25 Settembre 2009
Il gioco, guerra, provocazione o, peggio, mero pattume per alcuni, continua. Avevo promesso concretezza e a questa mi attengo. Era prevedibile che, proponendo Gli equivoci amici, come primo testo in cui cercare o un significato unitario, o sprazzi di luce, si obiettasse che non sia rappresentativo, essendo una composizione minore, un divertissement, come ha ammesso Luca Menoni. Sì, ma ricordiamo che i divertissement (che sta per divertimento) dovrebbero essere scritti per piacere. A me continua a piacere il Battisti che la canta. Ma devo sentirla in lontananza, in modo da non essere irritato dallo sgarbo fatto alla sua grazia, ai suoi ricami inimitabili, alle personalissime e bellissime incrinature della sua voce, inizialmente criticate dagli esperti e che invece conferiscono accenti unici di malinconia, tristezza o disperazione.
Le mie sollecitazioni a docenti che dovrebbero essere esperti in critica letteraria, hanno avuto un riscontro, per ora, quasi nullo. Il motivo addotto per defilarsi, sempre lo stesso: non è un testo commentabile, perché assolutamente incomprensibile. Un testo che non mi ispira niente, se non fastidio. Qualcuno ha parlato di repulsione. Uno ha coniato l’espressione “masturbazioni letterarie”. Nessun panelliano ha scritto per dire “a me piace, perché mi ispira un senso di…”. Nessun panelliano ha tentato di indicare neanche un solo sprazzo di luce. Un insegnante di filosofia, dal quale speravo di aver lumi su dove trovare le influenze hegeliane, non ha trovato di meglio che indicare il nome di un testo Le cose che pensano, come esempio di gioiello di rara bellezza.
Gli ho risposto nei commenti, proponendogli la lettura di un testo alternativo (sempre per massaie, questa volta eraclitee) e segnalandogli la truculenza da sogno o da film di Dario Argento di alcuni “versi” del cui innesto chiedo, umilmente, spiegazione. Sempre valida la domanda: dov’è Hegel?
Allora, restando sempre in attesa di gradite interpretazioni del primo testo proposto, leggerino, passo subito al secondo, certamente non classificabile tra i leggerini: Per nome. Caldissima atmosfera mediterranea, m’ha fulminato al primo ascolto. Originale pur restando nel classico. Nell’estrema semplicità della linea melodica, c’è tutto il Battisti e il suo “aver capito il segreto della costruzione della bella musica”. Grande nel proporre il nuovo, lo strano, il complesso, grande e sempre originale negli sviluppi su schemi noti o addirittura scontati. Ma, ri-siamo alle solite, per i miei gusti, sarebbe perfetta se ascoltata in un mare azzurro e calmo, sotto un cielo di cobalto, proveniente da un’imbarcazione lontana. In modo da non poter capire le parole. Ascoltate, lette e meditate, queste, si scopre il trucchetto elementare della costruzione: per far rima o assonanze (che piacciono alle massaie ma pure a Panella), si va sul facile-facile, buggerandosene di ottenere un qualche significato (e infilerà un segnale nel sospeso, ha un nome molto bello, molto illeso che se me lo ricordo si apre un fico, golosamente arreso se lo dico). Chi non è d’accordo, mi spieghi il senso di questi quattro versi, se non di tutto il testo. Come vedete, non mi attacco alla singola parola, ma a 27 parole. Potrei fare le stesse osservazioni, con le stesse domande, per tutto il pezzo.
