La recente visita di Gheddafi in Italia ha fatto quasi ignorare, o perlomeno fatto passare… inosservata, sia la vistosa fotografia che il Colonnello portava orgogliosamente sul petto, che un passato storico in cui l’Italia giocò un ruolo forte colonizzando la Libia.
Tutti i politici che hanno incontrato Gheddafi, tra cui lo stesso Berlusconi, hanno pensato bene di soprassedere alla “provocazione” del leader libico, forse con l’intento di chiudere abilmente una imbarazzante finestra sulla nostra storia.
La foto era una provocazione, ma aveva un significato alquanto preciso: evidenziare le… colpe italiane nel periodo della colonizzazione della Libia.
Già; perché è storicamente doveroso ricordare che agli inizi del Novecento l’Italia di Giolitti decise di occupare la Libia, parte dell’impero ottomano che si stava sgretolando. Dietro, come ribadiscono gli addetti ai lavori, vi erano gli interessi della finanza, soprattutto quella vaticana già penetrata in Libia attraverso il Banco di Roma, e dei grossi industriali, che volevano una guerra perché aumentasse la spesa militare. Precedute da un bombardamento navale, le truppe italiane sbarcarono a Tripoli il 5 ottobre 1911.
L’invasione della Cirenaica e della Tripolitania, con un corpo di spedizione di oltre 100 mila uomini al comando di 24 generali, suscitò l’immediata resistenza della popolazione. La repressione fu spietata: furono fucilati o impiccati circa 4.500 arabi, tra cui donne e ragazzi. Molti altri furono deportati a Ustica e in altre isole, dove morirono quasi tutti di stenti e malattie. Iniziava così la lunga storia della resistenza libica, che sfidò la sempre più dura repressione soprattutto nel periodo fascista.
Tra i combattenti libici si distinse l’eroe che combatté gli italiani, Omar Al Muktar, “il leone del deserto”. Fu un eroe senza tempo, “il leone del deserto”, rispettato da vivo, venerato da morto. Capo indiscusso della resistenza libica anti-italiana, Omar Al Muktar comincia la sua avventura alla veneranda età di 63 anni, nel 1923: la Libia è una colonia italiana già da 11 anni.
Ma tornando alla recente visita di Gheddafi rammentiamo che, sull'alta uniforme scura, all'altezza del petto, il leader libico portava una singolare fotografia: quella dell'arresto, operato da parte degli squadroni fascisti, l'11 settembre 1931, proprio di Omar Al Muktar. Prima di essere un combattente, Al Muktar passa un'intera esistenza ad insegnare il Corano nella moschea del villaggio di Al Gsur, in Cirenaica. Quando l'esercito italiano, all'inizio degli anni Venti, inizia a penetrare nel deserto libico, Al Muktar chiama a sé uno sparuto gruppo di uomini e organizza la guerriglia anti-coloniale.
«'Di statura media, piuttosto tarchiato, con capelli, barba e baffi bianchi, Omar al Mukhtar era dotato di intelligenza pronta e vivace; era colto in materia religiosa, palesava carattere energico e irruente, disinteressato e intransigente»'. Così lo descrive il generale Rodolfo Graziani, inviato in Libia da Benito Mussolini per sedare la rivolta anti-italiana.
L’11 settembre 1931, in Cirenaica, viene intercettato, ferito e catturato. Quindi giudicato con un processo-farsa a Bengasi, è impiccato a Soluch, il 16 settembre, davanti a circa ventimila libici, costretti ad assistere all'esecuzione del loro leggendario capo. Il mito del “leone del deserto” non è mai tramontato.
A tal punto che il Colonnello Gheddafi sbarca a Fiumicino con una strana foto attaccata sul petto. Al centro della foto si nota un anziano signore incatenato: è Al Muktar nel giorno della cattura, l’11 settembre 1931. Gli sono accanto soldati e sottufficiali in divisa scura; sulla destra del “Leone del deserto” si nota un ufficiale in divisa bianca.
E ora veniamo allo “scoop” o almeno al chiarimento storico; l’ufficiale vestito di bianco è l’autore materiale dell’arresto del libico Al Muktar. Si chiama Sarica, esattamente Antonio Sarica di Reggio Calabria. Da giovane si era arruolato nel Pai, la Polizia Africa Italiana, e si conquistò subito i gradi di tenente. Lo stesso fece poi carriera combattendo i nemici dell’Italia nel continente africano.
Questo originale pezzo è a firma di un modesto giornalista che risponde al nome di Pino Iannolo. Lo storico che ha condotto studi sull’argomento porgendoci la curiosa notizia è quel grande storico e letterato italiano che risponde al nome del prof. Franco Mosino. Fra essi si frappone, come collante, la genuina disponibilità dell’On. Natino Aloi. Egli ha voluto che Franco Mosino trovasse ospitalità su una rivista culturale edita dallo stesso parlamentare.
Dopo questa dissertazione e le ricerche di Mosino possiamo ben dire che era reggino doc l’ufficiale che compariva nella foto ostentata da Gheddafi sul petto nel corso della sua prima visita in Italia.
Pino Iannolo
(da R-esistiamo - newsgroup ANED-Torino, 4 settembre 2009)