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Tarcisio Burgnich, “la Roccia”. Praticamente, una leggenda
31 Agosto 2009
 

Che cosa ci faceva quel terzinaccio, quel mastino, quel francobollatore nel cuore dell'area teutonica? Poco di là dell'area piccola presidiata dal mascellone di Josef Dieter Sepp Maier, l'abile portiere del Bayern Monaco e dei bianchi di Germania (ancora Ovest)? Forse non voleva essere da meno dell'altro terzinone Karl-Heinz Schnellinger – per il solito rivale in campionato muovendosi il biondone di Düren sulla sponda milanese rossonera, mentre il nostro giocava per l'Inter –, forse era un caso (o il Caso, il più potente degli dei), forse era il destino, forse... Sta di fatto che il trentunenne di Ruda, profonda provincia udinese, Tarcisio Burgnich, che si sarebbe meritato l'appellativo de La Roccia, quella notte italiana del 17 giugno 1970 che lui invece trascorreva in pantaloncini bianchi e maglia azzurra ai 2000 metri dell'Azteca, Città del Messico, raccoglieva un disimpegno sbagliato – su magistrale calcio di punizione, senza alcuna rincorsa, di Gianni Rivera, tiempo extra 8' – dalla testa affannata di quel botolo ringhioso di Berti Vogts e dalla terra di controbalzo mancino infilava Maier per il 2-2 italiano, la quarta marcatura di quella sagra d'emozioni infinite che fu Italia-Germania 4-3, per sempre nell'immaginario collettivo nazionale colonna sonora e visiva di una generazione, il simbolo che tutto, volendolo è possibile.

Il mestiere di Tarci d'altronde non era quello di segnare, ma di non far segnare l'attaccante, mai. A qualsivoglia costo, ma da parte sua con lealtà e senza brutalità. Il verdeoro Pelé nella finale mundial del 21 giugno gli fece gol di testa andando in cielo a cercare gli angeli, ma Burgnich neanche in quel frangente si era in realtà arreso: invano con il braccio destro teso in alto cerca lo slancio per contrastare l'incredibile colpo di testa del Re Pelé. Fu l'1-0 brasileiro, ma lui, il numero 2 dell'Italia e del rosario della Grande Inter – Sarti, Burgnich, Facchetti... – non c'era stato, anche se infine si era inchinato a uno dei più bel gol di tutti i tempi. No, non s'arrendeva mai il Tarcisio: c'è un famoso scatto che immortala lui ed Ezio Pascutti – udinese di Mortegliano trasferitosi in Emilia a segnare caterve di reti a beneficio dei felsinei: la bellezza di 130 in campionato, e sempre coi rossoblù della Dotta – protesi in un duello in volo rasoterra paralleli al suolo: spettacolare: Pascutti è in vantaggio e con la sua pelata centrale sul cranio arriva per primo a incocciare la palla per un gol da urlo e da cineteca, ma lui il Tarci non aveva mollato: di mollare non ne voleva proprio sapere. Mai, a qualsivoglia costo.

Taciturno ma non scorbutico, amante della lettura durante i lunghi ritiri, Burgnich è stato un campione tenace ed esemplare, la cui carriera era iniziata alla trentatreesima giornata del torneo di serie A 1958-59. Una gara che avrebbe stroncato qualsiasi esordiente: Milan-Udinese 7-0, con tripletta di Carletto Galli, doppietta di Gastone Bean e le altre reti di Pantera Danova e Fontana. Era il 2 giugno 1959, è evidente che il giovane Tarcisio era schierato con i furlani e contro c'era il Milan dell'allenatore-umanista Luigi Cina Bonizzoni e pilotato in campo dal genio uruguaiano di Juan Alberto Schiaffino. I rossoneri con quella partita sarebbero divenuti campioni d'Italia con una giornata d'anticipo. Fu, quello l'anno dei 33 gol di Antonio Valentin Angelillo. L'Udinese si salvò comunque e quel bagno all'inferno contro il diavolo milanista fu la prima presenza di Burgnich nel massimo campionato: alla fine della carriera per lui sarebbero state ben 494 (+ quella dello spareggio 1963-64 contro il Bologna), divise fra, per l'appunto, Udinese, 8, Juventus, 13 con scudetto, Palermo, 31 (1 gol, e proprio alla sua ex Juve nel 2-4 targato rosanero al Comunale di Torino; per i siculi un bell'ottavo posto, mentre la Juve che aveva ceduto un po' troppo frettolosamente il giovane friulano fu soltanto dodicesima), Inter, 358 (5 gol), Napoli, 84, in un arco di tempo pari a 19 stagioni. Una continuità impressionante glorificata da cinque scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali, una Coppa Italia e, manifestazione un tempo circondata di un suo prestigio e fascino, una Coppa di Lega Italo-Inglese. Questi ultimi due trofei conquistati con la squadra del Vesuvio che con lui in campo, nel ruolo di libero ricoperto ormai da qualche anno, e con Vinicio in panchina nel 1974-75 giunse meravigliosa seconda. Nella sua vita interista Burgnich accumulò altri 57 gettoni di coppe europee e 47 (1 gol) di Coppa Italia.

Il ritiro dai campi avvenne a 38 anni suonati, mentre quello dalla rappresentativa nazionale fu sancito dopo l'infelice per i nostri colori spedizione ai Mondiali 1974. I gol dei tremendi polacchi Szarmach e Deyna e il suo concomitante infortunio – il punteggio era ancora a reti inviolate – posero fine alla bellissima avventura di Burgnich con l'Italia, che aveva avuto il suo apice con il primo posto agli Europei del 1968 e il secondo ai Mondiali di Messico e nuvole '70. 66 infine le sue presenze in azzurro con 2 reti, l'esordio contro l'Unione Sovietica di Lev Jascin in una novembrina domenica del 1963 e con lui in campo, quel giorno, i compagni di difesa e di club Sarti, Facchetti e Guarneri. Mancava solo l'Armando (Picchi). Nel 1966, ai Mondiali d'Inghilterra, gli fu risparmiata, causa una distorsione nella precedente partita, la meschina figura contro la Corea del Nord: al suo posto Spartaco Landini da Terranuova Bracciolini, abbastanza riserva nell'Inter e alla sua prima presenza azzurra.

Nel dopocalcio giocato Burgnich intraprese una proficua carriera di allenatore – Livorno, Catanzaro (due volte), Bologna, Como (tre volte), Genoa (due volte), L.R. Vicenza, Cremonese, Salernitana, Foggia, Lucchese, Ternana, Pescara. Una delle sue perle: il lancio di Roberto Mancini in serie A nelle file del Bologna quando il Mancio era poco più che un bambino.

Il 25 aprile 2009 La Roccia, che è andato a vivere ad Altopascio, storica cittadina lungo la Via Francigena, ha compiuto settant'anni. Un uomo umile, posato, gentile e intelligente; un calciatore onesto, duro, leale e intelligente. Praticamente, una leggenda.


Alberto Figliolia


 
 
 
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