Invito ancora le stesse persone elencate nel Gioco di fine estate, ma anche tutti gli interessati, in particolare chi mi ha “coperto d’insulti” all’inizio, affermando che non sapevo quello che dicevo perché non avevo letto i testi del Panella-Battisti, a esprimere, possibilmente senza insulti, l’interpretazione di Per nome, il cui testo è riportato nella prima colonna, a sinistra, della prima doppia colonna riportata. Anche senza avventurarsi in spiegazioni di un filo logico, si faccia ricorso magari al linguaggio pittorico, a quello olfattivo, degustativo, acustico. Anche nelle descrizioni delle proprietà dei vini e degli olî, si usano dei nomi di profumi o di sapori (bouquet, viola, fruttato, robusto, soave, mosso, fermo, ecc. ecc.). Possibile che nessuno indichi una strada per poter apprezzare i paradisi panelliani che, si dice, esistano? Non c’è un interprete della sua lingua? Non dire semplicemente “è un capolavoro”, “un gioiello”. Indicare i versi-gioiello e dire perché debbano ritenersi tali.
Oso riportare, a destra della prima doppia colonna, un testo che metricamente è identico a Per nome e quindi facilmente cantabile con la musica di Battisti. Nella seconda colonna, a destra della seconda doppia colonna, il gioco diventa ancora più difficile o, per qualcuno, forse provocatorio. Ma la provocazione non è il mio scopo. Ripeto: l’assoluta intraducibilità dei testi di Panella, vorrà pur dire qualche cosa. Io ho tradotto il testo alternativo. Trovatemi un traduttore in qualsiasi altra lingua dei testi del Panella-Battisti. La mia versione inglese del testo alternativo e comprensibile, fedelissima e accessibile a chiunque abbia una minima conoscenza dell’inglese, rende il brano cantato davvero incantevole. Provate a cantarlo. Testo facilissimo che calza alla perfezione con la linea melodica, di gran lunga più memorizzabile dell’originale. Da tener presente la maggiore difficoltà del mettere le parole su una determinata musica, rispetto alla maggiore libertà espressiva della composizione libera da vincoli ritmici.
La versione “per massaie”, ripeto, potrà essere giudicata brutta e banale, ma sul piano della comprensibilità, che è quello su cui ho fatto partire le mie critiche, deve essere giudicata migliore. E da tutti. Che è quanto volevasi dimostrare.
Allego la foto di un quadro ispirato alla versione “per massaie”, con lo stesso titolo del testo: “Un monte che sbuca dal mare”. Opera di Nello Palloni, ritenuto da molti il migliore allievo di Dottori su scala mondiale e il miglior pittore umbro contemporaneo, insieme a Franco Venanti. Non ha ricavato spunti dalla lettura di Per nome, giudicandolo nullo come significato e come fonte d’ispirazione, per immagini, anche a prescindere dai significati logici che, per un pittore, possono mancare del tutto.
Valore commerciale del quadro, non piccolo, elevato e in continuo aumento.
Se daranno l’autorizzazione (trattandosi di un “esperimento” non a fine di lucro, potrebbero darlo), metterò in rete l’esecuzione delle due versioni “per massaia”. Per quelle italiane e per quelle che capiscono l’inglese. Anche loro, poverine, hanno diritto a godersi, fino all’ultimo, un Battisti comprensibile. Così comprensibile e onesto da dichiarare testualmente (ho l’intervista in un cd): «Io e Giulio abbiamo considerato la possibilità di passare all’ermetismo. L’abbiamo scartata. Sarebbe una fuga». Che è quanto ho sostenuto nel mio primo scritto.
Per nome
Ha un nome molto bello
che se me lo ricordo
lo chiamo quel bel nome.
E lei starà
non in qualche foresta
ma in qualche bestiola
che colta sul fatto si volterà di scatto
mostrando i suoi tre quarti
stupefatti
e gli inzuppati come dolci nel latte
bianchi degli occhi
con il tocco sopra d'amarena.
Per nome ma non tanto per davvero
starà leggendo un libro nel pensiero
e infilerà un segnale nel sospeso.
Ha un nome molto bello, molto illeso
che se me lo ricordo si apre un fico
golosamente arreso se lo dico.
E lei starà
misurando con calme sequenze di palmi
su sé quanto dista
la gola fatalista
da tutta la tastiera
del costato. Avrà accordato
il respiro con l'arco
della dorsale
e sembra l'obiettivo
del suo cruciale sbarco.
