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Il grave sfregio dei mancati seggi al Senato 
E se si reagirà da nonviolenti, si sarà ancora una volta accusati di essere esibizionisti, estremisti, vittimisti?
Marco Boato
Marco Boato 
24 Aprile 2006
 

Sono tante le email di elettori della Rosa nel Pugno che in questi giorni e in queste ore ci esortano ad avere pazienza, a sopportare le tante soperchierie che abbiamo dovuto patire e patiamo ancora, in nome di una suprema urgenza e necessità: quella di impedire che Silvio Berlusconi possa tornare a vincere, e che il possibile governo di Romano Prodi muoia ancora prima di nascere. “Non litigate”, “non fate casini”, ci dicono in sostanza. E già questo è indicativo: “loro” i casini li stanno facendo, non riescono e non sanno neppure mettersi d’accordo su chi deve ricoprire le cariche istituzionali, cercano di decidere e litigano clandestinamente, incontri e scontri appannaggio di una decina di persone, forse meno. E tutti noi – non solo i radicali, la Rosa nel Pugno, i cittadini – a guardare: “loro” stanno scrivendo il manuale di come perdere le elezioni amministrative e ridare fiato a Berlusconi, neppure si pongono il problema di come hanno fatto in poche settimane a dilapidare un patrimonio costituito da una decina di punti di vantaggio rispetto alla Casa della Libertà; e però siamo noi, quelli che hanno annunciato che intendono essere gli “ultimi giapponesi” di Prodi, che non dobbiamo fare “casini”, che non dobbiamo litigare.

Anche qui, evidentemente, si sconta un grosso difetto di comunicazione. Anche qui, si può dire, si paga una poca consapevolezza di quello che accade, di quello che stanno facendo e ci fanno patire.

Si prenda questa storia del Senato; anche voi interessati solo alle poltrone, e ora state menandola perché non vi hanno attribuito i seggi al Senato?, ci chiede qualcuno. Ed è la dimostrazione di come i termini della questione non siano assolutamente colti per la buona ragione che non si riesce a comunicarli.

Allora, proviamo a fare una briciola di chiarezza: la legge elettorale parla chiaro e prevede, per quanto riguarda la ripartizione dei seggi del Senato, due ipotesi:

a) La coalizione o la lista con il maggior numero di voti ha conseguito almeno il 55 per cento dei seggi.

b) La coalizione o la lista con il maggior numero di voti non ha invece conseguito tale quota di seggi.

Solo per la prima ipotesi, la legge, nel suo terzo comma, prevede il riparto dei seggi, all’interno della coalizione tra le sole liste collegate che abbiano ottenuto sul piano circoscrizionale almeno il tre per cento dei voti validi.

Per la seconda ipotesi, al contrario tale soglia di sbarramento al tre per cento non è in alcun modo prevista (comma 4 e seguenti). Anzi, il comma 6, espressamente richiama per il riparto tra le liste il precedente art. 16, comma 1, lettera b, disposizione che a sua volta prevede le “coalizioni che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi, e contengano al loro interno almeno una lista che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi”. È sufficiente, pertanto, che la soglia di sbarramento sia superata da una sola lista coalizzata.

Cos’è dunque accaduto? Il Ministero dell’Interno ha valutato riparti di seggi in ogni caso tra le sole liste che raggiungono il 3 per cento. Le Corti d’Appello hanno ratificato. Clamorosa violazione di legge, che impedisce alla Rosa nel Pugno di avere una rappresentanza al Senato. Si capisce. Tutto possono desiderare, meno quattro-cinque senatori laici, liberali, radicali, socialisti.

Così per l’ennesima volta, si assiste a una clamorosa violazione della legge.

«La legge», dice il costituzionalista Fulco Lanchaster, «distingue chiaramente due ipotesi: la prima si verifica se le coalizioni abbiano ottenuto il 55 per cento o più, la seconda se non l’abbiano ottenuto. Mentre nel primo caso è prevista una soglia di sbarramento del 3 per cento, nel secondo caso questa previsione viene meno eliminando ogni sorta di sbarramento. La Rosa nel Pugno ha pienamente ragione a chiedere agli uffici elettorali regionali l’applicazione della normativa. L’ufficio elettorale regionale non deve valutare se il legislatore abbia o meno commesso un errore ma applicare il testo in maniera letterale».

