C’è una guerra, questo appare fin troppo evidente; alcuni belligeranti si ritrovano lì in “missione di pace” perché i corrispettivi governi sono adusi all’utilizzo delle parole più che alla consistenza dei fatti; così i morti non muoiono in guerra, perché sarebbe anticostituzionale, ma in missione di pace.
La caratteristica precipua delle guerre è quelle di sovrastare ogni altro evento agli attoniti occhi dell’intero pianeta che guarda: ma non tutti gli occhi guardano allo stesso modo!
Gli aggettivi per definire le guerre si sprecano; attraverso gli aggettivi del momento le medesime guerre possono diventare esterne di difesa, quando solo le guerre interne sono di difesa da una vile aggressione, mentre quelle esterne rappresentano proprio quell’aggressione che stimola la difesa.
Ma il vocabolario del politichese è ricchissimo di sinonimi, così la guerra esterna di difesa, che dialetticamente rappresenta una contradictio in terminis, viene chiamata “guerra preventiva”, cioè certezza di una guerra per scongiurare l’ipotesi di una guerra. Potrebbe apparire paradossale ma c’è stato anche chi, tale guerra preventiva, ha nobilitato come “guerra umanitaria”. Poi c’è l’ipocrisia delle parole, quando la partecipazione alla guerra viene chiamata “missione di pace”; si muore lo stesso (Nassirija, Kabul….) ma si muore in missione di pace e non in una azione di guerra: le vedove, gli orfani, i genitori vengono così consolati del triste evento, che però non è stato una azione di guerra!
Queste sono affermazioni già note, già descritte, che parlano di guerre, senza entrare “dentro” quelle guerre per capire cosa c’è dietro le quinte di questo spettacolo offerto al mondo.
Perché di spettacolo si tratta.
Ricordo benissimo il giorno del primo bombardamento su Baghdad, incollati alla TV mentre uno speaker illustrava gli eventi, con molta spontaneità, da cronista, facendo apparire una assurda “naturalezza”, idonea a non far capire che dietro ognuna delle esplosioni che si vedevano in diretta c’erano drammi, tragedie, morti, distruzione, mentre lo stesso speaker interrompeva la cronaca in diretta per qualche minuto di “consigli per gli acquisti”… 10 piani di morbidezza… basta la parola… Ma dentro l’attuale guerra in Afghanistan cosa si cela? Cosa non vogliono farci vedere? Cosa ci impongono di valutare senza pensare?
Al di là degli atti di belligeranza, di terrorismo di entrambe le parti, di morti contati se occidentali e di morti nel mucchio se indigeni, cosa si cela tanto gelosamente?
C’è una realtà ancore più drammatica della stessa guerra perché provoca centinaia di migliaia di morti, se non milioni, tutti passati sotto silenzio, perché obnubilati dalle notizie studiate che ci vengono date in frettoloso pasto.
Dietro tutto ciò, anche dietro le bare dei morti, si cela il più gigantesco business del pianeta: droga contro armi. L’Afghanistan è il primo produttore di droga pesante del mondo; i bombardamenti colpiscono le città per produrre quei morti che serviranno alla causa della disinformazione, ma nessuno ha mai utilizzato il napalm per bruciare gli sterminati campi di papavero da oppio.
Ma il sistema criminale che gestisce la produzione e la vendita della droga non vuole pagare in denaro o in derrate alimentari, anche perché ha messo su la più imponente macchina produttrice di armi, per cui intende pagare con armi, in un turpe baratto dove la morte per overdose si mescola e si confonde con la morte prodotta dalle armi; ma per perfezionare l’affare occorrono le guerre!!!
Le mafie mondiali controllano tale commercio e lucrano su tali scambi, insistendo anche con l’incremento, in modo da moltiplicare i guadagni. Trattandosi di mafie mondiali poteva risultare assente l’Italia? In pochissimi anni la nostra nazione già patria di poeti, santi e navigatori è diventata la seconda potenza mondiale produttrice ed esportatrice di armi, mentre diventa ogni giorno più fiorente il mercato della droga. Ciò produrrebbe denaro sporco, esentasse, la cui dimensione non è occultabile… ma interviene la finanza creativa che tutto assolve, basta chiamarla con un nome fantasioso in grado di evocare momenti eroici, così è stato partorito dalle menti eccelse lo “scudo fiscale”, che presto sarà appoggiato anche da una banca creata ad hoc per assorbire quei capitali e ridare loro la verginità perduta.