Per nome quell'alone protettivo
che la dimenticanza ha rinforzato
la punta della lingua m'ha aggredito.
Ha un nome molto bello, smemorato.
Starà guardando molto da vicino
qualcosa che da qui non l'indovino.
E lei starà.
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Un monte che sbuca dal mare
È un monte così bello
che, se lo raffiguri,
non è mai così bello.
Sta in mezzo al mare,
ha un nero d’ossidiana,
più in su di boschi ha il verde
con larghe radure, ginestre immense, macchie
con fichi e fichi d’India,
fiori al vento
e bianchi uccelli, come archi in ciel tesi,
stanno stagliati.
E su, in cima, ha il fuoco della Terra.
L’amico mio dimora su quel monte
che, se lo vedi, torna al tuo pensiero
e resterà un ricordo sempre acceso.
Un monte nero e verde, luminoso,
che sbuca dall’azzurro nell’azzurro,
selvaggio ed aspro, dentro sempre acceso.
E lui sta là,
misurando con passi pensosi quei lidi
sassosi e ventosi,
poi va su un’altra costa
ad ascoltar la voce
dei canneti. T’invidio, amico…
da discorsi e discordie
così lontano…
e ai canti di quei suoni
tu cuore e udito tergi.
Riecheggia, amico caro, la tua voce
nel gran silenzio ritmico del mare,
t’invidio, io, che non ho più stagioni…
perché il cemento non fiorisce mai,
ti sento un re nel guscio tuo di noce,
un’oasi che da qui non raffiguri…
Mimmo, sta là…
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Un monte che sbuca dal mare
È un monte così bello
che, se lo raffiguri,
non è mai così bello.
Sta in mezzo al mare,
ha un nero d’ossidiana,
più in su di boschi ha il verde
con larghe radure, ginestre immense, macchie
con fichi e fichi d’India,
fiori al vento
e bianchi uccelli, come archi in ciel tesi,
stanno stagliati.
E su, in cima, ha il fuoco della Terra.
L’amico mio dimora su quel monte
che, se lo vedi, torna al tuo pensiero
e resterà un ricordo sempre acceso.
Un monte nero e verde, luminoso,
che sbuca dall’azzurro nell’azzurro,
selvaggio ed aspro, dentro sempre acceso.
E lui sta là,
misurando con passi pensosi quei lidi
sassosi e ventosi,
poi va su un’altra costa
ad ascoltar la voce
dei canneti. T’invidio, amico…
da discorsi e discordie
così lontano…
e ai canti di quei suoni
tu cuore e udito tergi.
Riecheggia, amico caro, la tua voce
nel gran silenzio ritmico del mare,
t’invidio, io, che non ho più stagioni…
perché il cemento non fiorisce mai,
ti sento un re nel guscio tuo di noce,
un’oasi che da qui non raffiguri…
Mimmo, sta là…
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A mountain rising from the sea
It is so fine a mountain
that in imagination, it couldn’t be so perfect.
It lies in the sea
with its oxidian-black,
above, the green of woods,
with large and open spaces
immense brooms and bushes
full of fig-trees and cacti
windswept flowers
and white wild-fowls, as arches in the sky,
are silhouetted.
And on the top, it has the fire of the Earth.
My dear, dear friend, now lives on that mountain
that, seen once, you for ever will remember
as it will be an ever-lighted memory.
A mountain, green and black, always brilliant
arising from the sea-blue towards the sky-blue,
it is rugged and wild, inside ever-lit inside.
My friend is there,
he is measuring by thoughtful steps
those shores full of stones, full of winds,
then he goes to another coast
to listen to the voice
of the cane-brakes I envy you, my dear…
from talk-talk and dissensions
you are so far…
to the murmuring of those sounds
you, heart and hearing, clean.
Your voice resounds, oh dear my sweet old friend
in that high rithmic silence of the sea
I envy you, I, who have no more seasons…
like concret which can never, never bloom,
you are a king, free happy in his nutshell
an oasis that from here we can’t imagine…
Mimmo is there…
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Paolo Diodati |