapevole” scelta di un soggetto maggiorenne (uomo o donna che sia) di concedere prestazioni sessuali dietro controprestazione?

Una “parziale legalizzazione” della attività di meretricio perseguirebbe un duplice obiettivo:

1- far emergere la prostituzione “volontaria” (sull’esempio di quanto avvenuto in altri paesi europei, dove questa ha trovato forme legali di svolgimento, minimizzando i costi che ricadono sulla società e sulle persone che svolgono l’attività)

2- e perseguire più efficacemente la prostituzione “coatta”, ossia il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione (concentrando gli sforzi dell’apparato repressivo dello Stato sul contrasto agli sfruttatori).


2- Perché non consentire l’esercizio della prostituzione all’interno di “case di tolleranza” autorizzate?


Perché non regolamentare la prostituzione indoor?

Le case chiuse -pur se luoghi “abominevoli”- di fatto già esistono ed, inoltre, costituiscono un luogo certamente più sicuro e civile della strada per prostituirsi!

Perché, inoltre, non favorire la nascita di “cooperative di donne”, col doppio risultato:

1- di eliminare la prostituzione dalle strade (rispettando la sensibilità delle famiglie, stanche di assistere alla “contrattazione del sesso” nei marciapiedi sotto casa!)

2- e di tutelare la salute, dignità e libertà delle “professioniste del sesso” (la nascita di “libere case autogestite” renderebbe le donne più forti e capaci di resistere alle pressioni della criminalità)?

Riconoscere la prostituzione come una “professione legale” consentirebbe, inoltre:

1- sia di “tassare” tale attività, imponendo delle autocertificazioni di reddito presunto (controllato periodicamente dagli enti statali competenti in base al tenore di vita effettivo)

2- sia di “regolamentare” la prostituzione, introducendo un sistema di diritti e doveri (ad esempio, richiedendo il rispetto di condizioni igienico-sanitarie sicure).


3- Perché non perseguire più severamente chi “favorisce o sfrutta” la prostituzione?


Le “schiave del sesso” non sono la maggioranza delle donne che in Italia si prostituiscono: rappresentano, comunque, una minoranza rilevante (si stima intorno al 20%).

Attualmente lo “sfruttamento” della prostituzione è disciplinato:

- dall’art. 3 della legge Merlin (n. 75 del 1958), che prevede una pena della reclusione da 2 a 6 anni

- e dall’art. 600 bis c.p., che prevede un aggravamento di pena (da 6 a 12 anni di reclusione) nel caso della prostituzione minorile.

Perché non equiparare le pene previste per lo “sfruttamento della prostituzione” a quelle previste per il reato di “sequestro di persona” (che, ex art. 630 c.p., prevede la reclusione da 25 a 30 anni)?

Ciò consentirebbe di punire in modo “esemplare” chiunque:

- abusi di una donna

- la usi a fini di lucro

- e/o ne limiti le libertà (in primis, la libertà sessuale).


4- Perché non vietare ogni forma di prostituzione outdoor?


La prostituzione -come ogni libertà- va incontro a dei limiti: in nessun caso dovrebbero ammettersi forme di prostituzione lesive:

- dell’“ordine pubblico”

- o del “buon costume”.

I marciapiedi delle nostre città, invece, di notte sono pieni di donne (per lo più straniere: nigeriane, cinesi, russe, ucraine, slovene, albanesi…) disposte, senza pudori, a mettere in vetrina il proprio corpo per adescare i clienti. Uno spettacolo indegno e irrispettoso della libertà della gente che vive in questi quartieri!

Perché, allora, non vietare la prostituzione di strada (o in luogo pubblico o aperto al pubblico) “in qualsiasi forma” esercitata?


5- Perché non realizzare progetti di “reinserimento sociale” per le prostitute?


Perché non estendere alle donne “vittime” della prostituzione (e che decidono di collaborare per liberarsi da tale racket) il sistema di aiuto e protezione già previsto per i mafiosi collaboratori di giustizia?

Nel caso della prostituzione “coatta”, sarebbe un aiuto concreto l'offerta da parte dello Stato, in cambio della denuncia dei propri aguzzini, della garanzia di ottenere:

1- un permesso di soggiorno (nel caso di donne extracomunitarie)

2- un programma di protezione (ove occorrente)

3- ed un piano di assistenza economica.

Per contrastare la prostituzione “volontaria”, invece, servirebbero anzitutto politiche di sostegno economico: garantire, in pratica, che “per nessuna persona” la strada della prostituzione divenga l’unica opportunità per vivere o per mantenere i propri figli!

Solo così si potrebbe ridurre il fenomeno della prostituzione ai limiti del “fisiologico” …


6- Perché non introdurre l’insegnamento della “educazione alla sessualità” nelle scuole?


Il fenomeno della prostituzione volontaria, infine, è un problema legato:

- oltre che ad aspetti economici

- anche (o soprattutto) a “devianze culturali” (sia dal lato dell’offerta che della domanda!).

Non si potrebbe altrimenti spiegare il proliferare di ragazze (spesso studentesse universitarie) disposte a prostituirsi in cambio di facile denaro: non solo (o non tanto) per mantenersi negli studi quanto per potersi permettere un guardaroba griffato o la frequentazione dei locali notturni più alla moda!

È difficile, però, condannare questa “mostruosità” quando i messaggi che tv e mass-media (a volte perfino la politica!) trasmettono giornalmente sono sempre più tesi:

- alla mercificazione del valore della donna

- alla proposizione di modelli culturali aberranti

- ed alla istigazione ad una visione “morbosa” del sesso!

Perché non promuovere, allora, una campagna culturale ed educativa che aiuti (specie i più giovani) a prendere consapevolezza dell’“orrore” della prostituzione?

Sarebbe auspicabile, anzitutto, una riformulazione dei piani di studio scolastici che preveda l’introduzione dell’insegnamento della “Educazione alla sessualità” in tutte le scuole pubbliche (di ogni ordine e grado).

L’educazione è l’unica arma vincente in grado contrapporsi alla “diseducazione” morbosa e strisciante dei giovani e ragazzi. Come è possibile, difatti, educare i giovani ad un rapporto “non traumatico” (o esagitato) col sesso se:

- in famiglia e nelle scuole, questo aspetto integrante della vita di ogni individuo continua ad essere un “tabù”

- e la “pornografia virtuale”, il più delle volte, risulta essere l'unica vera lezione sessuale alla portata di tutti?!


Gaspare Serra

(Giurisprudenza Palermo)



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