Un altro costituzionalista, il professor Mario Patrono, sostiene: «basta leggere la legge che non lascia spazio per dubbi: altre possibili interpretazioni non sono possibili, perché la legge elettorale non prevede soglie di sbarramento nel caso in cui la coalizione non raggiunge il 55 per cento dei voti. Ho letto approfonditamente la legge elettorale: non ci sono dubbi. La Rosa nel Pugno, come altre formazioni, deve concorrere alla ripartizione dei seggi del Senato nelle regioni in cui la coalizione non abbia raggiunto il 55 per cento. Ogni altra interpretazione non è fondata».

Il parlamentare Verde Marco Boato, dice: «In Piemonte la Rosa nel Pugno ne conquista uno e ne perde uno Rifondazione Comunista, che però si era vista attribuire un seggio erroneamente. In Liguria andrebbe un seggio alla lista Insieme per l’Unione, e un seggio in meno, erroneamente attribuito, andrebbe ai DS. Nel caso dell’Abruzzo, il seggio toccherebbe ad Italia dei Valori, in Campania il seggio toccherebbe alla Rosa nel Pugno, in Puglia addirittura due liste dovranno vedersi assegnato un seggio: la Rosa nel Pugno e Insieme per l’Unione. Boato sostiene che non ci sarebbe neppure la necessità di presentare ricorsi, per vedersi riconosciute le nostre buone ragioni: «Non è un problema di interpretazione, ma di corretta applicazione della legge, senza ombra di dubbio. Stiamo parlando delle regioni in cui nessuna delle coalizioni ha raggiunto il 55 per cento. E in questi casi è esplicitamente scritto che la condizione per avere il premio di maggioranza è che “almeno una delle liste della coalizione abbia raggiunto il 3 per cento”. Dunque anche le liste che non abbiano superato il 3 per cento, debbono concorrere all’assegnazione dei seggi».

Commette un grave e grande errore chi pensa che tutta la questione sia riconducibile a una questione di “spartizione” di seggi. È piuttosto un nuovo capitolo di un vecchio libro, quello del “caso Italia”, del “fascismo democratico”, della “peste italiana”. Ricordate? Una volta non eleggono i giudici della Corte Costituzionale di loro spettanza, e la lasciano “monca” per mesi e mesi. Un’altra volta è la clamorosa violazione costituita dalla mancata attribuzione di seggi della Camera (la Costituzione prescrive siano 630) e grazie alle Liste civetta escogitate dalla Casa della Libertà, non si riuscivano ad assegnarli come previsto dalla legge… ora siamo a questo sfregio, grave: colpisce oggi la Rosa nel Pugno, domani non chissà…

Si parlava di un grave e grande difetto di comunicazione. Può anche essere che tutto quello che abbiamo scritto e sostenuto sia infondato, che si siano prese lucciole per lanterne. Ma al di là del merito, qualcuno può ricordare una puntata di “Porta a porta”, di “Ballarò”, di “Matrix”, un servizio di telegiornale pubblico o privato che sia; un editoriale sul Corriere della Sera di Giovanni Sartori, di uno dei cento giuristi-costituzionalisti di Repubblica, de La Stampa, di un qualunque altro giornale, che sollevi la questione non foss’altro per stroncarla? Semplicemente non se ne parla, non se ne scrive. Come se davvero fosse solo un problema della Rosa nel Pugno per dei seggi mancati. Se poi arriva un uomo alto e coi capelli bianchi che smette di bere e mangiare perché questa è l’unica possibilità che gli viene lasciata per allacciare un “dialogo”, e per reggere qualche ora in più si beve la sua pipì, avranno ancora una volta – ci si può scommettere – la faccia di tolla di dire che si tratta di esibizionismo, estremismo, vittimismo…


Gualtiero Vecellio

(da Notizie radicali, 24/04/2006)


 
 
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