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Mario Calabresi. La fortuna non esiste
15 Settembre 2009
 

Non importa quante volte cadi. Quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi (Joe Biden). L’ultimo libro di Mario Calabresi, La fortuna non esiste – Strade Blu Mondadori, 2009, pagg. 156, € 16,50 – sembra germogliato dal dolore positivo distillato in purezza.

Il giornalista Calabresi viene mandato in giro per l’America alla ricerca di Obama, durante la campagna elettorale di quest’ultimo. Ne diventa un’anima osservatrice, una sorta di alter ego molto attento. Capisce in quale stato si trovi il paese e cosa Obama significhi. La forza di Obama è l’esempio: 0ci ha dimostrato che non esistono cose impossibili, dice un ragazzo di ventiquattro anni che era poliomielitico, analfabeta fino a tredici anni e nato a Kabul. Per amore di una cartella e di una scatola di matite convince un medico a farlo studiare ed a farlo camminare. Diventa un uomo di infinita cultura, l’intelligenza è il suo prodigioso risultato, il suo aquilone che lo porta in alto a volare tra le aquile. Diventa un consulente importante, un uomo a cui chiedere consiglio quando va male.

Il libro di Calabresi è un insieme di storie di vita al limite della rottura. È un libro per uomini al confine della disperazione, che stanno per impazzire di stanchezza. È il libro della speranza, però, perché quegli uomini imparano che l’unica cosa importante nella vita è non mollare mai.

Questa lezione umana, tipica di un uomo disperante come Santiago de Il vecchio e il mare, Calabresi l’ha appresa prima di tutto dalla nonna. Bambina che nasce prematura e sembra morta. Solo l’acutezza di un medico di pelo rosso la salverà e la farà vivere contro le opinioni di tutti gli altri. Quanto conta l’anticonformismo, il coraggio di rompere i muri. La disperazione diviene un mezzo per viaggiare dentro l’America. Quella dei manager che hanno visto la propria vita ridotta ad una scatola da spostare quando sono stati licenziati. In un attimo, in un nanosecondo hanno perduto il lavoro e ciò che li faceva sentire utili, funzionali. Hanno guadagnato altri pensieri ed altri elementi chimici per vivere:si sono adattati in altre dimensioni dove la vita vale anche più del lavoro. Chi viene visto da vicino sono Michelle Obama e Joe Biden. Due esempi di lotta a mani nude con la vita. La first Lady arriva da lontano, da origini modeste. È una donna forte, sa guardare negli occhi la vita, ha il coraggio della leonessa. Ama donare ciò che ha ricevuto in vita. È una donna percorsa per tutta la sua altezza da una visione solidaristica molto sana. Ad alcuni bambini lascia una lezione profonda: non dimenticate mai da dove venite e cosa dovete restituire agli altri. A Joe Biden, oggi vice presidente degli Stati Uniti, muoiono moglie ed un figlio piccolo. Gliene rimangono due che assiste da solo. Li cresce con amore ed ha la forza di compiere un cursus honorum denso, come un fiume maledetto su cui la sua zattera non va a male. Però. Questa è l’America di Calabresi. Donne soldato senza gambe che oggi guidano e lavorano come altre, con la capacità di credere nella vita e farci l’amore come se una bufera di sangue ed amputazione non le avesse neanche sfiorate. L’America è un deserto dove il sole cuoce anche le pietre oppure un aeroporto a dieci gradi sottozero dove entrano gli immigrati con un sogno infitto dentro gli occhi spossati da dieci ore di volo.

Calabresi ha compiuto un viaggio dentro un’America senza ossigeno, divorata dai debiti, schiantata da un deficit che la sta mangiando viva. Fuori, vicino all’osso. Quello che la crisi non è mai riuscita ad intaccare è la resiliency, quella capacità psicanalitica che in Francia viene chiamata resilience, e che in italiano potrebbe essere chiamata capacità di assorbimento. Una sorta di elasticità alle sventure per cui l’uomo è portato a rielaborare molto in fretta la disgrazia ed a trovarci dentro l’anima tenera, molle di buono. È il detto siciliano Chinati giunco chè passa la tempesta, ed il principio su cui Alexis de Tocqueville scrisse uno dei libri più radiografici degli Stati Uniti d’America. È curioso che questa capacità di lottare e di non mollare mai, mai, sia stata cantata così in profondità da un italiano che ormai sembra un vero americano. Sarà che Mario Calabresi è uomo che ha dovuto diventare tale molto presto ed ha saputo rielaborare il più grande lutto della sua vita, quello del padre, prima vivendo ed onorandone la memoria. E poi scrivendo il libro più dolce, notturno, ed amorevole che mai figlio possa scrivere di un padre che continua a vivere dentro di lui per sempre: Spingendo la notte più in là è già di suo un titolo che fa commozione.

La concezione di Calabresi diventa quella americana, pragmatica, quella dei coloni inglesi. Non esiste la fortuna, esiste il talento che incontra l’occasione. E la fortuna ce la facciamo noi, ogni giorno, nonostante tutto. Questo libro è un’opera riparatrice per il dolore, è un esempio di come si possa vincere la solitudine, il panico di essere rimasti soli dentro una bolla scoppiata all’improvviso. Mario Calabresi ha capito da piccolo quello che ha trovato poi da grande in America:la forza di resistenza dei nostri padri. Andare avanti sempre, anche quando fa più male. Perché di altre persone è la nostra responsabilità.


Alberto Pezzini


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