Sembra che l'aborto sia un problema che riguardi soprattutto gli uomini, e segnatamente gli uomini della Chiesa. Questi, infatti, non perdono occasione per parlarne. Adesso l'occasione è data dalla pillola Ru486. Renderebbe meno complicato l'aborto e gli ecclesiastici temono che le donne lo scambino per un giochino.
Ai signori della Chiesa vorrei chiedere se ritengono ci sia la giusta proporzione tra il loro continuo parlare a favore dell'embrione, essere debole e indifeso, e il loro parlare a favore dei 100 milioni nel mondo di bambine, pure deboli e indifese, costrette a lavorare, metà delle quali impiegate in mansioni pericolose, e moltissime delle quali obbligate a lavori forzati, o sfruttate nel commercio sessuale minorile (rapporto “Give girls a chance” - 11 giugno 2009). Vorrei chiedere loro se la vita di queste creature che soffrono pene indicibili, è meno importante della vita dell'embrione. Se l'importanza è la stessa, allora dovremmo sentir parlare di quelle bambine tante volte, quante volte sentiamo parlare degli embrioni. Allora il nostro Papa dovrebbe dire che chi sfrutta quelle innocenti, commette un crimine simile a quello di Caino, come fece Giovanni Paolo II nei riguardi delle donne che abortiscono. Oppure sfruttare, tormentare, e magari far morire anzi tempo quelle creature, è crimine meno grave dell'aborto?
Vorrei infine chiedere se c'è la giusta proporzione tra il loro parlare a favore dell'embrione, e il loro parlare a favore delle donne che nel nostro Paese sono maltrattate, ferite, e uccise dagli uomini.
Francesca Ribeiro