C'era una volta una ragazzina, chiamiamola Giulia, che frequentava le medie nell'anno scolastico 2006/2007. Era talmente brava negli studi e così entusiasta di quel che imparava che la sua reputazione a scuola divenne altissima. Era anche una ragazzina molto sensibile, attenta a quel che accadeva intorno a lei, e già faceva volontariato nel suo quartiere. Oggi sta in un letto d'ospedale, ridotta ad uno scheletro, e la sua madre disperata sta lottando affinché la dirigenza scolastica si assuma qualche responsabilità. Per tutto l'anno scolastico menzionato, infatti, tre compagni bulli l'hanno tormentata dicendole che era grassa, una brutta cicciona, una scrofa ingorda eccetera eccetera. All'inizio del 2008 la fanciulla ha avuto il primo ricovero ospedaliero, perché il suo peso, eccessivamente basso, la metteva in pericolo di vita. Le dichiarazioni standard degli insegnanti e del preside sono state di questo tenore: l'intera faccenda è “un disgraziato incidente”, “Non si può correlare l'anoressia al dileggio dei compagni”, “Sarebbe altrettanto facile dire che la ragazza è diventata anoressica a causa del suo rapporto con la madre”.
L'ultima scusa è davvero la più facile di tutte, ed è fervidamente raccomandata ad ogni livello. Ci evita, per esempio, di chiedere scusa a Sofia, decenne sottratta alla madre tramite carabinieri da un padre violento, già condannato per gravi maltrattamenti alla moglie ma titolare di posizione sociale ed indubbia fede machista. C'è voluto il tribunale per accertare che la “sindrome della madre malevola” usata per togliere Sofia alla mamma era un'idiozia “non accettata dalla comunità scientifica”, e che la bimba aveva consistenti ragioni per temere suo padre, ma intanto grazie all'aiuto degli psicologi d'accatto l'abbiamo fatta urlare e svenire fra le braccia degli “uomini neri” venuti a strapparla dalla sua casa (anche Sofia è finita in ospedale). Per il resto, che volete, i professionisti dell'educazione e dell'istruzione non hanno tutti i torti a cercare di “svangarla”: un proverbio africano dice efficacemente che “Ci vuole un villaggio per crescere un bambino”. Per cui non è stata solo l'efferata cretineria dei piccoli bulli o la criminale indifferenza degli insegnanti ad avviare Giulia sulla sua personale via crucis. Come me, come voi, la ragazzina sarà di sicuro entrata qualche volta in un supermercato, e se voleva comperarsi un pigiama avrà girato fra gli espositori della biancheria per bambini, dove come me, come voi, ha visto i tanga decorati di lustrini e piumette, disegnati per bambine dai 7 ai 10 anni d'età. Ma se ha preferito girare per la corsia dei giocattoli ha potuto ammirare dozzine di bambole mutanti scheletriche, senza quasi torso ad eccezione dei seni, con improbabili lunghissime gambe, vestite di minigonne in pelle, calze a rete e scarpe o stivaloni con il tacco alto: praticamente l'outfit (non storcete il naso, oggi si dice così) delle escort (appunto) italiane prima che diventino consigliere, deputate, assessore e ministre, quando ancora cantano sulle tv private “Si abbassa la mutanda, si alza l'auditel”.
E la televisione, giusto. Come me, come voi, Giulia ha visto che il premio, l'ammirazione, l'ascesa sociale, l'approvazione, vanno a quella delle sculettanti scosciate che accetta di mostrarsi più muta, più stupida e più acquiescente di tutte le altre. Ha visto uomini umiliare e ridicolizzare chi si comporta diversamente. Come me e voi, ha visto le pubblicità, i cosiddetti “consigli per gli acquisti” dove praticamente qualsiasi cosa è messa in vendita con un corpo femminile più o meno anoressico, dove le donne quando parlano si preoccupano di come lavare meglio i piatti o di come liberarsi da quegli orribili peli “superflui” (chi ha stabilito che sono tali, tra l'altro?) o di come occultare il disgustoso fatto che sono mestruate. D'altronde, se devi trasformarti nel liscio manichino della “femminilità”, sapete, quell'enorme frode fantastica con cui schiantare le donne reali, un po' di ribrezzo per te stessa gioverà alla bisogna. Il manichino, tra l'altro, ha un'età sempre più bassa: i messaggi culturali stanno premendo su questo, e cioè sul farci credere che la sessualizzazione delle bambine e delle ragazze è cosa buona e giusta.
Persino con un tocco di “progressismo”, giacché per dieci anni buoni icone intellettuali ambosessi ci hanno spiegato quanto moderno e liberatorio fosse l'andazzo. Adesso siamo al fondo del barile: famiglie ed amici incoraggiano le bambine ad essere oggetti sessuali, e le trattano come tali. Le conseguenze sono logiche: se una ragazzina impara che un comportamento ed un abbigliamento sessualizzato ottengono il plauso della società e dei suoi pari (il cui giudizio è quello che teme di più) non avrà altre aspirazioni che fare la velina, o si affamerà a morte per ottenere quel corpo “perfetto” che è tale solo se eccita sessualmente il sesso opposto.
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Il mese scorso, il nostrano Ministero della Salute ha ordinato il ritiro dal commercio sul territorio nazionale di una serie di prodotti cosmetici. Si tratta di fard, ombretti, ciprie e rossetti dai prezzi assai contenuti che erano disponibili nelle profumerie e nei supermercati di tutta Italia: le analisi hanno rilevato la presenza in essi di cromo, nichel, piombo e arsenico; in alcuni casi vi erano anche tracce di contaminazione microbiologica. Pare che la composizione di questi cosmetici sia responsabile di un bel po' di irritazioni e dermatiti. Ma non dobbiamo giudicare in fretta: può darsi che ciò sia accaduto perché le pelli a cui erano destinati mancavano di addestramento. Infatti, erano kit di trucco per bambine. E sapete cosa stava immediatamente sotto a questa notizia, nel giornale in cui l'ho letta? Un bel sondaggio interattivo: “La cellulite delle dive. Guarda e vota, chi è messa peggio?”. Secondo me, quella messa peggio è la redazione. Non c'è niente di più devastante della morte dei neuroni, neppure la cellulite.
Maria G. Di Rienzo
(da Nonviolenza. Femminile plurale, 27 agosto 2009)